Navi veleni, caso De Grazia: è svolta

La morte del capitano Natale De Grazia non avvenne per infarto, come affermava l'autopsia, ma per avvelenamento. Lo dice il perito della Commissione parlamentare d'inchiesta.

Fermato prima che arrivasse troppo in alto

02/01/2013
Il capitano Natale De Grazia.
Il capitano Natale De Grazia.

Morto per “causa tossica”. Cioè, ucciso per avvelenamento. Secondo l'ultima, recente perizia è l’unica spiegazione possibile: il capitano di corvetta Natale De Grazia non sarebbe deceduto per morte naturale, come stabilito da autopsie e analisi, ma sarebbe stato assassinato.

Quest’“unica spiegazione possibile” – come scrive il perito, il professor Giovanni Arcudi, consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti – è però gravida di conseguenze inquietanti. La notizia arriva dalla Commissione parlamentare sui rifiuti, presieduta dall’onorevole Gaetano Pecorella (PdL), ma non è ancora stata resa pubblica (stava per esserlo, ma l’annunciata conferenza stampa è stata annullata all’ultimo minuto e rinviata a gennaio). Agli atti della Commissione è giunto questo nuovo accertamento – eseguito su mandato dello stesso organismo parlamentare – secondo il quale, senza condizionali, il dottor Arcudi parla di «progressiva depressione delle funzioni del sistema nervoso centrale», per la quale può essere identificata «solo la causa tossica» per provocare la “morte improvvisa” del capitano De Grazia.

Una verità sconvolgente che emerge a 17 anni di distanza (il decesso è avvenuto il 13 dicembre 1995), perché il militare stava conducendo delicatissime indagini, su mandato delle Procure di Reggio Calabria e di Matera, riguardo agli affondamenti delle navi piene di rifiuti tossici e radioattivi. Le inchieste erano quelle condotte dai magistrati Francesco Neri, di Reggio Calabria, e Nicola Maria Pace, all’epoca a Matera. Al centro delle indagini decine di “carrette del mare” affondate nel Mediterraneo, inabissando anche i carichi sospetti, forse materiale tossico, forse anche scorie radioattive.

Con la morte di De Grazia il lavoro investigativo aveva perduto slancio, e tutto era finito in archiviazioni, verso la fine degli anni Novanta. A lungo si era sospettato che la morte di De Grazia non fosse così “naturale”, ma la conferma proveniente della perizia, assieme alle nuove indagini sull’omicidio del capitano, rischia di riaprire l’intero capitolo delle cosiddette “navi a perdere” e delle coperture di cui hanno goduto per tanti anni questi traffici, perché chi avrebbe deciso di “tappare la bocca” a De Grazia lo ha fatto per bloccare le sue indagini.

Una discarica di rifiuti a Managua (Nicaragua). Foto Reuters.
Una discarica di rifiuti a Managua (Nicaragua). Foto Reuters.

Un capitolo davvero vasto. Non riguarda soltanto le specifiche inchieste di Neri e Pace, ma l’intera stagione dei traffici di materiale tossico-nocivo con l’Est europeo, con alcuni Paesi dell’America Latina, e soprattutto con l’Africa. Negli anni Novanta diverse Procure italiane (oltre a Reggio Calabria e Matera, anche Roma, Milano, Asti, La Spezia, Trieste, Venezia, Udine, Taranto, Lecce, Brindisi, Torre Annunziata, Palmi, Paola) avevano scoperto cordate di faccendieri, mafiosi e imprenditori senza scrupoli che avevano messo in piedi traffici di rifiuti tossici in cambio di armi, frodando le assicurazioni delle navi con affondamenti dolosi per i carichi dispersi in mare, e utilizzando la corruzione e le mazzette per ottenere la complicità dei Paesi di destinazione nei casi di interramento del materiale pericoloso. Ma gli investigatori avevano anche trovato indizi del possibile coinvolgimento di apparati dello Stato, di uomini e strutture dei servizi segreti.

Traffici che portano lontano: al Progetto Urano, nato per convogliare rifiuti europei e americani in una depressione naturale del Sahara, al confine fra Marocco e Mauritania; o alla Somalia, dove il segreto del mercato nero delle armi e dei rifiuti andava protetto a ogni costo. Tra le morti sospette vanno annoverate quelle di Vincenzo Licausi, un attivo 007 italiano, o quelle di giornalisti troppo curiosi come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Non solo. Pure la morte di Mauro Rostagno, il giornalista e sociologo, potrebbe avere a che fare con l’intreccio dei traffici illeciti – in questo caso “di Stato”, visto che coinvolgono strutture della Gladio militare – fra l’Italia e la Somalia.

Riguardo all’omicidio Rostagno, ucciso a Trapani nel settembre 1988, il processo in corso a carico di due mafiosi di Cosa nostra nelle prossime udienze approfondirà proprio la pista somala delle armi su cui stava svolgendo un’inchiesta giornalistica il fondatore della comunità Saman.

I collegamenti fra le indagini di De Grazia e questi fatti non sono remoti: proprio negli ultimi mesi prima della sua uccisione, il capitano di corvetta e i suoi collaboratori avevano individuato, nel corso di alcune perquisizioni, documenti che riguardavano il caso Alpi-Hrovatin e i traffici di materiale pericoloso verso la Somalia.

Che il capitano avesse ottenuto risultati investigativi rilevanti lo attesta la relazione inviata nel 2003 dai magistrati Francesco Neri, Nicola Maria Pace e Giovanni Antonino Marletta al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per chiedere la medaglia d’oro – poi assegnata – all’ufficiale: «Determinante», si legge nel testo, fu il suo «apporto investigativo», che «portò l’indagine ad acquisire elementi probatori di eccezionale importanza» in un’inchiesta che riguardava, scrivono ancora, «vicende avvolte nelle nebbie dei segreti di Stato, con la complicità dei più pericolosi faccendieri e trafficanti di armi e rifiuti, dei servizi segreti (deviati e non) di numerosi Stati, di organizzazioni criminali mafiose, che come tali potevano compromettere anche la sicurezza nazionale, tanto che si ritenne opportuno informare anche il capo dello Stato (all’epoca Oscar Luigi Scalfaro), per il tramite del procuratore della Repubblica di Napoli, Agostino Cordova, che nel frattempo svolgeva indagini collegate a quella di Reggio».

Insomma, l’inchiesta stava giungendo a riscontri importanti. Forse De Grazia è stato fermato appena in tempo, prima che arrivasse troppo lontano. E troppo in alto.

Luciano Scalettari
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Postato da curiazo il 03/01/2013 22:45

Scalfaro chi ? il magistrato... che ha goduto di quasi 5000 e. di pensione x i pochi mesi passati al servizio della RSI ? Quello cui il card. Pappalardo si è rivolto con la famosa frase "mentre Sagunto brucia, a Roma si discute" in occasione del massacro del Pref. Dalla Chiesa, quando OL.S. era ministro dell' interno |

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