27
lug

Hotel Belles Rives a Juan Les Pins

Juan Les Pins

Certi luoghi sono immediatmente identificabili come simboli di un'epoca: monumenti, palazzi, piazze, edifici pubblici, mattoni, pietre, colonne e affreschi ci parlano dei personaggi che hanno tessuto la storia, delle atmosfere del tempo che fu, delle epoche passate che ormai affiorano soltanto nel cinema o nei romanzi.
Poi ci sono gli hotel leggendari, questi coacervi esclusivi di atmosfere e di svariata umanità, ognuno dei quali ha vissuto la propria "età dell'oro" ed é entrato di diritto fra i protagonisti di un'epoca. l'Hotel Belles Rives di Juan Les Pins sulla Costa Azzurra, é sicuramente fra questi.

Acquistato nel 1929 dalla famiglia Estène e oggi proprietà di Marianne Estène Chauvin, erede della famiglia, questo gioiello Art Déco fu la residenza estiva dello scrittore Francis Scott Fitzgerald e della moglie Zelda.

Qui, il celebre autore scrisse il suo quarto romanzo, "Tenera é la notte", un inno agli "Annés Folles", il decennio Venti- Trenta, per tutta quella generazione di Americani innamorati della vecchia Europa, che vedevano Parigi, Roma e la Costa Azzurra come un Olimpo per creature un po'magiche. E qualcuno, da quelle parti, immortale lo divenne davvero, almeno nella fama.

Fitzgerald, ad esempio. Ci fu un tempo in cui gli Americani non pensavano ancora ad esportare catene di fast food, basket shoes e talvolta, concetti sui generis di democrazia. Fitzgerald seppe dipingere con maestria il mondo della comunità artistica internazionale che bazzicava la Francia negli anni del Charleston, della musica di Cole Porter, delle feste interminabili scandite ai ritmi di gioia e al tempo stesso decadenza, dei passi incerti di una generazione fragile, assalita da un indefinibile mal di vivere.
Quegli anni furono un fuoco d'artificio partito dai cannoni arrugginiti della Prima Guerra Mondiale e destinato a spegnersi all'affacciarsi della Seconda. Come ben si può leggere nel "Grande Gatsby" o in "Tenera é la notte" di Fitzgerald, o ancora in "Festa mobile" di Hemingway, vigeva il carpe diem, interpretato come un disperato amore per l'"adesso e subito". Una gioventù stretta tra uno ieri tragico e un domani minaccioso, sceglieva l'opzione edonista di una vita coniugata solo al presente.
"Tenera é la notte" prese corpo qui, nelle stanze soprattutto popolate nottetempo, da Picasso, Rudolph Valentino, John Dos Passos, Jean Cocteau e dall'onnipresente Hemingway. Nei saloni art déco impreziositi da dipinti cubisti, nei viali del giardino affacciato sul Mediterraneo e sull'arcipelago delle Lerins, si muoveva spesso la coppia dei Murphy, Gerald e Sara, due miliardari americani rifugiati in Europa per sfuggire alle convenzioni famigliari e a un destino segnato di studi a Yale e carriere imprenditoriali. Nelle pagine di "Tenera é la notte", Fitzgerald si ispirò alla coppia per descrivere i protagonisti, Dick e Nicole Diver. Quest'anno, Marianne Estène Chauvin, proprietaria dell'hotel, ha creato il Premio Letterario dedicato al leggendario autore americano. La prima edizione é stata vinta da Jonathan Dee, scrittore e giornalista per il New York Times Magazine.
Oltre ai premi "ufficiali", per il vincitore c'era in serbo una sorpresa originale: una notte da trascorrere in quella che fu la camera di Francis Scott Fitzgerald, col sottofondo della musica suonata fino all'alba da un'orchestra al piano di sopra. Era uno dei desideri dello scrittore, immaginato una delle tante sere trascorse nella villa di Juan Les Pins, dopo una delle tante litigate con l'impetuosa moglie Zelda. Show must go on. Lo show deve continuare.

Hotel Belles Rives Juans Les Pins - Cap d'Antibes

La curiosità:

Il molo per l'attracco delle barche al Belles Rives fu il set per la sigla di "Attenti a quei due" serie tv cult di spionaggio con protagonisti Tony Curtis e Roger Moore.

Pubblicato il 27 luglio 2011 - Commenti (1)
26
lug

Hotel de la Ponche, Saint Tropez

Saint Tropez

La Ponche ha sempre avuto uno charme particolare. E'stato forse l'ultimo quartiere a veder sostituire i pescatori seduti sul molo a rosolare sardine, coi rampolli del jet set scesi da yacht interminabili e le donne intente a riparare le reti, con fanciulle appariscenti issate su tacchi vertiginosi.

