20/05/2013
Il progetto Flexi Family è un progetto sperimentale finanziato dal Dipartimento delle Politiche per la Famiglia realizzato a partire dalla fine del 2011 e nato da una partnership forte tra Forum delle Associazioni Familiari, ente capofila del progetto, ACLI ed MCL.
Abbiamo voluto puntare i riflettori con una serie di azioni e con un’indagine approfondita sul disagio e sui bisogni nati in seno e in seguito alla crisi economica che, a partire dal 2008 e senza prospettive di uscita a breve, ha investito le famiglie italiane.
Flexi Family è un progetto integrato di rete
· perché è stato realizzato tra diverse associazioni
· perché ha realizzato sui territori una partnership efficace tra associazioni e istituzioni,
là dove è risultato possibile
· perché ha operato nell’ottica di un supporto integrato alle famiglie, non finalizzato cioè
ad accogliere e gestire il bisogno solo economico, ma prendendo in carico la difficoltà
manifestata nella sua integralità e multidimensionalità: non solo economica, ma
anche relazionale, psicologica. I bisogni (tra bisogni manifesti e bisogni latenti) sono
spesso infatti bisogni plurimi.
La sperimentazione è avvenuta su scala nazionale e locale: su tutto il territorio nazionale sono stati selezionati sei territori rappresentativi delle differenti situazioni economiche e sociali del nostro Paese: Nord, Centro e Sud, grandi città (Napoli e Roma), cittadine di dimensioni medie (Padova e il distretto Pesaro-Fano) e piccole (Arezzo e Foggia). In ognuna di queste realtà sono state realizzate le azioni previste dal progetto.
Le azioni intraprese sono state:
- Sportelli Flexi di ascolto e accoglienza per le famiglie in difficoltà, con l’elaborazione di progetti di accompagnamento ad hoc: erogazione di servizi (Patronato, CAF, Sportello lavoro, Sportello di intermediazione lavorativa) e di accompagnamento (accompagnamento al bilancio familiare, attività di consulenza soprattutto in particolari condizioni di isolamento), attività di aggregazione (GAS, mercatini, baratto) ed eventi seminariali di supporto alla genitorialità e di economia. secondo le stime dei flussi dell’utenza, gli sportelli FlexiFamily hanno intercettato circa 1500 famiglie su tutto il territorio nazionale
- Creazione di reti a livello territoriale e confronto con le istituzioni, attraverso la realizzazione di un seminario a livello locale in ognuna delle città che hanno partecipato al progetto – momenti di confronto ricchi e variegati, ai quali hanno partecipato oltre 360 persone su tutto il territorio italiano.
Nei seminari è emersa la specificità delle realtà locali che si sono fatte portatrici di punti di vista sensibili.
Emerge anche un’attesa: attesa di risposte – non tanto di risposte preconfezionate quanto del riconoscimento delle nuove vie che gli amministratori locali si sono accorti di dover percorrere in partnership con le associazioni di terzo settore a livello locale, e riconoscimento e sistematizzazione delle buone prassi in quadro d’insieme organico.
Il primo e più interessante risultato di Flexi è stato quindi la possibilità di incontrarsi, di operare e discutere insieme sul tema della crisi in maniera propositiva, in una logica non assistenziale ma di promozione delle capacità e delle risorse delle persone, nelle situazioni più disparate.
È stata quindi la reale possibilità di superare la solitudine delle famiglie di fronte alla crisi economica: gruppi di acquisto solidale (GAS e GASF), gruppi di scambio (anche scambio di case-vacanza, oltre che di abiti usati per bambini, di servizi e competenze), gruppi di baratto e di auto-mutuo aiuto. Ricette che, sebbene contraddicano le teorie economiche che vedono nella ripresa dei consumi un’uscita da questa crisi, si sono rivelate assolutamente efficaci per alleviare il deficit sui bilanci familiari.
Non solo in un’ottica economica profondamente differente, ma anche in un’ottica di costruzione delle reti sociali informali, di percorsi di socializzazione tra famiglie spesso non solo impoverite, ma anche isolate o auto-isolantesi in caso di difficoltà economica.
Tra le numerosissime esperienze e buone prassi di rete ne cito solo due, che però appaiono paradigmatiche di un modo innovativo di intendere la costruzione di reti o di erogazioni di welfare e servizi: progetto di auto-mutuo aiuto tra le mamme e l’avvio della creazione di un portale promosso da Forum, Acli e McL di orientamento alla ricerca di lavoro e di servizi sul territorio.
La rilevazione
La rilevazione è stata condotta attraverso la somministrazione di una scheda di rilevazione con un colloquio approfondito (531 le schede di rilevazione raccolte sul territorio nazionale), con alcuni dati che meritano di essere attentamente valutati
La metà degli utenti degli sportelli Flexi sono di età compresa tra i 30 e i 50 anni (48,7%), con una grossa polarizzazione tra due fragilità particolari: i giovani italiani (under 29) e gli over 64 extra-comunitari. Il dato interessante è che il 66,6% delle persone che si sono rivolte agli sportelli Flexi sono donne: sono le madri di famiglia che, di fronte alla difficoltà economica, si mettono in moto alla ricerca di soluzioni.
