L'America dei forzati dello shopping

Dagli Usa il racconto dell'ultimo "Black Friday", il giorno in cui i commercianti abbassano i prezzi per incassare il più possibile. Saccheggi notturni ai supermercati "Best Buy".

27/11/2011


Boston, Stati Uniti

Giovedì sera verso l’una di notte, al ritorno dalla cena del Thanksgiving, (la tradizionale abbuffata del giorno del ringraziamento a base di tacchino e contorni ipercalorici assortiti) sono passato, in macchina, davanti al mio "Best Buy" di quartiere, punto vendita della maggiore catena di elettronica americana, una delle pochissime sopravvissute alla crisi. Considerata la fila, che faceva praticamente il giro del negozio – grande quanto un palasport italiano di provincia - e le temperature del novembre Bostoniano, ho pensato bene di tirare dritto. Ci sono tornato alle 10 del mattino seguente. La fila non c’era più, in compenso il parcheggio, di dimensioni adeguate al negozio, era un complesso gioco ad incastro con posti auto conquistabili solo grazie al giusto mix di pazienza e strategia. Proprio come i (pochi) prodotti (molto) scontati che quest’anno, si calcola, nell’intero ponte del ringraziamento hanno attirato nei negozi oltre 152 milioni di americani - più della metà della popolazione censita.

Quest’anno poi questa forsennata sessione di shopping prenatalizio è cominciata prima del solito. Il “Black Friday” o venerdi’ nero, chiamato cosi’ per indicare il giorno in cui nei bilanci annuali i commercianti finiscono di coprire le spese andando in attivo (in “nero” appunto) è iniziato lo scorso giovedì. Catene tematiche e grandi magazzini hanno pensato bene di aprire i battenti ai “cacciatori di saldi” fin dalla sera del ringraziamento (la maggior parte a mezzanotte ma qualcuno addirittura alle 9) praticamente nel mezzo della digestione, col rischio di finire di rovinare del tutto l’unica ricorrenza americana non commerciale rimasta. Per tutta risposta, una nazione in piena crisi economica, ha reagito affollando ulteriormente i negozi, che secondo le prime stime hanno servito rispetto all’anno scorso un 10% di clienti in più. E nonostante sapessi benissimo che fare un reportage sul Black Friday americano con un po’ di soldi in tasca è come andare a intervistare i malati di influenza aviaria senza vaccino, una volta trovato parcheggio mi sono avventurato anch’io nella bolgia dei compratori forzati.

Nel negozio, già provato dai segni del "saccheggio" notturno, un banditore chiamava ad alta voce i nomi di chi, chissà quanto tempo prima, si era prenotato o per accaparrarsi qualche prodotto che forse in giornata sarebbe tornato sugli scaffali o semplicemente per avere l’attenzione di commessi già esausti all’ora di colazione. E al mio futile tentativo di trovare – ben dieci ore dopo l’apertura – uno dei computer portatili superscontati proposti mi è stato prontamente risposto: “La cosa migliore è provare online”. Di fatto da qualche anno, Internet fa parte integrante del Black Friday. Sia come ultima spiaggia per i ritardatari che possono approfittare del "cybermonday" (il lunedì cibernetico) sia come alternativa (non garantita tuttavia) per chi il tacchino preferisce ancora digerirlo a letto. Così a ridosso del pranzo a base di avanzi del giorno prima (altra tradizione antica e immancabile) il sottoscritto è riuscito a trovare prodotto e prezzo desiderati, nel grande magazzino virtuale del web. Restava da andarselo a prendere però.

Dunque alle 6 di pomeriggio: altra spedizione da "Best Buy". A quel punto, col negozio aperto da 18 ore, si cominciava addirittura a trovare parcheggio. In compenso la fila alle casse ricordava in maniera preoccupante quella – esterna – della notte prima. Lo stesso banditore (poveraccio) continuava a urlare i nomi dei prenotati: certo l’attesa per un po’ d’attenzione era molto diminuita, in modo proporzionale tuttavia alla quantità di merce rimasta sugli scaffali che a quell’ora assomigliavano più che altro a quelli di un supermercato o di una ferramenta la sera prima dell’uragano. Ovviamente il mio computer non c’era ancora. Nell’attesa (vana, tra l’altro, visto che lo avrebbero consegnato solo il giorno dopo) osservavo la gente in fila, gente di tutte le razze e di tutte le età, che ogni anno crisi o non crisi continua ad uscire di casa nell’unica vacanza in cui il calendario permette qualche giorno di pace, ad accalcarsi per comprare cose che spesso non servono, con soldi che, ahimé ancora più spesso, non hanno. Forzati dello shopping, che anzi, diventano ancora più numerosi in tempi di vacche magre - il che sarebbe comprensibile se i saldi riguardassero cibi in scatola e coperte piuttosto che cellulari e videogame.


“Pensi che per le Tv da 42 pollici a 200 dollari c’era gente in fila da mercoledì sera, e sono finite dopo appena due ore”, mi dice la cassiera interrompendo le mie riflessioni macroeconomiche. “Sono 365 dollari”, continua dopo aver scansionato lo schermo gigante per il mio altro computer, la tastiera e il mouse senza fili (con cui sto scrivendo questo articolo), e la macchina fotografica digitale ad alta definizione, con cui stavo tornando a casa alle 8 passate. “Per il suo portatile, ripassi domani”, conclude, “arrivederci e buon weekend del ringraziamento!”. In quell’istante ricordo di aver pensato “stavolta oltre al vaccino mi sa che ho dimenticato anche la mascherina!”.

Stefano Salimbeni
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