Dossier - La Giustizia ingiusta

Errori, ritardi, milioni di processi arretrati, tribunali sotto organico. Ecco come la macchina della Giustizia produce ingiustizie.

"Troppi errori, ma non è sempre colpa dei giudici"

01/11/2011
L'avvocato Gabriele Magno.
L'avvocato Gabriele Magno.

«Negli ultimi dieci anni ci sono state 8.000 richieste di risarcimento per ingiusta detenzione. E ben 2.500 sono state accolte. È un numero enorme. Ma la legge attuale non consente un adeguato risarcimento perché fissa il tetto massimo in 516 mila euro. Noi chiediamo l’abolizione di questo tetto, così come chiediamo, nel caso di errore giudiziario, che sia tolto il limite di tempo entro il quale si può avviare la causa di equa riparazione, che oggi è fissato in due anni dalla revisione del processo e dall’assoluzione».

     A parlare è l’avvocato Gabriele Magno, fondatore dell’Associazione Nazionale Vittime Errori Giudiziari. L’associazione, spiega, è nata dieci anni fa, quando lui e altri avvocati e giuristi si sono resi conto che non esisteva alcuna realtà che tutelasse le vittime della giustizia. E, oltre all’errore giudiziario e all’ingiusta detenzione, si occupa anche di una terza tipologia di problemi: l’eccessiva lunghezza dei processi.

     «La lunghezza ingiustificata dei procedimenti italiani ha già portato a 38 mila ricorsi», aggiunge l’avvocato Magno. «Se il processo è troppo lungo non è più giustizia. In giurisprudenza è cosa nota: un processo deve avvenire in aula e non solo sulle carte; dev’essere immediato, cioè a ridosso dei fatti; dev’essere ragionevolmente rapido. Se no è un processo ingiusto».

- Avvocato, perché l’Italia soffre da sempre di una giustizia lenta e inceppata?

     «Perché, pur avendo inventato il diritto, ci siamo dimenticati di un suo caposaldo, che era già chiaro all’epoca dei romani: il precedente giudiziario è vincolante. È il principio su cui si basa la giustizia americana: la Corte Suprema emette 120 sentenze l’anno, ma tutti i tribunali e in tutti i gradi di giudizio vi si devono uniformare».

- E in italia, invece?

     «I nostri riferimenti di giurisprudenza provengono dalle leggi. Il Parlamento legifera e il giudica deve applicare. Per farlo deve interpretare la legge. Le sentenze della Corte di Cassazione non sono vincolanti. Fanno giurisprudenza, ma ogni magistrato, ogni avvocato e ogni giudice trovano nella storia giurisprudenziale tutto e il contrario di tutto. La legge, poi, arriva spesso molto tardi rispetto al fenomeno che deve normare, e talvolta risulta inefficace già fin dal suo nascere. Ammesso che si faccia la legge...».

- Che cosa intende dire?

     «Che il Parlamento spesso agisce in base a ragioni di maggioranze, di opportunità del momento politico, di convenienza di una parte o dell’altra».

- Come dev’essere la durata di un “processo giusto”?

     «I tempi sono noti: 3 anni per il primo grado, due anni per il secondo, e 1 anno per la Cassazione, l’ultimo livello di giudizio».

- E invece?

     «E invece basta guardare ai ricorsi alla casistica di condanne dell’Italia alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per vedere quanti processi, specie civili, durano quindici, venti, o anche oltre 25 anni. In Italia è diventato quasi normale che si fissi l’udienza successiva di un processo civile due anno dopo, talvolta anche tre. Come si può aver fiducia in una giustizia che lavora con questi tempi?»

- Negli ultimi anni ci sono stati alcuni casi di risarcimenti clamorosi, di milioni di euro…

     «È vero. Riguardano processi di equa riparazione per errori giudiziari (il risarcimento nel caso del vero e proprio errore si chiama così). Ad esempio, il “caso-Barillà”, uno dei casi storici di cui si è occupata l’associazione, ha ottenuto il risarcimento di 4,6 milioni di euro. In quella vicenda, oltre all’errore giudiziario, c’era il problema di 5 anni e mezzo di ingiusta detenzione. Ma la vera novità è che per la prima volta era stato accolto dal giudice il concetto di risarcire il danno esistenziale, ossia le conseguenze pesantissime subite dalla vittima dell’errore che ne peggiorano definitivamente la qualità della vita. Il danno esistenziale va ad aggiungersi agli altri: danno morale, biologico, e via dicendo».

- Qual è la vostra posizione? Che siano i magistrati in prima persona a pagare l’errore?

     «No, noi non siamo del “partito anti-magistrati”. Anzi, pensiamo che la contrapposizione non aiuti affatto la giustizia. La nostra posizione è equilibrata: i magistrati possono sbagliare, come tutti; non ci interessa di punire i magistrati, ma che venga risarcita la vittima e riabilitato il suo buon nome. Pensiamo, tra l’altro, che di fronte al rischio dell’indenizzo, il magistrato si autolimiterebbe e porrebbe molta attenzione nel prendere certi provvedimenti».

- Non c’è il rischio di limitare l’autonomia della magistratura?

     «L’ultima cosa che vogliamo è limitarne l’autonomia, che è uno dei capisaldi della giustizia. Il magistrato è e deve rimanere autonomo».

- È ­sempre del giudice la colpa dell’errore?

     «Per la mia esperienza no. Lo è nel 50 per cento dei casi, l’altro 50 è di noi avvocati. Sapesse quanti ne vediamo commessi dai colleghi: ricorsi dimenticati, scelte difensive sbagliate, errori procedurali. Tanta giustizia ingiusta viene anche da scarsa preparazione di una parte della nostra categoria».  

Luciano Scalettari
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