Sicurezza, quel senso d'onnipotenza

Gli incidenti sono la prima causa di morte sotto i trent'anni. E alle tradizioni insidie oggi si aggiungono tablet, smartphone e navigatori. Meglio investire sui corsi di guida sicura.

Elisabetta Mancini, Polizia stradale: «Nel paradosso del giovane guidatore»

24/06/2012
Elisabetta Mancini, vice Questore aggiunto della Polizia stradale e responsabile delle campagne di sicurezza della Polstrada.
Elisabetta Mancini, vice Questore aggiunto della Polizia stradale e responsabile delle campagne di sicurezza della Polstrada.

L'incidente è la prima causa di morte per i giovani, non solo in Italia ma anche in Europa prima della malattia e prima della droga. Un dato preoccupante, nonostante il calo dei sinistri: nel nostro Paese, per esempio, nel decennio 2001/2010 l’Italia ha registrato una riduzione della mortalità del 42,4%, in linea con la media europea del 42,8%. Tuttavia, velocità eccessiva, mancato rispetto delle regole, abuso di alcol, distrazione al volante, eccessiva confidenza nelle proprie capacità di guida, uso disinvolto delle tecnologie multimediali in automobile, con la conseguente incidentalità che ne deriva, rimangono una problema piuttosto grave, soprattutto in relazione alle fasce di popolazione più giovani, sotto i 30 anni. Ne abbiamo parlato con Elisabetta Mancini, vice Questore aggiunto della Polizia stradale e responsabile delle campagne di sicurezza della Polstrada.

Non le sembra che, nonostante le recenti campagne di sensibilizzazione sulla sicurezza, questi comportamenti altamente irresponsabili non diminuiscano, anzi, siano in aumento?
   «Non direi, i dati che abbiamo ci suggeriscono il contrario. E cioè che all'aumentare dei controlli - l'anno scorso sono stati un milione e 800 mila circa quelli sul tasso alcolemico - non si è visto crescere in proporzione il numero delle contravvenzioni. E questo significa che c'è un aumento della sensibilità sul problema. E si fa sempre più strada tra i giovani il concetto del "guidatore designato", quello che la sera decide di non bere per riaccompagnare a casa sani e salvi gli amici. Certo, non significa che non ci siano più la guida in stato di ebbrezza, sotto l'effetto di stupefacenti o l'eccessiva velocità. Anche perché, anche attraverso la facoltà di Psicologia della Sapienza di Roma, che ci assiste nelle nostre campagne, dalle nostre ricerche si conferma che continua a esistere il cosiddetto "paradosso del giovane guidatore".

Di che cosa si tratta, esattamente?
   «È un fenomeno parecchio conosciuto nella letteratura scientifica, secondo il quale per un giovane è normale avere un senso di incoscienza, avere l'idea che nulla possa capitargli, un senso di onnipotenza. Più mette sulla strada comportamenti a rischio, e più non ha conseguenze negative nell'immediato dai suoi comportamenti, più si rafforza nell'idea di onnipotenza. E quindi la volta successiva oserà ancora di più, e sempre di più, finché questo circolo vizioso non si spezza con l'incidente. È l'incidente che mette il ragazzo di fronte alla consapevolezza dei rischi della circolazione stradale. Non solo chi è coinvolto, ma anche gli amici e la cerchia dei familiari».

Come Polizia Stradale che cosa fate per contrastare questo "paradosso"?
   «Cerchiamo, con le nostre iniziative e il sostegno alle campagne di sensibilizzazione, di far sì che questa consapevolezza nei giovani arrivi prima dell'incidente. Anche nei giovanissimi, perché il "paradosso" riguarda anche i ragazzi che guidano il motorino. L'inesperienza tipica del giovane, intendendo come inesperienza anche quella tecnica di guida, affiancata al senso di onnipotenza e di poca consapevolezza dei propri limiti, sono un mix davvero esplosivo».

Oggi ai soliti problemi di eccesso di velocità ed eccesso di confidenza nelle proprie capacità al volante, si stanno aggiungendo le nuove tecnologie elettroniche a bordo, con conseguenze spesso devastanti...
   «Sì, il fenomeno degli incidenti dovuti a Sms, consultazione di smartphone, aggiornamento del profilo Facebook, invio di email mentre si guida, eccetera, è purtroppo in aumento e rappresenta un pericolo concreto, anche se è difficile da monitorare e intercettare, perché raramente come Polizia riusciamo a sanzionare chi guida usando la posta elettronica o inviando messaggi. Spesso ci capitano incidenti dove si registrano fuoriuscite o sbandamenti autonomi, e spesso la causa di questa distrazione è il telefonino. O anche il navigatore: chi lo imposta non all'inizio del viaggio ma in corsa espone sé stesso, chi è con lui e altri automobilisti intorno, a una causa di distrazione in più e a conseguenze imprevedibili».

