La mafia sul set

Il premier Berlusconi torna ad attaccare le fiction su Cosa nostra e Camorra: "Danni di immagine". Ma è davvero così?

16/04/2010
Michele Placido nei panni del commissario Cattani
Michele Placido nei panni del commissario Cattani

«La mafia italiana risulterebbe essere la sesta al mondo, ma guarda caso è quella più conosciuta, perchè c'è stato un supporto promozionale che l'ha portata ad essere un elemento molto negativo di giudizio per il nostro paese. Ricordiamoci le otto serie della Piovra programmate dalle tv di 160 Paesi nel mondo e tutta la letteratura in proposito, Gomorra e il resto...». Ci risiamo. Il premier Sivlio Berlusconi, a margine della presentazione dei dati sulla lotta alla criminalità organizzata, dopo la riunione del Consiglio dei ministri, se la piglia con le nostre fiction.

Già in passato il Cavaliere aveva citato lo sceneggiato della Rai come esempio di trasmissione che danneggia l'immagine del Paese.
«Se trovo chi va in giro a fare nove serie sulla Piovra e a scrivere libri sulla mafia, che hanno dato al mondo questa immagine dell'Italia, lo strozzo», aveva detto nel novembre scorso. Ora ha aggiunto anche il libro di Roberto Saviano. Come sempre Silvio Berlusconi ha trovato un modo per abbagliare la scena mediatica, oltre ad aver snocciolato l’elenco dei risultati reali contro la criminalità organizzata. Il Cavaliere è un genio del marketing politico, sa che siamo nella civiltà dell'immagine, avendo in buona parte contribuito a costruirla. Evidentemente sa che elencare le leggi prodotte dai suoi governi contro la mafia non avrebbe ottenuto l'effetto raggiunto dal suo giudizio sul danno di immagine prodotto dalla mafia in Italia e all'estero, opinione peraltro molto condivisa in particolare tra i siciliani, stufi di vedersi rappresentare dal «Padrino» parte prima, seconda e terza” in tutto il mondo.

Ma siamo proprio sicuri che si tratta di un danno di immagine?
A parte il fatto che bisognerebbe considerare che molte fiction sono prodotte da Mediaset e diffuse dalle sue reti, come «Il capo dei capi» sul boss Totò Riina (e giustamente il ministro Alfano ha sottolineato che il capo dei capi è stato preso e sottoposto a regime ancor più ristretto del 41 bis). Bisogna poi aggiungere che Berlusconi sa bene che il rapporto tra arte e realtà è assolutamente libero e va lasciato alla responsabilità dei registi, degli scrittori, degli sceneggiatori. La libertà di espressione nell'arte è l'anima del pensiero liberale. Forse che le decine e decine di film con Edward G. Robinson sui gangster di Chicago prodotti a iosa da Hollywood hanno creato danni di immagine agli Stati Uniti?
La mafia del resto produce un'attrattiva irresistibile per i registi e gli scrittori: è un consorzio di uomini che sprofondano nelle pieghe del male. Molti individuano la causa di tutto nel «Padrino» il best-seller di Mario Puzo tradotto in film da Francis Ford Coppola, che ha mitizzato le figure di una cosca di New York.  La loro «banalità del male» è stata ben rappresentata in «Good Fellas» di Martin Scorsese.

Anche nella «Piovra» la fiction Tv che ha avuto 14 milioni di media di spettatori, con punte di venti milioni, quello che emerge in fondo è una spirale di morte e di soprusi insopportabili. Ed è giusto che gli italiani la conoscano a fondo. Non c'è dubbio che «la Piovra» abbia tenuto desta la coscienza degli italiani sull'attività di tanti investigatori, magistrati e cittadini negli ultimi vent'anni.
Vi sono poi autentici capolavori che dovrebbero essere visti nelle scuole, come «I cento passi» di Marco Tullio Giordana e «Alla luce del sole», il film di Roberto Faenza sull'omicidio di padre Puglisi, che tra l'altro rende un'immagine molto realistica della cosca di Brancaccio, di cui tanto si parla in questi giorni.

La filmografia sull'«onorata società» è sterminata; da «In nome della legge» di Pietro Germi, uscito nel 1949, al «caso Pisciotta» di Visconti del 1961 a «Il giorno della civetta» di Damiano Damiani (il primo regista de «La Piovra») sulla mafia latifondiaria che diventava mafia degli immobili.
E poi, ancora, salendo nel tempo, «Cento giorni a Palermo» di Giuseppe Ferrara e Giuseppe Tornatore, dedicato all'attentato al generale Dalla Chiesa, fino ai film su Falcone e Borsellino e sul capitano Ultimo. Per finire con il bellissimo «Le conseguenze dell'amore» di Paolo Sorrentino, sul travaglio interiore di un «colletto bianco» di Cosa Nostra interpretato da Tony Servillo.
L'alternativa è  girare documentari sulla «prima disgrazia di Palermo, che è la vergogna d'Italia, e lei mi ha già capito di cosa parlo: il traffico», secondo la celeberrima battuta di un altro bel film sulla mafia di Roberto Benigni: Johnny Stecchino.

Francesco Anfossi
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