Verdoscia, missionario tra i rifiuti

Padre Luciano Verdoscia, comboniano, vive da 17 anni al Cairo, dove lavora nel quartiere dei raccoglitori di immondizia. E accoglie bambini cristiani e musulmani.

01/04/2012
Padre Luciano Verdoscia con i bambini che frequentano il suo centro, nel quartiere di Esbet el Nakhl, al Cairo, in Egitto (le fotografie di questo servizio sono di Bruno Zanzottera).
Padre Luciano Verdoscia con i bambini che frequentano il suo centro, nel quartiere di Esbet el Nakhl, al Cairo, in Egitto (le fotografie di questo servizio sono di Bruno Zanzottera).


Il Cairo

Dodici fermate di metro per entrare in un altro mondo. È una distanza geografica, ma soprattutto sociale, culturale, economica, quella che separa il centro del Cairo, dove vive, dal quartiere di Esbet el Nakhl, dove lavora. Padre Luciano Verdoscia la percorre quasi ogni giorno. Dodici lunghe fermate, in carrozze sovraffollate, dove la gente trasporta sé stessa e la fatica di vivere nell’Egitto di oggi. Un Paese in transizione, che esce dal lungo regime di Hosni Mubarak per affacciarsi su un futuro alquanto incerto.


Padre Luciano, missionario comboniano originario di Bari, condivide da 17 anni le contraddizioni di questo mondo in ebollizione. Ha partecipato alla rivoluzione, scendendo in piazza con i giovani e osservandola dalle finestre di casa
, che si affacciano proprio su alcuni dei luoghi più caldi della rivolta: il sindacato dei giornalisti, da una parte, e il palazzo di giustizia dall’altra. E poi l’ha vissuta, come sempre, accanto ai più poveri tra i poveri, quelli che è andato a incontrare e ad affiancare in una delle periferie più degradate del Cairo: Esbet el Nakhl, appunto, il quartiere degli zabbalin, i raccoglitori di immondizia.


Sembra un mondo a parte. Casermoni senza intonaco, tirati su malamente uno accanto all’altro, viuzze claustrofobiche, dove si affaccia una vita minuta di piccoli commerci e botteghe artigianali. Spazzatura dappertutto. Padre Luciano cammina spedito. I suoi piedi conoscono a memoria queste stradine dissestate. Di tanto in tanto si ferma a salutare e a scambiare qualche chiacchiera. E poi, via, sempre di corsa. Si sofferma un po’ più a lungo con il prete copto-ortodosso; si conoscono bene, collaborano. È un quartiere dove ci sono molti cristiani: gli zabbalin sono quasi tutti copti originari dell’Alto Egitto. Ma qui, alle elezioni legislative dello scorso dicembre-gennaio, hanno vinto i Fratelli musulmani e i salafiti.


Padre Luciano scuote la testa. «C’è molta povertà, miseria», racconta, «e molta ignoranza. La maggior parte della gente non ha alcuna istruzione. Gli zabbalin, oggi, sono quelli che tutto sommato stanno meglio in questo quartiere, anche se vivono in condizioni tutt’altro che dignitose. Molti altri, però, lavorano letteralmente come schiavi, pagati poco più di niente: 50 lire egiziane al giorno, quando va bene, circa 7 euro. Altri ancora affittano una stanza in questo quartiere, perché costa meno, e lavorano altrove, sobbarcandosi viaggi disumani nel traffico infernale del Cairo».


Non è un caso che padre Luciano sia finito qui. Lui, del resto, non è uomo dalle mezze misure. Ex sessantottino, ha vissuto sin dall’inizio la vocazione come dono totale di sé stesso: «Portare amore, attraverso progetti di giustizia, ispirato da una filosofia della carità». È finito per cinque anni in una delle zone più martoriate del Sudan, i Monti Nuba, tra popolazioni particolarmente perseguitate e oppresse durante i lunghi anni della guerra civile che ha opposto Nord e Sud. Poi è “sbarcato” al Cairo, metropoli tentacolare e caotica di circa 20 milioni di abitanti, dove si è dedicato allo studio e al sociale: prima, ha contribuito a fondare la Dar Comboni, l’Istituto di studi arabi dove insegna tuttora teologia islamica, poi si è dedicato al lavoro sociale in uno dei quartieri più depressi della capitale egiziana.


«Non è stato facile», ammette, «soprattutto agli inizi. Abbiamo cominciato in un convento dei Francescani, che ci avevano messo a disposizione degli spazi. Avevamo circa 150 bambini, cristiani e musulmani, provenienti da famiglie poverissime e disastrate. Poi lo Stato è intervenuto e ci ha mandati via, accusandoci di fare proselitismo. Allora ci siamo spostati qui, sempre con lo stesso obiettivo: quello di lavorare con gli ultimi tra gli ultimi, cercando di contribuire a far crescere una generazione nuova, più istruita, più aperta».


Oggi sono circa 400 i bambini che frequentano il Centro di padre Luciano, in una struttura un po’ rabberciata messa a disposizione dalla Chiesa copta: alcune stanze per lo studio e una grande sala per i momenti di festa
. Guai, però, a chiamarlo doposcuola. «È qualcosa di più e di diverso», precisa il missionario. «Certo, facciamo sostegno scolastico perché le scuole governative sono un disastro e i bambini ne escono praticamente analfabeti. Ma attraverso i bambini incontriamo le famiglie, portiamo aiuto nei casi di bisogno: nel nostro staff, oltre agli insegnanti, abbiamo assistenti sociali, psicologi e un medico. Quest’anno vorremmo aprire anche un dipartimento per disabili; ce ne sono moltissimi e sono un vero dramma per le famiglie povere, che non sono in grado di occuparsi adeguatamente di loro».


Padre Luciano è un sognatore e un visionario. In testa ha una nuova grande struttura, pensata per un migliaio di bambini, con annesso dispensario. Più un progetto di cooperative, per dare uno sbocco lavorativo ai ragazzi del quartiere
, in un Paese dove il tasso di disoccupazione giovanile è alle stelle. «Vorrei che fosse un posto bello, curato, perché anche con la bellezza e con le cose fatte bene si fa educazione». Per adesso, il grande spazio su cui dovrebbe sorgere è un enorme immondezzaio, invaso da sacchi di spazzatura e maiali. Ci vuole un certo sforzo di fantasia per immaginare che lì sorgerà presto una nuova struttura, dove padre Luciano sogna di trasferirsi a vivere.


«Vogliamo portare in mezzo a questa gente i valori del Regno, non con le parole, ma attraverso azioni concrete. Non vogliamo fare demagogia, ma parlare con le opere di carità. Il nostro obiettivo di fondo è combattere la povertà attraverso l’istruzione. È il solo modo per offrire alle persone strumenti per migliorare la propria vita, per renderle meno sprovvedute e manipolabili. Nella miseria trova fertile terreno il fanatismo e l’intolleranza. Noi ci opponiamo, cercando di promuovere il dialogo tra cristiani e musulmani, su basi concrete, attraverso le opere sociali, favorendo l’incontro e l’azione concreta».


Tra i bambini sembra tutto più facile. Nella grande sale del Centro di padre Luciano, sono in centinaia – cristiani e musulmani, indistinguibili gli uni dagli altri – a partecipare a un momento di festa, con scenette divertenti e distribuzione di doni. «Muslim missihi id wahda!», hanno gridato in piazza Tahrir i giovani della rivoluzione. «Musulmani e cristiani sono una sola mano». In questo quartiere popolare del Cairo, tra i bambini di padre Luciano, non sembra impossibile.

Anna Pozzi
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