Il navigatore, però, è tecnicamente impossibile da impostare se l'automobile è in movimento...
   «Vero, ma è così solo per i dispositivi di navigazione satellitare fissi, incorporati nell'automobile. Ma purtroppo sono sempre più diffusi dispositivi Gps che non sono legati alla plancia della vettura, ma presenti su supporti mobili, come tablet e smartphone, che quindi sono impostabili anche mentre uno sfreccia in autostrada. Quindi, in questi casi sono certamente utili le sanzioni, gli interventi anche repressivi, ma qui è indispensabile la formazione, la cultura della sicurezza, per spiegare il perché delle regole, per aggiornare i metodi di insegnamento alle nuove tecnologie, formando soprattutto i ragazzi nelle scuole, perché sono loro gli automobilisti di domani, che devono al momento di prendere la patente già avere interiorizzato il fatto che non è prudente sfruttare il proprio smartphone mentre l'auto viaggia».

Secondo lei in Italia i ragazzi escono preparati e consapevoli dalle autoscuole?
   «Queste sono considerazioni che non mi appartengono come campo di attività. L'esame di guida in Italia è una prova seria. Noi, come Polizia stradale, insistiamo molto sui corsi di guida sicura post-patente, e su questo insistiamo anche con i genitori, perché questi corsi mettono il ragazzo di fronte ai rischi reali della strada, e fanno sperimentare loro in  pista le reazioni dinamiche di un'automobile in caso di emergenza, come una frenata in curva o sul bagnato, dando loro modo di conoscere in anticipo come si comporta una vettura, sapendo quali sono le contromisura da adottare. Sono corsi che ormai non costano più tantissimo, quanto per esempio un abbigliamento super griffato che regaliamo ai nostri figli, ma possono salvare loro la vita, aumentando la coscienza del rischio e diminuendo la tendenza all'onnipotenza mentre sono al volante».

Le campagne di sensibilizzazioni, sempre più frequenti negli ultimi anni, "passano" ai giovani, o è ancora una strada lunga?
   «Passano se sanno parlare il loro linguaggio. Sino a 10-15 anni fa parlavamo con i giovani con un codice distante dai loro standard. Ci siamo resi conto che questa non era la chiave giusta, e quindi abbiamo cercato di adeguare il nostro linguaggio al loro sentire, utilizzando per esempio il teatro per parlare di sicurezza stradale, testimonianze di vittime giovani di incidenti, per far leva sul modo di comunicare dei loro coetanei. Ci siamo serviti di ricostruzioni o di immagini di incidenti stradali realmente avvenuti per illustrare i comportamenti a rischio in modo più efficace. E da ultimo, nell'ambito di un progetto europeo che ha visto l'Italia capofila su altri 13 Paesi dell'Unione, che si è concluso presso il Parlamento europeo l'anno scorso a settembre, abbiamo realizzato un film, che sarà presentato anche a luglio al Giffoni Festival: si chiama "Young Europe", parla della storia di quattro adolescenti europei la cui vita è legata da un filo rosso rappresentato dall'incidente. Siamo convinti che bisogna partire dalle emozioni dei ragazzi per far passare il messaggio di legalità in modo efficace».

È vero che i nostri giovani sono tra i guidatori peggiori in Europa?
   «Assolutamente no. I profili di rischio del giovane guidatore italiano che avevamo tracciato nel 2007, corrispondono sostanzialmente a quelli degli altri ragazzi europei. Dal progetto Icarus si vede che su 14 Paesi il profilo di rischio è omegeneo. Ci sono nazioni in cui è più spiccata l'aggressività alla guida, altre in cui è più alta la tendenza allo stato di ebbrezza, in altre ancora è maggiore l'eccesso di velocità. Però in media i giovani italiani non rischiano più di quelli europei».

Alla luce delle più recenti ricerche scientifiche e statistiche sui sinistri, lei conferma che negli incidenti la fatalità non esiste e per l'80 per cento dei casi è sempre responsabilità di chi guida?
   «Certo, è così, ma anche per più dell'80 per cento: direi che 90 incidenti su 100 sono dovuti a una scarsa attenzione da parte del conducente, mentre più consapevolezza e "presenza" psico-fisica potrebbero evitare tanto dolore sulle strade. Un altro atteggiamento che dobbiamo combattere è la rassegnazione, perché spesso si pensa che l'incidente stradale sia un male necessario da pagare al progresso. Non è così. Con l'aiuto di tutti - delle forze di polizia, dei gestori delle strade e degli automobilisti - si può fare "rete" sulla sicurezza. Ci può essere una buca sulla strada, ma se la guida è attenta e il limite rispettato, e la distanza di sicurezza pure, la buca non ha conseguenze drammatiche. Spesso si sente dire la "nebbia killer", la "curva assassina": la nebbia da sola non ammazza nessuno. Se c'è una guida attenta, responsabile e rispettosa delle regole».

Pino Pignatta
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