La Ponche é pigra, ha quell'indolenza dei paesi dove é sempre estate e ha poca voglia di cambiare. Eppure la storia é passata di qui e più precisamente da un grazioso edificio giallo chiamato Hotel de La Ponche, il più piccolo e certamente il più originale fra i quattro stelle di Saint Tropez.
Decenni di cultura francese e generazioni di artisti sono passati sotto gli occhi della donna che, aldilà del vecchio bancone di zinco che farebbe la gioia dei collezionisti, ha vegliato per mezzo secolo sull'evoluzione di questa borgata marinara diventata regina del mondo VIP. Questa donna si chiamava Marguerite e aveva un cognome italiano, Quindici. La sua famiglia era originaria di un altro posto di mare, Procida. E come tutte le genti cresciute davanti al gigante blu, Marguerite aveva imparato a non montarsi mai la testa e a guardare con un occhio di distacco tutto quell'agitarsi di starlette, cervelloni e geni folli che sedevano alla sua terrazza assolata.
Eppure Juliette Greco, aveva detto un giorno: "Se i muri della Ponche potessero parlare..." I muri sono rimasti silenziosi, ma Simone Duckstein, figlia di Marguerite, rivela con gioia la sua cornucopia di ricordi. La storia dell'hotel é talmente densa di avvenimenti che il passato ha pensato di avanzare un passo nel presente, rimanendo tangibile nelle stanze incastonate fra le tegole rosse del borgo, già dipinte da Paul Signac e Matisse.

Seguendo il filo dei racconti della Duckstein, pare di vederlo, Roger Vadim, seduto al bancone con aria contrariata e intento a ordinare dosi doppie di liquore per dimenticare la storia che sta nascendo sul set di "Et Dieu crea la femme" tra la "sua" Brigitte Bardot e Jean Louis Trintignant. E pare di vederla, lei, la leggendaria Bardot, col suo inconfondibile broncio da bambina e il suo vestito a quadretti vichy, ballare sui tavoli della terrazza sotto lo sguardo pieno di disapprovazione di Marguerite. E pare di vederlo, Boris Vian trascorrere notti insonni a parlare di tutto e di niente con Albert, il marito di Marguerite. Questi dopo una giornata di lavoro cascava dal sonno, ma quel parigino stravagante, arrivato qui a bordo di una lenta vettura d'epoca, una Brazier del 1911, a lui era proprio simpatico. Poi ci fu Orson Welles.

A Saint Tropez, ogni anno a maggio si celebra da ben cinque secoli la "Bravade", una vivace processione di uomini in antica divisa militare e donne in costume provenzale. Orson Welles si divertiva a disegnare schizzi di quella folla multicolore, seduto alla terrazza della Ponche. Quel carnet finí alla figlia Rebecca, avuta con la divina Rita Hayworth e un giorno Rebecca lo offrí a Simone Duckstein, attuale proprietaria dell'hotel, che lo tiene ancora gelosamente nell'ufficio dell'albergo.

Da piccola Simone si aggirava fra i tavoli degli adulti più o meno illustri che soggiornavano lí per l'estate. Alcuni, come Simone De Beauvoir con un insolito turbante in testa e Jean Paul Sartre con la sua pinguedine e i suoi spessi occhiali da miope, la incuriosivano. Altri, come Picasso dagli occhi severi color carbone, la terrorizzavano e altri ancora, come la leggiadra Romy Schneider, la affascinavano. Una delle ospiti più fedeli a quelle stanze fu senza dubbio la scrittrice Françoise Sagan, icona della Nouvelle Vague e autrice di "Bonjour tristesse". Tornò ogni anno, immortalando La Ponche nel suo libro di memorie "Avec mon meilleur souvenir". Col mio migliore ricordo. Forse, quello di un'intera generazione di artisti cristallizzata per sempre nell'età della spensieratezza.

La curiosità

La famosa "moda alla marinara" che imperversò negli anni Sessanta, venne lanciata da Catherine Vachon, la cui modesta boutique di vestiti era allora accanto all'hotel La Ponche. Un giorno, Catherine ebbe l'idea di usare come modella per le sue magliette a righe una turista di sedici anni. Quella ragazzina si chiamava Brigitte Bardot.

Pubblicato il 26 luglio 2011 - Commenti (0)
25
lug

Plaza Athenée, il rifugio di Mata Hari

di Eva Morletto

Parigi

Qualche anno fa, a Parigi, un medico dell'ospedale Hotel Dieu, tale Damien Léger, mise a punto un dispositivo speciale per confortare i  pazienti afflitti da problemi d'insonnia. L'apparecchio si chiama Night Cove ed emana una luce rossa diffusa capace di favorire lo  sviluppo della melatonina, l'ormone del sonno. Oggi questo dispositivo  si trova in tutte le lussuose suite del Plaza Athenée, uno degli hotel  più esclusivi della capitale francese, per conciliare i sogni d'oro  degli ospiti... dalla carta di credito Platinum.

