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Al suono della tromba

Giudizio Universale, angelo con tromba, scuola cassinese. Capua, Sant’Angelo in Formis
Giudizio Universale, angelo con tromba, scuola cassinese. Capua, Sant’Angelo in Formis

" Il Signore,
alla voce
dell'arcangelo
e al suono della
tromba di Dio,
discenderà
dal cielo.
E prima
risorgeranno
i morti in Cristo
e quindi noi,
ancora vivi,
saremo rapiti
con loro...
"
(1 Tessalonicesi 4,16-17)

Ora è la seconda città della Grecia, importante nodo stradale e commerciale, ricca di monumenti bizantini. Allora era la capitale della Macedonia e san Paolo ricordava con piacere l’accoglienza fraterna che gli avevano riservato i pagani, ma con amarezza anche la dura reazione degli Ebrei là residenti, che avevano contro di lui ordito una sommossa popolare costringendolo a una fuga indecorosa (Atti 17,1-10). Il fedele discepolo Timoteo aveva poi recato all’Apostolo, che si trovava a Corinto, notizie della neonata Chiesa tessalonicese e dei suoi primi problemi. Paolo aveva deciso, allora, di inviare un messaggio a quella comunità, «da leggersi a tutti i fratelli».

È l’anno 51: è questo il primo scritto paolino a noi giunto e quasi certamente il primo testo (cronologicamente parlando) del Nuovo Testamento. A chi vorrà leggerlo integralmente verranno incontro tonalità differenti. C’è il registro autobiografico dei ricordi, segnato dalla nostalgia, aperto però alla speranza di un nuovo incontro. C’è il filone teologico che si sviluppa attorno a tre temi: l’amore fraterno, il mistero pasquale di Cristo e la sua parousía o ritorno finale a suggello della storia. C’è, poi, anche il tema morale e pastorale: l’Apostolo, in 5,12-28, esorta la comunità a vivere un’esistenza cristiana perfetta e pura e lo fa attraverso una sequenza di quattordici imperativi.

Il nostro frammento testuale si innesta nel filone teologico, affrontando il tema del ritorno di Cristo alla fine della storia. Lo scenario che san Paolo tratteggia è, però, modulato sul linguaggio apocalittico a quel tempo dominante che ricorreva a immagini, metafore e simboli. Così, stando sul vago, cerca di risolvere un quesito che rodeva l’anima dei cristiani tessalonicesi, convinti che quell’ultimo evento fosse imminente. Essi domandavano: in quell’istante supremo in cui risorgeranno coloro che sono morti in pace e in comunione con Cristo, i cristiani ancora vivi quale sorte avranno?

L’Apostolo ricalca l’apparato delle visioni epifaniche apocalittiche: cori celesti, trombe divine, vortici, nubi, cieli squarciati. Non è, quindi, una descrizione puntuale, ma una rappresentazione simbolica di quel passaggio dal tempo all’eterno, dallo spazio terreno all’infinito di Dio. I morti e gli ancora viventi entreranno nell’orizzonte trascendente: ai Corinzi, poi, dirà che «non tutti dovremo morire [in quel momento estremo], tutti però saremo trasformati» (1Corinzi 15,51). Soddisfatta questa curiosità dei Tessalonicesi, ciò che a Paolo preme è ribadire che il destino di tutti i fedeli è quello di «andare incontro al Signore... e così essere per sempre con lui» (4,17).

Per completezza dobbiamo, però, aggiungere una nota conclusiva. Contro l’eccitazione di coloro che, convinti dell’imminenza di quel momento ultimo, abbandonavano le loro responsabilità e i quotidiani impegni terreni, Paolo raccomanda di «fare tutto il possibile per vivere in pace, occupandosi delle proprie cose e lavorando con le proprie mani, come vi abbiamo ordinato, conducendo una vita decorosa di fronte agli estranei [i non credenti], senza aver bisogno di nessuno » (4,11-12). In passato abbiamo già avuto occasione di registrare come questo appello sia andato a vuoto, perché – nella Seconda Lettera che egli indirizzerà ai cristiani di Tessalonica – l’Apostolo sarà costretto a rivolgere loro una tirata d’orecchi ricordando che «chi non vuole lavorare, neppure mangi!» (si legga 2Tessalonicesi 3,6-15).

Pubblicato il 01 dicembre 2011 - Commenti (2)

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Postato da Andrea Annibale il 02/12/2011 19:54

Oggi si insiste molto giustamente sul rapporto tra fede e ragione. Un altro rapporto che mi pare importante è quello tra verità e realtà. Crediamo in una verità o in una realtà quando parliamo di Gesù Cristo che vive, che era e che viene? A me pare che parlare di una verità sia insufficiente. Certo, crediamo in questi fatti come ad una verità ma, nella fede li viviamo come realtà. Il Giudizio Finale è una realtà della fede più che una verità della fede. Tali sono anche le esperienze mistiche, i miracoli, i segni, i prodigi e tanti fatti narrati dalla Bibbia. Alcuni sono solo messaggi allegorici e simbolici, che non vanno presi alla lettera: qui ci aiuta l’interpretazione storico critica nel discernere. Mi sembra però importante recuperare la dimensione di realtà, oltre che di verità, della fede, anche se le due dimensioni vengono spesso sovrapposte. C’è a mio avviso una fede buona anche senza ragione, la fede degli illetterati, dei mistici, di alcuni profeti. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa di tutto questo il Cardinale Ravasi. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter: @AAnnibale.

Postato da Teresi Giovanni il 01/12/2011 21:24

Nessun avvenimento di grande importanza, o castigo (il diluvio, la distruzione di Sodoma, la caduta di Babilonia, quella di Gerusalemme, ecc.) si è verificato nella storia senza che Dio non lo avesse predetto molto tempo prima, per dare agli uomini il tempo di ravvedersi della loro condotta e sfuggire così al suo giusto giudizio. Anche oggi, prima della manifestazione della Sua ira, Dio avverte l'umanità per mezzo della Sua Parola di ravvedersi, e invita a convertirsi a Gesù e a riceverLo come Salvatore e Signore (Atti 17:30-31). Gesù introdusse il discorso del suo ritorno con l'avvertimento: "Guardate che nessuno vi seduca. Poiché molti verranno nel mio nome, dicendo: "Io sono il Cristo". E ne sedurranno molti. ... Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti. Ecco, ve l'ho predetto" (Matteo 24:4-5, 11, 24-25). Secondo la predizione di Gesù ci saranno negli ultimi tempi dei movimenti che nel Suo nome faranno segni e prodigi. Molti pretenderanno di poter entrare nel Regno dei cieli perché avranno profetizzato, cacciato demoni e fatto molte opere potenti nel nome di Gesù, ma Egli dichiarerà loro che non li ha mai conosciuti (Matteo 7:22). Le agitazioni e le guerre etniche dei popoli sono un segno dei tempi profetizzati dal Signore. Gesù disse una parabola: "Osservate il fico e tutti gli altri alberi. Quando cominciano a germogliare, voi riconoscete da voi stessi che l'estate è ormai vicina. Così anche voi, quando vedete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino" (Luca 21:29-31) . Giovanni Teresi

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Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi

Gianfranco Ravasi è un cardinale, arcivescovo cattolico e biblista italiano, teologo, ebraista ed archeologo.
Dal 2007 è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.

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