Lo Stato ordina, ma paga tardi

I piccoli imprenditori che hanno a che fare con la pubblica amministrazione aspettano anche quattro mesi

28/03/2011

«Lavora, lavora, prima o poi qualcuno ti paga»: questo vecchio adagio è diventato la regola per qualunque piccola o media impresa, sia che abbia a che fare con il pubblico, sia che faccia affari con altri privati. A dirlo è una recente rilevazione realizzata da Fondazione Impresa su un campione di circa 1.200 piccole aziende (tutti i dati nel pdf allegato).

L’attesa. Stando all’indagine, i tempi medi di pagamento dei clienti privati sono di 47,3 giorni, che raddoppiano quando il cliente è la pubblica amministrazione (93,4 giorni). E il trattamento non è uguale per tutti: il pubblico fa aspettare più la piccola impresa (128,8 giorni) e l’artigianato (108,5), poi i servizi (80,6) e il commercio (52,1). A conti fatti, i tempi si sono allungati di 13 giorni rispetto al 2009.

Differenze regionali. Secondo la rilevazione, i tempi più lunghi si registrano al Sud e nelle Isole (104,6 giorni) e al Centro (92,7), mentre va meglio nel Nord-Ovest (87,7) e nel Nord-Est (78,8), anche in quest’ultima area il ritardo è aumentato molto rispetto al 2009 (+16,3 giorni).

I privati. Nel secondo semestre 2010, si legge ancora nell’indagine, «i tempi di pagamento dei clienti privati si aggirano intorno ai 47 giorni», un’indicazione che varia parecchio a seconda dei settori di attività. «Si va dai 20,3 giorni per il settore del commercio agli oltre due mesi dell’artigianato (63 giorni)» e «all’interno di questa forbice si collocano le aziende della piccola impresa (55,4 giorni) e le aziende dei servizi (55,1 giorni)».

L’analisi. «Ai problemi di liquidità delle imprese e di difficoltà di accesso al credito delle stesse, esacerbati dalla crisi economico-finanziaria, si aggiungono i ritardi nei tempi di pagamento da parte della clientela privata e della pubblica amministrazione,  con quest’ultima che fa aspettare le imprese addirittura due volte di più, arrivando a oltre tre mesi di attesa», sostengono i ricercatori della Fondazione Impresa.

Marco Ratti
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