«Noi volontari, nella paura di Gaza»

Il racconto di due siciliani e di una abruzzese: si erano trasferiti nella Striscia per aiutare i bambini vittime dei raid. Ora devono abbandonare quelle zone troppo rischiose.

22/11/2012

Dal Sud Italia al Sud del mondo. La psicoanalista palermitana Maria Patrizia Salatiello, l’educatore siciliano Salvo Maraventano e la project manager abruzzese Valentina Venditti si erano trasferiti nella Striscia di Gaza per realizzare un progetto in favore dei bambini palestinesi, traumatizzati dalla precedente operazione “Piombo Fuso” dell’esercito israeliano. Inviati dalla storica organizzazione palermitana CISS (Cooperazione Internazionale Sud Sud), Patrizia, Salvo e Valentina erano stati ben accolti dalla popolazione di Gaza e non avevano previsto di essere coinvolti nella nuova e improvvisa escalation dell’infinita guerra tra israeliani e palestinesi: un incessante “botta e risposta”, con attacchi aerei da parte di Israele e lanci di razzi da parte dei combattenti palestinesi.
Dopo alcuni interminabili giorni trascorsi sotto i bombardamenti, i tre cooperanti sono stati costretti a lasciare Gaza e sono stati scortati da un convoglio delle Nazioni Unite (insieme agli altri volontari italiani) fino a Gerusalemme.

Bambini palestinesi in una via di Gaza (foto Reuters).
Bambini palestinesi in una via di Gaza (foto Reuters).

“Ormai le vittime palestinesi sono più di cento, il massacro è sotto gli occhi di tutti! – racconta il trentunenne Salvo Maraventano - I nostri amici, colleghi e vicini palestinesi ci hanno salutato ringraziandoci per essere rimasti fino al 18 novembre. La nostra sensazione è che adesso hanno ancora più paura, perché temono che l’uscita degli operatori internazionali dalla Striscia di Gaza possa portare ad un calo di interesse e ad un attacco ancora più pesante. Occorre tenere alto il livello di attenzione e invitare alla mobilitazione più ampia possibile per fermare i bombardamenti”.
Nella notte precedente all’evacuazione, gli operatori del Ciss hanno assistito ad uno dei momenti più terribili vissuti negli ultimi anni dalla popolazione di Gaza. “Dopo avere ricevuto notizie confuse riguardanti una tregua – raccontano Valentina Venditti e Salvo Maraventano - verso le due della notte siamo stati scossi da violente esplosioni. Droni, apaches e F16 volavano in continuazione in tutta la Striscia.
Quanto accaduto è stato un attacco alle sedi degli organi d’informazione che ha causato il ferimento di 6 giornalisti palestinesi, uno dei quali ha perso una gamba.
La nottata è continuata con una serie di ripetuti attacchi dal mare, il bombardamento del ponte e di altre zone da nord a sud della Striscia.
Si trattava di zone densamente abitate e ci sono stati attacchi anche contro le case. In poche ore sono stati uccisi 12 palestinesi, tra cui tre bambini (un neonato di 18 mesi ad Al Bureij e due bambini più grandi nel campo di Jabalya)”.

Nei territori palestinesi, i tre cooperanti del Ciss vivevano in un posto relativamente sicuro ed erano in costante contatto con il consolato italiano. Giovedì 15 novembre, nella seconda giornata degli attacchi aerei israeliani, insieme ad altri volontari italiani e stranieri, hanno visitato l’ospedale Al Shifa di Gaza City, dove sono stati trasportati gran parte dei feriti. Salem Wagef, un palestinese di 40 anni, ha subito gravissimi danni cerebrali a causa della mancanza di ossigeno, in seguito all’incendio della sua casa colpita durante il bombardamento israeliano.
Haneen Tafesh, invece, ad appena 10 mesi è morta in ospedale per la frattura del cranio e per un’emorragia cerebrale, in seguito ad un attacco aereo contro il quartiere di Sabra a Gaza.
Una sorte meno infausta ha interessato altri bambini sopravvissuti: Basma - cinque anni - si è fratturata l’avambraccio per colpa dell’onda d’urto delle bombe lanciate sul quartiere di Rimal; Mohammed Abu Amsha, invece, è stato ferito dalle macerie causate da un missile sparato da un F16, mentre era seduto di fronte alla casa del nonno.
Una ragazzina palestinese di 13 anni, Duaa Hejazi, ferita al torace dalle schegge delle bombe, ha affidato ai cooperanti un messaggio per il mondo: “Siamo bambini, non abbiamo colpe per quello che stiamo subendo! Siamo sotto occupazione, ma non abbiamo paura, continueremo ad essere forti”.

