Primarie, la democrazia stile Usa

La vera selezione dei candidati per diventare presidente degli Stati Uniti avviene nelle elezioni interne a ogni partito. Ecco come funzionano. E i protagonisti che sfidano Obama.

... e gli altri protagonisti della "corsa"

18/01/2012
Newt Gingrich (foto Reuters).
Newt Gingrich (foto Reuters).

Dopo i ritiri di Herman Cain – il magnate afroamericano della pizza stroncato politicamente da scandali sessuali passati e palese incompetenza presente -, di Michelle Bachmann - troppo radicale, anche per i repubblicani, su tasse e spesa pubblica – e quello appena annunciato di Jon Huntsman - il diplomatico dai modi gentili dissuaso dal misero terzo posto ottenuto in New Hampshire - i pretendenti al trono di “sfidante di Obama” sono rimasti in quattro, tutti uomini, tutti bianchi e nessuno sotto i 50 anni. Li passiamo rapidamente in carrellata, in ordine alfabetico, e con la netta impressione che il prossimo voto in South Carolina portera’ a questa lista un’ulteriore scrematura.


Newt Gingrich

Se Romney “capisce il business” come recita il suo slogan preferito, Gingrich capisce la politica, o se non altro la conosce bene. Qui ancora ricordano la sua “rivoluzione conservatrice” con cui dopo le elezioni di medio termine del 1994, l’allora deputato della Georgia divento’ presidente della Camera e mise Bill Clinton in minoranza. Un esperto ‘insider’ insomma, che pero’ dopo i miseri risultati in Iowa e New Hampshire ha cominciato ad attaccare duramente Romney per la sua carriera nel grande capitale, lontano dai problemi economici della gente comune. Politicamente piace agli ultra conservatori e ai sostenitori del ‘Tea Party’, l’ala ultra liberista, extraparlamentare del partito, rimasta orfana con il ritiro di Michelle Bachmann. Un po’ meno agli evangelici, per i tre matrimoni alle spalle e una storia di dubbia condotta morale. Un terzo fiasco, in South Carolina, dove gli evangelici non mancano, potrebbe essergli politicamente fatale.

Ron Paul (foto Reuters).
Ron Paul (foto Reuters).


Ron Paul


Vera e propria mina vagante del partito Repubblicano, Ron Paul e’ liberal quanto i democratici su temi sociali come la droga e le unioni di fatto, ultraliberista e anti-tasse quanto il ‘Tea Party’. Ma a differenza degli uni e degli altri, isolazionista in politica estera, al punto di proporre il ritiro totale da tutte le operazioni americane nel mondo. Ha 76 anni, da 20 deputato del Texas e da almeno quattro spauracchio dell’establishment Repubblicano (cioe’ dalle primarie del 2008 quando ottenne pochi delegati ma dimostro’ grande capacita’ di raccogliere fondi e votanti indecisi). Da questi ultimi, specialmente giovani, delusi dalla politica tradizionale, Paul ha ottenuto i voti sufficienti a garantirgli un solido secondo posto in New Hampshire (23%) e (con 12 milioni di dollari in cassa) la certezza di non uscire dalla corsa, a prescindere dai responsi degli Stati piu’ conservatori. L’idea, non uffciale, ma scontata per gli analisti e’ quella di correre da indipendente alle elezioni di Novembre dove le chance di essere eletto saranno inversamente proporzionali al rischio di sottrarre al partito voti preziosi.

Rick Perry (foto Reuters).
Rick Perry (foto Reuters).


Rick Perry


Cresciuto politicamente all’ombra di George W Bush ne continua l’opera - dal 2000 come governatore del Texas, dopo essere stato il suo vice – e l’ideologia, comprese le solide convinzioni nell’efficacia della pena capitale e nel diritto dei cittadini di possedere armi da fuoco (al punto da farsi intervistare dalla South Carolina in un negozio di fucili). Nei sondaggi dell’estate scorsa sembrava il ‘predestinato’, grazie un immagine energica, convincente, da uomo del popolo. Poi, i dibattiti e la serie imbarazzante di amnesie e gaffe, che lo hanno ridotto addirittura a saltare il New Hampshire per concentrarsi, gia’ in odore di ultima spiaggia, sul South Carolina dove da almeno un paio di settimane sembra stia cercando, insieme a Gingrich, di convincere gli elettori a non votare per Romney piuttosto che a votare per lui. La nomination a questo punto appare improbabile. Piu’ plausibile un incarico da vice, magari “ripescato” da un candidato col bisogno di riavvicinare a se la parte piu’ “popolare” dell’elettorato.

Rick Santorum (foto Reuters).
Rick Santorum (foto Reuters).


Rick Santorum


E’ il “volto nuovo” dei conservatori americani e il vero outsider di queste primarie. Dalla sua, il 54 enne ex senatore della Pennsylvania ha una grande coerenza di voto sui temi morali, come aborto, matrimonio gay, eccetera. E la sorpresa dell’Iowa dove nonostante una campagna elettorale “al risparmio” ha sfiorato la vittoria, per soli otto voti su quasi 110,000 totali. Cattolico dichiarato e convinto, padre di otto figli, l’avvocato cresciuto nella Pennsylvania rurale sembra in sintonia con i tanti votanti repubblicani cosiddetti ‘evangelici’ ovvero coloro che mettono la fede (spesso protestante, in verita’) al centro della propria vita, e dunque delle proprie scelte politiche. Quel che Santorum non ha e’ un’immediata riconoscibilita’ a livello nazionale e una macchina efficiente di raccolta fondi. In fondo pero’ nemmeno Obama alle primarie del 2004 era granche’ conosciuto, e i soldi, si sa vengono con i voti. Per Santorum non e’ esclusa una altra affermazione in South Carolina: se cosi’ sara’ andando avanti potrebbe catalizzare su di se i contributi e i consensi dei prossimi ritirati. L’impressione generale e’ che, nomination o meno, sentiremo ancora parlare di lui.

Stefano Salimbeni
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