Anche senza marchingegni tecnologici, in ogni modo il Plaza ha sempre  avuto a che fare col mondo dei sogni. Quelli dei bambini ad esempio. È l'unico albergo al mondo ad avere suite speciali per i piccoli.  Quella per le bambine é arredata come una casa di bambole in grandezza  naturale, con tanto di letto a baldacchino rosa, e quella per i  maschietti vanta un autentico circuito di auto telecomandate che  scorrazzano per la stanza.

Se gli infanti nababbi possono far  sorridere, il Plaza nasconde molti altri segreti, molti ricordi simili a fiabe, ma senza nulla di lezioso, bensí carichi di avventura, intrigo, e talvolta tragedia.
L'hotel venne inaugurato nel 1913, a due  passi dal Teatro degli Champs Elysées. Mezzo secolo prima, Napoleone  III incaricò il barone Haussmann di rivedere l'intera urbanistica parigina, per fare della Ville Lumière una capitale piú moderna.
Vennero rasi al suolo interi quartieri di impianto medievale e sorsero  i famosi "boulevard" (si dice che il nome derivi da "boules vertes",  sfere verdi, in riferimento alle chiome degli alberi che li  costeggiavano), i lunghi viali alberati che ancora oggi attraversano  la metropoli, sui quali si affacciano centinaia di palazzi dall'inconfondibile charme ottocentesco.

Il Plaza Athenée é uno di questi. Nell'anno dell'inaugurazione, il mondo ribolliva e i semi d'odio che  avrebbero generato  la prima guerra mondiale, erano già stati sparsi. L'Europa aveva ancora un'identità profondamente monarchica. Sulla  Russia regnava Nicola II e un semisconosciuto Stalin veniva arrestato  in Siberia per ordine dello zar.
Furono in molte, allora, le teste  coronate e gli ospiti di sangue blu a varcare la soglia del Plaza  Athenée. Poi la guerra fece saltare tutto in aria e alle principesse  si aggiunsero i diplomatici, i militari, gli agenti segreti, le spie. Fra questi ultimi ci fu una danzatrice di origine olandese, Margareta  Geertruida Zelle.

La signorina Zelle abbandonò presto il bucolico  paesino di Leeuwarden nei Paesi Bassi per raggiungere il futuro  marito, un ufficiale della marina molto più anziano di lei, in Indonesia. Divorziò, voltò i tacchi e tornò in Europa, ma se l'amore  per il marito era venuto meno, Margareta si infatuò della danza, e da quelle terre esotiche portò con sé suoni, costumi, movimenti. 
Approdata a Parigi, divenne una ballerina di successo, finché il  collezionista d'arte orientale Emile Guimet le suggerí il nome d'arte  che la propulsò nella leggenda: Mata Hari, che in malese significa "sole". 
Ahimé, il sole di Mata Hari si spense presto, e proprio nelle stanze  del Plaza, dove venne arrestata nel 1917 con l'accusa di spionaggio e  doppio gioco. La bella danzatrice, alias agente H-21, avrebbe  collaborato sia coi servizi segreti tedeschi che con quelli francesi. 
Si dice fossero proprio i tedeschi ad averla "venduta", parlando di  lei e dei suoi favori in un codice radio obsoleto, già decifrato dagli agenti d'oltralpe.
Il Plaza Athenée fu cosí testimone della fine  tragica di una delle figure femminili più affascinanti e misteriose  del Novecento.

Dopo di lei, giunsero al numero 25 di avenue Montaigne  molte altre dive: Josephine Baker, Grace Kelly, Jackie Onassis e più o  meno tutte le icone femminili del secolo scorso. Ma fu lei, Mata Hari,  quella sorta di Icaro che volle librarsi troppo in alto fino a  bruciarsi le ali, a dare la nota di inizio alla leggenda.

Hotel Plaza Athenée  25, avenue Montaigne  75008 Parigi

La curiosità

Lo chef del Plaza Athenée é il celebre Alain Ducasse,  uno dei maestri di cucina più creativi al mondo. Qualche anno fa  Ducasse, indignato dal fatto che fossero costretti a ingurgitare  pillole insapori, inventò un menu per... gli astronauti.
I piatti  devono resistere a condizioni estreme, ad esempio vengono testati sotto temperature polari.  Cosí, grazie a Ducasse, nelle navicelle spaziali si possono mangiare  quaglie arrostite con puré alla noce moscata e pudding di riso con frutti canditi. Con buona pace dei produttori di pillole liofilizzate.

Pubblicato il 25 luglio 2011 - Commenti (0)

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Autore del blog

Grandi hotel grandi storie

Eva Morletto

Eva Morletto é da sette anni direttrice editoriale del magazine "Life Club", dedicato a viaggi e life style oltre che collaboratrice di numerose riviste. E' membro del Prix de la Villegiature, giuria internazionale impegnata a premiare i migliori resort e hotel di charme in Europa e nel mondo. E' stata corrispondente da Parigi per la televisione giapponese FUJI TV.

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