"Lavoreremo insieme". Ma sarà dura

Dopo il voto negli Usa, il Senato rimane democratico, la Camera repubblicana. Nonostante i buoni propositi e gli appelli all'unità la politica si ritrova profondamente divisa.

07/11/2012
Mitt Romney con la sua famiglia al convention center di Boston la notte delle elezioni (Ansa).
Mitt Romney con la sua famiglia al convention center di Boston la notte delle elezioni (Ansa).

Da Boston
«La democrazia è rumorosa e conflittuale», ha detto Barack Obama appena rieletto alla folla festante della sua Chicago,
«ma questo Paese non è solo un insieme di Stati rossi e Stati blu: in fondo siamo un grande famiglia americana». Pochi minuti prima in un'atmosfera diametralmente opposta nella sua Boston (ma sua fino a un certo punto perché ai musi lunghi del convention center facevano da contrappunto i festeggiamenti a pochi chilometri di distanza della città più democratica d'America), Mitt Romney aveva detto che le divisioni facevano male all'America e che d'ora in poi bisognava cercare di lavorare tutti insieme.  

Ma le divisioni ci sono state eccome per almeno un anno, e fino a pochi minuti prima, quando alla mappa che diventava sempre più blu (qui il rosso al contrario che da noi è il colore della destra) fino a decretare una vittoria più netta del previsto per il presidente in carica, i repubblicani hanno esitato ad ammettere pubbicamente la sconfitta annunciata alle 11,20 ora di New York dalla Cnn per almeno un'ora e mezza, non fidandosi della proiezione del risultato dell'Ohio (stato in bilico per eccellenza) rivelatosi poi visto il risultato provvisorio confermato al momento – 303 voti elettorali a 206, ininfluente.  

Obama, dopo essere stato in svantaggio per tutta la lunga notte elettorale, si è anche aggiudicato, con un milione e mezzo circa di suffragi di scarto, il voto popolare fugando così anche le polemiche su chi dei due sia stato il vincitore "morale". Tuttavia quando Romney ha "concesso", come si dice qui, lo ha fatto con classe, un po' meno i suoi sostenitori accorsi da tutta l'America – al punto da intasare l’aeroporto di Boston di jet privati - al convention center di Boston. Prima diversi di loro hanno fischiato il candidato sconfitto, poi all'uscita si sono confermati più scontrosi del solito con la miriade di giornalisti presenti – con i quali, va detto, i repubblicani tanto amichevoli non sono mai stati.  

Ma tant'è: l'America stamattina si risveglia con l'inquilino della Casa bianca confermato per altri quattro anni e – nonostante le smentite retoriche dei due contendenti – più divisa che mai. Ma gli spartiacque erano quelli annunciati: le città, le minoranze etniche, le donne  con Obama, le campagne, gli uomini e i bianchi con Romney. Prevista anche la situazione al Congresso: la Camera rimane repubblicana, il Senato democratico. In più tutti gli Stati "in bilico" sono stati vinti di misura dall'uno o dall'altro. Dunque dopo questa lunga notte elettorale sul filo di lana "lavorare assieme" nonostante le promesse dei due  (ormai non più) sfidanti appare più difficile che mai.

Stefano Salimbeni
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Postato da Rodolfo Vialba il 09/11/2012 07:09

Non posso che dire: meno male che ha vinto Obama, e meno male anche per l’Italia. Prima delle elezioni mi chiedevo cosa sarebbe successo se avesse perso Obama, e quindi se avesse vinto il programma di liberismo economico voluto e sostenuto dal grande capitalismo americano che sostiene la tesi per la quale il favorire i già ricchi, anzi i molto ricchi, alimenta gli investimenti necessari allo sviluppo, dallo sviluppo può derivare il benessere che può anche arrivare anche a chi lavora. In realtà non c’è la riprova, neanche storica che questo sia avvenuto in passato e dunque la certezza che possa avvenire in futuro. Anzi, ciò che è avvenuto in America nel corso degli ultimi 10 anni è che dei profitti realizzati dal sistema economico, pure in una fase di profonda crisi che dura da quasi cinque anni, ne hanno beneficiato solo l’1% della popolazione più ricca, mentre il resto della popolazione ha pagato con la riduzione del reddito e la perdita del posto di lavoro i costi della crisi. Ciò ha comportato non maggiori investimenti, non nuove opportunità di lavoro, ma la crescita delle divaricazioni economiche e sociali tra la parte ricca del Paese e il resto in particolare quella più debole e povera. Ora la mia domanda ha avuto la risposta che sperava fino al punto di annullare la preoccupazione che la motivava. So bene che la rielezione di Obama non è ancora la soluzione del problema dello sviluppo economico o dell’affermazione di una nuova o diversa politica sociale improntata ad una maggiore giustizia ed eguaglianza, ma è la condizione essenziale che pone le premesse per poterlo fare sopratutto considerando ancora valido ciò che si dice in America: il primo mandato del Presidente serve per farsi rieleggere, il secondo per passare alla storia. Mi auguro che il prossimo futuro confermi questo detto americano perché è storicamente vero che quanto accade in America anticipa, influenza e condiziona sempre quanto poi succederà in Italia. Grazie Presidente Obama, grazie per la speranza che alimenti e auguri di buon lavoro.

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