Donne che si dichiarano, nel 41,2% dei casi, disoccupate (10,8%) o casalinghe (30%).
Il primo dato è sicuramente quello del profondo impoverimento delle famiglie italiane: sono infatti famiglie italiane che si sono rivolte agli sportelli flexi, per avere un aiuto o per risolvere un problema che è, come vedremo, in genere di ordine economico.
Per quanto riguarda lo stato occupazionale delle famiglie che si sono rivolte agli sportelli Flexi, il dato riguardante la disoccupazione (31%) è un dato sicuramente importante ma, ahinoi, non è IL dato più eclatante che ci sembra emergere dalla nostra analisi. La percentuale dei disoccupati in difficoltà economiche è il 31% tra coloro che si sono rivolti agli sportelli FlexiFamily. Più ancora dei pensionati (16,1%) sono in sofferenza i dipendenti a tempo indeterminato (17.2%) e determinato (6,8%) in difficoltà, se poi aggiungiamo un 8% che si definisce impiegato ma non specifica con che tipologia e il 3% libero professionista, abbiamo il 45,4% di persone che hanno un lavoro, ma quel lavoro non basta loro per mantenere se stessi e la propria famiglia.
Il dato per certi versi sorprendente (negativamente soprprendente) è che non sono solo le famiglie monoreddito a essere in sofferenza, ma anche le famiglie con due redditi non vengono risparmiate dalle difficoltà: tra le famiglie intercettate, che costituiscono quasi il 60% dell’intero campione, il 45% è una coppia con entrambi lavoratori e due figli a carico, e con un’età media di 41 anni.
Sono le “giovani famiglie” con bambini ancora relativamente piccoli (considerato che l’età media in cui una donna partorisce il primo figlio supera ormai nel nostro Paese i 30 anni) segnate da percorsi lavorativi precari (almeno uno dei due partner ha un lavoro a scadenza) e da compiti di cura più pressanti, con ricadute sia sulla partecipazione al mondo del lavoro sia sulla questione economica dell’esternalizzazione della cura e/o del lavoro domestico.
Quindi, questi dati ci dicono che c’è una grossa questione sul reddito da lavoro, sia esso a tempo indeterminato, determinato o libero professionista, e che avere figli costituisce oggi per una coppia di quarantenni italiani una scelta di impoverimento economico, e questo dato collima peraltro con le statistiche internazionali sulla povertà infantile nel nostro Paese.
L’altro dato interessante emerso dalla nostra ricerca riguarda l’analisi dei bisogni. In base alla classificazione dei bisogni di Abraham Maslow (che distingue tra Area dei bisogni primari, Area dei bisogni legati alla sicurezza, Area dei bisogni di tipo relazionale, Area dei bisogni formativi e informativi, Area dei bisogni di autoaffermazione e autonomia), possiamo osservare che:
78,5% ha bisogni primari
73,3% bisogni formativi e informativi
escluso [tristemente] la prima e forse più ovvia area dei bisogni materiali (l’aiuto per pagare le bollette o le fatture principali) l’area di bisogni più grossa risulta dunque essere quella dei bisogni informativi e formativi: limitata conoscenza dei benefici fiscali per le famiglie, difficoltà nell’ottimizzare il budget familiare, limitata conoscenza dei servizi sociali presenti sul territorio.
Questo dato, confermato peraltro anche da quanto è emerso in alcuni dei seminari svolti a livello locale, ci dice che ci sono due grossi problemi: una questione fiscale – non solo di un fisco poco equo che, come abbiamo visto, non è in grado di bilanciare la presenza di figli piccoli, ma di un fisco assolutamente bizantino nel quale il cittadino non è in grado di districarsi; e una questione di accesso ai servizi e di relazione e fiducia del cittadino nella possibilità di trovare risposte ai propri bisogni nei servizi erogati sul territorio.
Il progetto FlexiFamily mostra dunque come accanto alle gravi difficoltà economiche, le famiglie italiani più fragili stanno attraversando in questo momento una vera e propria compromissione dei diritti di cittadinanza (non solo diritto al lavoro, e diritto a un lavoro dignitosamente retribuito, ma anche equità fiscale e accesso ai servizi).
Le questioni che il progetto Flexi rilancia sul tavolo della politica sono questioni che intercettano dunque la vita pratica, quotidiana delle famiglie: come ottenere un lavoro dignitoso, come pagare le tasse in modo equo, come accedere ai servizi del territorio.
Quello che emerge dalle sperimentazioni sul territorio è la richiesta di sostenere i piccoli cambiamenti già in atto a livello micro: la flessibilità di orario e di luogo di lavoro per aiutare la conciliazione, l’equità fiscale nell’accesso ai servizi, il riconoscimento di quelle forme di auto-mutuo aiuto tra famiglie, la sperimentazione di modelli innovativi di proporre e comunicare in modo efficace i servizi.
La politica è capace di riconoscere, valorizzare e promuovere queste esperienze? Ed è capace di ridare cittadinanza alla famiglia? Questa è la domanda che il progetto Flexifamily rilancia sulla tavola rotonda che seguirà
Forum delle Associazioni Familiari