Libertà economica, il Sud arranca

Quasi tutte le province meridionali hanno situazioni che impediscono lo sviluppo pieno dell’imprenditorialità. Con qualche eccezione

04/01/2012

Per analizzare le performance economiche di un territorio, sia esso uno Stato, una Regione o una Provincia, si fa spesso ricorso al Pil, il valore che sintetizza la ricchezza prodotta da una sistema economico in un dato periodo di tempo. Questo indice, perno dell’intera contabilità nazionale e principale criterio di prosperità delle nazioni, non rappresenta però una misura esaustiva dello sviluppo economico.  

Per meglio interpretare la realtà produttiva di un Paese è quindi necessario fare ricorso a un complesso insieme di indicatori che comprendono, oltre alla misurazione del Pil, anche elementi di sviluppo culturale, sociale, strutturale, associati ad un miglioramento nella distribuzione della ricchezza, delle condizioni lavorative e assistenziali, ecc.
Uno di questi indici alternativi è rappresentato dal grado di “Libertà Economica”. Secondo questo pensiero, con libertà economica si intende identificare quelle condizioni economico-sociali, culturali e ambientali attraverso le quali una regione è in grado di svilupparsi, per creare ricchezza e benessere.
  

Un sistema finanziario più o meno efficiente, un mercato del lavoro dinamico o statico, un contesto sociale favorevole o costrittivo, sono solo alcune delle circostanze che concorrono alla mappatura delle dinamiche produttive italiane e che, anche in questo caso, confermano sostanzialmente gli storici rapporti di forza tra le aree del Paese consolidatisi negli ultimi decenni: da una parte il Sud, con gli indici di sviluppo meno promettenti, dall’altra un Centro-Nord all’interno del quale il modello produttivo delle piccola e media impresa continua a qualificare i territori più ricchi.
  

In Italia, la situazione economica e le condizioni sociali in cui si muovono gli operatori privati sono del resto molto variegate: le aree settentrionali, appunto, sono più industrializzate e registrano tassi di disoccupazione molto inferiori rispetto alla media nazionale; i territori meridionali, invece, contano su un ricambio generazionale più marcato rispetto al Nord e possono beneficiare di sussidi per incentivare la crescita economica.
L’indice di libertà economica, elaborato dal Centro studi Sintesi, è il risultato di una valutazione complessiva della situazione economica del Paese basata su un insieme di variabili opportunamente messe insieme per poter cogliere la maggior parte degli aspetti che caratterizzano ciascuna realtà: in un unico numero, un indice sintetico, sono infatti condensate indicazioni provenienti dalla struttura economica, sociale e lavorativa, unite ad informazioni relative al contesto finanziario e fiscale.  

Quanto più un territorio fornisce dei segnali di dinamicità, tanto più in esso l’iniziativa privata si concretizza e trova il suo habitat naturale, determinando per la provincia interessata l’attributo di area economicamente “libera”. Mentre le province del Nord e alcune del Centro sembrano possedere degli aspetti economico-sociali che le qualificano come “libere”, al Sud la libertà economica appare molto più limitata. Nella parte meridionale del nostro Paese il substrato economico limita il raggio di azione dei nuovi operatori sacrificando anche attività già esistenti. Sebbene nel Sud e nelle Isole si evidenzino elementi a favore dello sviluppo della libertà economica (come la bassa pressione fiscale o la struttura demografica più giovane), il substrato produttivo non è ancora sufficientemente vivace.  

Quasi tutte le regioni meridionali si collocano al di sotto della media nazionale (54,4), inoltre sono spesso le province di Puglia, Campania, Sardegna e Sicilia a risultare negli ultimi posti della graduatoria, risultando perciò le “meno libere” dal punto di vista economico di tutto il Paese. Questa posizione sicuramente poco positiva emerge, tra l’altro, anche quando si va ad osservare la graduatoria degli indicatori intermedi, dove agli ultimi posti troviamo proprio province di queste realtà, mentre nella maggior parte dei casi a guidare la classifica ci sono realtà del Nord.
  

Per quanto riguarda le aree più libere (cioè quelle aventi un voto superiore a 80), ai vertici della graduatoria si collocano Trento (100,0), Belluno (98,6) e Bolzano (98,6), seguite a breve distanza da Ravenna (92,3), Forlì-Cesena (89,7), Rimini (89,0). Da considerare economicamente “libere” anche le province di Pesaro Urbino, Ascoli Piceno, Ancona, Parma  Reggio Emilia e Modena, motivo per cui ai primi posti della graduatoria regionale troviamo le Marche e l’Emilia Romagna.
Sono poche le aree meridionali che possono definirsi prevalentemente libere: si tratta de L’Aquila, Olbia-Tempio, Campobasso, Ragusa, Sassari e Nuoro. I motivi che fanno posizionare le aree meridionali agli ultimi posti della graduatoria sono dettati da una molteplicità di fattori che non derivano solo da un ritardo strutturale, ma anche da tutta una serie di elementi che caratterizzano il Sud d’Italia e che sono di ostacolo allo sviluppo del contesto economico.

Elena Zuccaro
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