Siria, salviamo almeno i bambini

Nel Paese mediorientale la guerra civile continua, ma la comunità internazionale ritarda decisioni risolutive per fermare un'emergenza umanitaria che colpisce soprattutto i minori.

Hamadi: "L'opposizione non si identifica con l'estremismo"

05/03/2013
Il giovane attivista italo-siriano Shady Hamadi.
Il giovane attivista italo-siriano Shady Hamadi.

«Il conflitto siriano è sempre sulle prime pagine dei media arabi, fra le notizie principali dei canali come Al Jazeera e gli altri satellitari. In Europa, invece, ci ricordiamo ogni tanto di questa tragedia, ma poi la lasciamo lì, abbandonata a sé stessa». A parlare è Shady Hamadi, giovane attivista per i diritti umani in Siria, figlio di un ex dissidente siriano esule in Italia e di una italiana. Fin dall'inizio della rivoluzione, Hamadi si è impegnato in prima persona nel denunciare i massacri dei civili da parte del regime e invocare un coivolgimento diretto della comunità internazionale, e in particolare dell'Europa, per una risoluzione del conflitto.

Shady, come vedi la situazione in questo momento in Siria?
«Il problema più grande è stato la disorganizzazione politica dell'opposizione. Il problema è che più si dilata nel tempo lo stato di abbandono più si estende il rischio che nasca e proliferi il fondamentalismo. Io credo che abbiamo due rivoluzione da fare: la prima è quella contro il regime, la seconda sarà quella di combattere contro l'estremismo che è un fattore esogeno al nostro Paese, frutto della politica del regime che è sempre stata volta alla disintegrazione del tessuto sociale siriano, ma frutto anche del disinteresse occidentale verso la Siria. Questa situazione fa sì che trovino terreno fertile le correnti estremiste, certamente minoritarie, ma alle quali gli occidentali danno grande risalto».

La comunità internazionale ha paura della deriva fondamentalista...
«L'Occidente condanna l'estremismo, ma non il regime di Assad. Un esempio, tempo fa gli Usa hanno inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche il Fronte Jhabat al-Nusra, una delle organizzazioni che combattono contro il Governo. Gli attivisti hanno risposto: perché gli Stati Uniti non condannano le azioni di Assad? Quello allora non è terrorismo?  Il fatto è che l'Occidente ha paura del dopo per la Siria e si preoccupano della situazione delle minoranze. Di fatto, però, in molte parti della Siria le minoranze convivono perfettamente. Credo che si debba aprire un dibattito serio sulla questione del massacro di civili che continua a essere perpetrato. I siriani dell'opposzione si lamentano di come vengono rappresentanti all'estero: Moaz al-Khatib, capo della Coalizione nazionale siriana, al summit di Roma lo ha detto chiaramente».

Sei tornato recentemente in Medio Oriente?
«Sono stato in Libano a marzo dello scorso anno. Ho visto un completo stato di abbandono. A Tripoli c'era un ospedale clandestino che non aveva alcun tipo di sostegno umanitario e doveva anche difendersi dalle autorità libanesi: il Governo libanese infatti è filo-Assad, e questo complica le cose. Nella valle di Wadi-Khaled, all'interno del territorio libanese a ridosso della Siria, spesso le truppe siriane hanno sconfinato tranquillamente per operare dei sequestri. Nei campi profughi sono morte persone assiderate, al confine con Turchia ho visto campi profughi allagati. Mancano i rifornimenti e i mezzi di sussistenza».  

Perché non si riesce ad arrivare a una soluzione politica, a un accordo tra le parti?
«Perché nella sua dialettica di regime Assad non ha mai riconosciuto l'altra parte, gli oppositori che chiedono riforme, non ha mai voluto riconoscere la rivoluzione in atto. Questo non solo adesso, lo abbiamo già visto in passato, nel 2001 quando degli intellettuali portarono delle richieste ad Assad pensando che fosse migliore del padre. Non c'è mai stata una reale volontà riformatrice da parte del regime. Penso che una soluzione politica si potrebbe trovare se ci fosse la volontà di persone come Farouk al-Sharaa, il vice-presidente, di intavolare trattative con l'opposizione, ma è difficile che accada. Questo anche a causa del coinvolgimento diretto e delle pressioni dell'Iran a sostegno del regime di Damasco, che preoccupano l'Occidente. C'è stata anche una cecità da parte dell'Unione europea nel mettere in campo un'azione comune. Anche le autorità palestinesi, al-Fatah e Hamas, filo-Assad, hanno aspettato oltre un anno per condannare il massacro in corso in Siria e cambiare la loro posizione. Ma l'opinione pubblica che condanna le uccisioni di palestinesi ad opera di Israele, perché non condanna allo stesso modo le morti dei palestinesi all'interno della Siria per mano del regime? Con la Siria e il regime di Assad si usano sempre due pesi e due misure».

a cura di Giulia Cerqueti
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