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ago
Ho quarantatré anni e sono una mamma divorziata. I miei figli
sono grandi, uno ha quasi vent’anni e l’altro diciassette. Le
scrivo perché sono delusa dalle persone con cui sono a contatto,
sia nella vita privata sia al lavoro. Prima mi fidavo ciecamente di
tutti, ora non più. Per tre anni e mezzo ho frequentato un uomo
della mia età, e mi sono illusa. Accettavo le sue condizioni, pur
di non perderlo. Lui voleva sempre avere ragione, io ero sempre
quella che sbagliava. Per mia fortuna, a fine giugno, mi ha
lasciata e non si è più fatto sentire. Adesso c’è un ragazzo, più giovane, che vorrebbe conoscermi meglio. Ma ho paura e continuo a rimandare. Lui ha qualche problema: due anni fa, è stato vittima di un brutto incidente in macchina. Nel mondo del lavoro sono circondata da gente falsa e invidiosa. Le colleghe sono sempre pronte a giudicarti e a farti del male. Nonostante i miei anni, non so che fare. Vorrei chiedere consiglio ai miei genitori. E, naturalmente, anche a lei.
Maria Teresa F.
In questo caso, cara Maria Teresa, più che gli altri, il vero problema sei tu. È il tuo modo di tessere relazioni, nel privato e nel mondo del lavoro, a essere immaturo. Senza personalità. Sei succube degli eventi, senza mai prendere la tua vita in mano. Ti lasci vivere e non decidi
nulla, non assumi alcuna responsabilità. Accusi e scarichi tutto sugli altri. Rinunci anche alle tue idee, pur di elemosinare briciole di amore da un uomo che, all’improvviso, scompare dalla tua vita. E non sai neppure perché. Se a quarantatré anni devi ricorrere ai genitori, come una ragazzina ai primi passi e amori, è tempo per te di un serio esame di coscienza. E di darti una scossa. Per non passare da una delusione all’altra. Abbi il coraggio delle tue scelte, anche a rischio di sbagliare. Nessuno può sostituirsi a te. Soprattutto all’età che ti ritrovi. Cercare una balia non aiuta a crescere.
Pubblicato il
23 agosto 2011 - Commenti
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19
gen
Tutti, oggi, rivendicano i propri diritti. Dai precari ai disoccupati.
Mai nessuno, però, che parli di doveri. Mia figlia, dopo sette anni
come precaria, finalmente è stata assunta a tempo indeterminato. Le
sue prime parole, però, mi hanno sconvolta: «Finalmente», ha detto,
«potrò stare a casa in malattia, avrò le ferie e le festività pagate.
E, forse, farò un altro figlio». L’ho sgridata, anche se è già grande.
Mia cognata, che lavora nella ristorazione, si è punta un dito con
un forchettone, e il medico le ha dato dieci giorni di malattia. Fosse
capitato a me, casalinga, sarebbe bastato un po’ di disinfettante, un
cerotto e via. Quando la smetteremo d’essere viziati? Per risollevare
il Paese in crisi, tutti
dovremmo rimboccarci
le maniche. E smetterla di
lamentarci. Chi deve pagare
le tasse, paghi! Chi deve
lavorare, lavori! Cominciamo
a tenere pulite le nostre città
ed evitare, davanti al mondo,
la vergogna dei cumuli
di immondizie!
Una nonna
Grazie nonna, di questo forte
appello alla responsabilità
personale e a comportamenti
etici adeguati. Il mondo si
cambia a partire da noi stessi.
Finiamola con le lamentele,
aspettando che siano sempre
gli altri a intervenire. È tempo,
davvero, di rimboccarsi le
maniche, assumendosi le proprie responsabilità. A cominciare da chi
sta più in alto. Il senso di irresponsabilità, nel mondo del lavoro come
altrove, è un peccato grave perché danneggia altri, che ne pagano le
conseguenze. Chi froda è un ladro, non un furbo.
Pubblicato il
19 gennaio 2011 - Commenti
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