La stagione del calcio latino

Il Sudamerica ha quattro squadre ai quarti di finale: Uruguay, Paraguay, Brasile e Argentina. L'Europa appena tre. Non era mai accaduto nella storia dei Mondiali.

01/07/2010
I giocatori del Paraguay in allenamento per preparare la partita dei quarti di finale contro la Spagna.
I giocatori del Paraguay in allenamento per preparare la partita dei quarti di finale contro la Spagna.

L'avevamo intuito da com'era cominciato, che questo Mondiale l'avrebbero finito altri: azzurri, di una tonalità diversa più chiara sulle maglie, più brillante dentro: tinta unita o a righe alternate con il bianco. Più altre tonalità diversissime dall'azzurro.

    E infatti ai quarti sono sopravvissuti: la celeste nostalgia dell'Uruguay, il calcio da travet del Paraguay, lo spirito del cobra che anima il Brasile (prima aspetta e poi attacca alla velocità della luce) e il fùtbol bailado dell'Argentina cui Diego ha dato forse l'unica cosa che ha: la passione di giocare (ma basta e avanza a saperlo fare). E fanno quattro sudamericane su otto, contro tre europee (Olanda, Spagna e Germania) e un'africana (il Ghana). E non era mai accaduto prima che l'Europa sopravvivesse così poco.

    Però è vero che alla fine stanno arrivando quelle che avevano quel che a noi è mancato: il gioco o almeno la tigna di lottare fino alla fine. Noi né l'uno l'altro. L'Italia sta bene dov'è, a casa a immaginarsi un futuro diverso che parte oggi in mano a un nuovo comandante (Buona fortuna, davvero. E buon lavoro).

Chi resta gioca, e pure bene. L'Uruguay ha avuto vita facile (e ora trova il Ghana), ma è giusto ammettere che già prima di partire meritava di stare dov'è più della Francia che non doveva esserci (aveva rubato la qualificazione con un gol di mano in fuorigioco, forse la moviola sarebbe servita già allora).

    Il Ghana ha la corsa del leopardo, gli stessi geni della velocità dei caraibici dei 100 metri, e si vede dalla velocità con cui sa scattare lasciando tutti là. L'Argentina ha una danza nel cuore, sembra una pattuglia di bambini in vacanza premio, ha il fiato leggero dei vent'anni, e se qualcuno ne ha tanti di più sulla carta d'identità non lo fa vedere.

    Trova una Germania che poco più di vent'anni di media li ha davvero: una squadra giovane e sana che conuiga la tradizione di solidità arcinota (ricordate il detto? Il Mondiale è quella cosa dove si gioca a calcio in tanti e poi vince la Germania) e una fantasia nuova che ha l'aroma speziato di altre culture: pochissimi tra i 23 hanno tutti e due i genitori d'origine tedesca.

    Il Brasile non è quello di una volta: non è lezioso, non si specchia come Narciso nella pozza del suo bel gioco e non ci affoga. Viaggia concreto sul terreno utile della freschezza atletica e della velocità: ha la difesa più forte e un attacco che quando si impegna sa essere assassino. Trova l'Olanda, concretissima anche lei, con due fenomeni là in mezzo: di nome Sneijder e Robben. E poi un mediano di mischia come una diga di nome Van Bommel. Segnano tanto e incassano poco. Cercano da sempre la prima finale mondiale della storia arancione.

    Resta la Spagna, bella e feroce come il Barcellona, con Villa che trova la porta quando Torres la perde. Ed è più che sufficiente. Per la semifinale viaggia in autostrada: trova il Paraguay che ha fatto, con la complicità di un girone facile reso ridicolo dall'Italia, già più del proprio dovere.
 

Elisa Chiari
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