Guerriglia Londra, un anno dopo

La Gran Bretagna che festeggia i Giochi ha quasi dimenticato la guerriglia che sconvolse Londra un anno fa, causando 5 morti, 4.000 arresti e centinaia di negozi distrutti.

La morte che accese la guerriglia ancora un mistero

04/08/2012

Altre medaglie d’oro e la Gran Bretagna che festeggia ha quasi dimenticato la guerra che distrusse Londra e altre città inglesi un anno fa, lasciando 5 persone morte, 4.000 vandali arrestati e centinaia di negozi nei quartieri più poveri distrutti.

Oggi Stratford e Croydon, le zone più colpite, sono proprio quelle rimesse a nuovo dalle Olimpiadi, con 8.000 posti di lavoro garantiti dal nuovo shopping centre Westfield e le casette con giardino che presto gli atleti lasceranno libere per la popolazione locale.

Si festeggiano con picnic e barbecue le 205 bandiere dei 10.000 atleti eppure dal 6 al 10 agosto il Regno Unito sospese il fiato assistendo alla guerra civile peggiore in generazioni. Sulla morte che accese il primo fiammifero dell’incendio, quella di Mark Duggan, un uomo di colore disarmato ucciso dalla polizia proprio il 4 agosto, non è stata ancora fatta chiarezza.

La Commissione Independente interna, che si occupa delle denunce di chi non è soddisfatto di come si sono comportati gli agenti, sta procedendo così lentamente che il pubblico ministero ha minacciato di incriminarla per offesa al tribunale.

Duggan venne ucciso da una pallottola al petto e la famiglia ha chiesto, subito dopo la morte, perché non sia stato colpito in una parte del corpo meno vitale.

Fu proprio l’assenza di una risposta – la polizia non si rese disponibile a incontrare la mamma e il fratello di Duggan – a scatenare i disordini.

Saranno proprio i parenti a ricordare Mark Duggan, domenica 5 agosto, alle cinque del pomeriggio, durante una funzione nel municipio di Tottenham, uno dei quartieri più colpiti dai vandali.

Una delle poche celebrazioni che ricorda i disordini di un anno fa.



A sinistra, i pompieri combattono un incendio che sta bruciando negozi e case a Croydon, il 9 agosto 2011. A destra, un anno dopo (foto Dan Kitwood/Peter Macdiarmid/Getty Images).

Silvia Guzzetti
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Postato da Franco Salis il 06/08/2012 12:19

Mi corre quasi obbligo intervenire, giacché sono intervenuto l’anno scorso nel servizio di Pino Pignatta dal “titolo Londra, è l'ora degli arresti” del 10.08.2011. L’anno scorso avevo lanciato una “sfida” e come risposta ho avuto una “contro sfida”, alla quale ho risposto senza ottenere alcuna replica. Va bene, si era, come del resto ora, in piena estate. Rimando pertanto a quelle riflessioni. Debbo riconoscere che sono stato mio malgrado Cassandra : oggi si teme che i fatti si ripetano, perché le parti non si sentono soddisfatte. Tengo a precisare che ho aperto il link, suggerito nella quarta parte dell’attuale servizio, ma, scritto tutto in inglese The Guardian, ho dovuto far ricorso al traduttore di Google, ma la traduzione era del tutto insoddisfacente e quindi l’ho dovuta integrare in più tempi. Mi pare che il servizio odierno sia più ampio e appare in filigrana un po’ delle mie osservazioni dell’anno scorso che fra l’altro sono contenute ,in termini e parole diverse nel the guardian. Prima considerazione: allora la mia risposta alla “contro sfida” non era del tutto campata in aria se oggi si dice che non avendo fatto quelle cose si teme la reiterazione dei mis-fatti. Nel the guardian ci sono una pluralità di osservazioni che possono candidamente soddisfare me, e i miei interlocutori di allora, folgore e di Cappe, tale da giustificare ampiamente la mia convinzione che c’è “molta, troppa gente che la pensa come questi due amici”. Aggiungo che le osservazioni fatte da “Tavola per la pace” sebbene riferite all’incipiente crisi della Siria, sono estremamente superficiali, sostanzialmente dice: “ vogliamoci tutti bene” e se non ci non ci vogliamo bene sia “babbo” (ONU) a sculacciarci. Oltre ad avere in corso ben 35 conflitti fra nazioni e molti di più tra gruppi (pseudo-civici e/o pseudo- religiosi) o tribù in conflitto fra loro, oggi abbiamo i potenziali conflitti che possono partire dalla crisi in atto economico-finanziaria. Da questi numeri, si evince la complessità del fenomeno conflittuale e/o belligerante ,la cui soluzione non può essere contenuta in un commento, fatto da un non specialista della materia, ma da un povero cristiano che cerca la pace. Il pessimismo ha origine nel constatare che l’istituzione che avrebbe potuto garantirla, costituisce l’ostacolo maggiore alla pace perché non disposta a privarsi delle ricchezze. Si aggiunga che il suo capo(il Papa ,è chiaro si) si limita a prelevare dal cassettino una delle sue elucubrazioni, che non sono state asportate dal “corvo” e ce la propone . Riporto l’ultima in ordine di tempo: «Abbiamo bisogno di Dio più che della salute o di altro». L’esortazione pur essendo valida, anzi validissima, però di fatto viene recepita come infantile e incomprensibile per chi si trova a non aver salute e neppure il minimo necessario. Dette le quali cose ripropongo (perché credo di averle già recentemente proposte) alcune indicazioni per chi vuole veramente la pace, tratte da un saggio di Johan Galtung: Pace positivo e negativo, che trovate in rete . Ne consegue che Papa e cardinali, se veramente hanno un minimo di carità e umiltà cristiana si astengano dal proferire parola. Questo non vuole essere un invito a venir meno al loro compito di Pastori, ma una presa d’atto di manifesta incapacità perché potrebbe inquinare e dare scarsa credibilità: LASCINO FARE AI CHRISTIFIDELES LAICI. Ecco di seguito in sintesi: 1) le condizioni di povertà economica sono le più importanti cause di lungo termine dei conflitti armati, all’interno di un medesimo Stato, della nostra epoca;2) anche i sistemi politici autoritari sono war-prone (essendo caratterizzati dalla cosiddetta negative peace), soprattutto nei periodi di transizione;3) la mancanza di una corretta distribuzione della ricchezza e di giustizia sociale può provocare conflitto anche all’interno dei sistemi democratici;4) la positive peace, concetto assente in ogni sistema politico attuale, sarebbe la condizione necessaria ad una cultura di pace e giustizia sociale;5) il depauperamento di risorse rinnovabili può contribuire in modo significativo allo scatenarsi di un conflitto, ma questa causa non è in genere considerata centrale dagli studiosi, malgrado essa appaia decisamente correlata a condizioni economiche di povertà;6) la diversità etnica non è di per sé causa di conflitti armati, anche se le parti in lotta sono spesso identificabili attraverso il dato etnico. Se vuole essere gentile ,il cardinale Bertone mi dica quali di queste indicazioni lo SCV non abbia sempre violentemente messo in atto.Ciao

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