29/11/2012
I dati parlano chiaro: nel solo 2011 la corruzione in Italia
si è mangiata 2,5 milioni di megawatt prodotti da fonti rinnovabili. In
pratica, il fabbisogno annuo di 800mila famiglie. Di che furto stiamo parlando?
900 milioni di euro di investimenti, un volume equivalente al reddito annuo di
27mila nuclei familiari. Certo, sia chiaro, non si tratta di un fenomeno solo
italiano ma di sicuro nel nostro Paese si registrano componenti se non altri
"peculiari": a livello
globale si stima che la corruzione pesi per circa il 5% del Pil mondiale, con
oltre 1 miliardo di dollari pagato in tangenti. Per le aziende questo significa
un aumento dei costi pari al 10%, mentre per i Paesi in via di sviluppo
l'acquisto di servizi da parte delle autorità pubbliche può subire incrementi
che toccano punte del 25%. In ambito europeo, la corruzione impatterebbe
sull'economia interna per circa 120 miliardi di euro all'anno, corrispondente
all'1% del Pil. Infine, in Italia, si attesterebbe intorno ai 60 miliardi di
euro e, nella realizzazione delle grandi opere, può arrivare a determinare un
aumento dei costi anche del 40%. Se consideriamo che nel nostro Paese il
settore delle rinnovabili nel 2011 ha visto, nonostante la crisi, una crescita
consistente degli investimenti per un valore complessivo di 24 miliardi di
euro. Se aggiungiamo che siamo al quarto posto nella speciale classifica dei
Paesi che sostengono maggiormente le rinnovabili dopo Germania, Cina e Usa. Se
è vero che, come dimostrano alcuni studi recenti, nella "fetta"
bisogna calcolare altri 6,3 miliardi di euro di incentivi, 5,9 miliardi dei
quali sono prelevati direttamente dalle bollette degli utenti per un totale di
circa 30 miliardi di euro all'anno. Alla luce di tutti questi "se" è
facile intuire come gli interessi in gioco abbiano aperto interessanti scenari,
doverosi in un'ottica di futuro sostenibile, ma pericolosi se non debitamente
regolamentati e monitorati. E il progetto Green clean market realizzato
dall'ong Transparency international Italia nell'ambito della Siemens
integrative initiative si inserisce in questo contesto proprio per cercare
risposte e porre obiettivi.
L'associazione che si è fatta
carico di questa ricerca è una delle più importanti realtà a livello mondiale a
battersi contro la corruzione: «Siamo presenti in oltre 90 Paesi con capitoli
nazionali - ha spiegato Maria Teresa Brassiolo, presidente di Transparency
Intenrational Italia - che seguono il piano strategico stabilito dalla sede
centrale di Berlino. La nostra mission è innanzitutto compiere azioni
preventive che coinvolgano direttamente tutti gli interlocutori possibili
sensibili al tema: Governi, società civile, media, aziende e istituzioni. In
pratica ci poniamo come motori del cambiamento». Per farlo, cioè per combattere
la corruzione, serve coraggio: il coraggio, innanzitutto, di cittadini che non
ci stanno a essere soggiogati da un sistema "malato". E proprio per
loro abbiamo predisposto, primi in Italia, un apparato di vicinanza fisica e
psicologica a coloro che si fanno avanti denunciando i reati di cui sono testimoni,
spesso anche con un ruolo "attivo". «Posso affermare con orgoglio che
Transparency ha influito moltissimo nel cambiamento a livello emozionale e a
livello di commitment sul tema della corruzione: 20 anni fa in Banca mondiale,
come ci confermano due dei fondatori della nostra ong che al tempo vi
lavoravano, non si poteva neanche pronunciare la parola "corruzione"
ma ci si nascondeva dietro un enigmatico "fattore c". Da quando hanno
fatto questa scelta, cioè lasciare i loro comodi posti alla Banca mondiale, c'è
stato un vero e proprio salto epocale nella concezione della corruzione e nella
conoscenza dei meccanismi che la ispirano e in qualche modo regolano».
Questo salto consiste esattamente
nella diffusione dell'idea che la corruzione non è un fenomeno che arricchisce
pochi e danneggia alcuni ma significa soprattutto una perdita in termini
economici e una sconfitta a livello di credibilità per tutti. L'immagine di un
Paese passa anche da qui con la conseguenza che chi si presenta all'esterno
come poco trasparente più difficilmente sarà capace di attrarre investimenti.
«Per non parlare dei modelli educativi che escono segnati in modo profondamente
negativo da un sistema corrotto che depaupera l'intera comunità di quelle
risorse di cui avrebbe così bisogno per svilupparsi». E ancora: «Ricordo di
aver letto qualche tempo fa un libro apparso come una meteora negli Usa, si
intitolava "Green is gold": mi aveva impressionato perché, di fatto,
presentava il mercato delle rinnovabili come un nuovo El Dorado in cui era
raccomandabile investire immediatamente perché ancora senza regole e, dunque,
facile terra di conquista per i primi che vi si fossero buttati». In effetti si
trattava e si tratta ancora oggi di un mercato innovativo, promettente, che da
quando è nato ha attivato forti incentivi un po' ovunque e in particolare in
Italia ma sprovvisto del benché minimo inquadramento normativo di riferimento.
«L'idea iniziale di questa ricerca era effettuare uno studio su tutto il
fenomeno della green economy così che potesse essere protetta da forme
degenerative, evidenziando le criticità e facendo risaltare le best practices,
proponendo anche soluzioni concrete per contrastare le bolle speculative. In
realtà ci siamo resi conto che sarebbe stato meglio limitare i confini dello studio
alle energie rinnovabili e alla mobilità connessa».
Alberto Picci