Il dottor Mithad Abbas, direttore generale dell’ospedale Shifa di Gaza, ha denunciato l’insostenibilità della situazione, dovuta anche all’embargo contro la Palestina: “Ci troviamo ad operare in condizioni straordinarie. Siamo in una situazione di assedio, di embargo, soffriamo per la mancanza di medicinali e di forniture mediche di prima necessità. In questi giorni, poi, le persone entrano nel pronto soccorso in preda al panico, cercando i propri familiari. E’ molto difficile gestire tutto ciò. Nessuno sa dove colpirà il prossimo missile, nessuno sa dove potrà essere al sicuro”.
Al momento risulta difficile che il CISS possa subito tornare nella striscia di Gaza, dove opera dal 1998 per la ricostruzione, per la pace e per lo sviluppo, in numerosi campi: dall’agricoltura ai beni culturali, dall’educazione alle risorse idriche.
L’organizzazione palermitana, guidata da Sergio Cipolla, chiede “fermamente che i bombardamenti sulla Striscia cessino” e lancia un appello al Governo italiano e alle Nazioni Unite “affinché si adoperino per fermare immediatamente il massacro di civili a Gaza”. Quando calerà il sipario su questo ennesimo atto del conflitto tra israeliani e palestinesi, Maria Patrizia Salatiello, Salvo Maraventano e Valentina Venditti potranno riprendere la loro preziosa attività di supporto - in campo educativo e psicologico - per le donne e per i bambini traumatizzati dalla guerra

Pietro Scaglione
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Postato da il ninho il 01/02/2013 17:00

anche a molto tempo di distanza dai tragici fatti della guerra tra Israele e Hamas è giusto ricordare le sofferenze provocate da ambedue le parti alle popolazioni civili. ringrazio famiglia cristiana perché è l'unico giornale a tener vivo il ricordo delle sofferenze che prova la popolazione di Gaza e dei territori circostanti.

Postato da aquila reale il 25/11/2012 00:58

hamas e i palestinesi hanno giustamente festeggiato la fine dei bombardamenti, perche' erano esausti. chiunque festeggia la fine dei bombardamenti, la fine della guerra o la liberazione. ma la piu' grande festa per i palestinesi sara' la liberazione, cioe' quando otterranno la costruzione di un vero stato palestinese che abbia la stessa dignita' e gli stessi diritti dello stato israeliano! non si capisce perche' israele debba occupare terre non loro e perche' i palestinesi non abbiano il diritto all'autoderminazione del loro popolo.

Postato da juancarlos il 24/11/2012 09:27

Trovo estremamente toccante ed angosciante questo articolo, che forse ci rappresenta il dramma vissuto dalle migliaia di palestinesi abitanti nella Striscia di Gaza. Eppure con lo scattare della tregua, mentre si celebravano i numerosi funerali per le 160 vittime dei raid di Israele, Hamas e molti del suo seguito festeggiavano ed inneggiavano alla "Vittoria", in quanto avevano "impartita una lezione ad Israele e una nuova fase in cui ridefinire gli equilibri di forza in Medio Oriente”. Ora, non riesco a comprendere come si possa parlare di “Vittoria” da parte di Hamas, ovvero di “lezione impartita ad Israele”, se questi otto giorni di guerra han causato oltre 150 vittime fra gli abitanti di Gaza (e tanti erano bambini), più di 1500 feriti ed immense distruzioni ad edifici e strutture palestinesi, a fronte di soli 5 israeliani deceduti ed una ventina feriti. Se per i Palestinesi questi tremendi risultati significano aver impartito una “lezione ad Israele”, allora vuol dire che da quelle parti la logica e l’evidenza sono fuori dalla loro realtà e vivono succubi della propaganda e del fanatismo dei loro sconsiderati capi! Ovviamente è da stigmatizzare poi il comportamento troppo duro e riprovevole di Israele che non lascia grandi spazi di manovra alla tanta provata e derelitta popolazione di Gaza. Se qualche volta, invece, tendesse loro la mano… Ecco, a mio modesto parere, la soluzione all’ormai pluriennale confronto/scontro tra Palestinesi ed Israeliani può aversi, volenti o nolenti, solo quando le due parti sotterreranno, una volta per tutte, l’ascia di guerra, e si avvieranno sulla strada del dialogo e del riconoscimento reciproco, che porti all’instaurarsi di due stati e di due popoli in pacifica convivenza; quindi ogni sforzo dovrà essere intrapreso, incoraggiato, sollecitato e portato avanti con ogni energia, dalla Comunità internazionale, ovvero dall’ONU e dalla nostra, purtroppo, scialba Europa, che dovranno incalzare le due fazioni a sedersi intorno ad un tavolo per trovare, dopo anni ed anni di lotte sanguinose, quella soluzione che possa indurli una volta per sempre a convivere pacificamente l’uno contiguo all’altro. Ne guadagneranno le due popolazioni e soprattutto la stabilità sociale, civile ed anche economica per quella tormentata area. Utopia? ai posteri l’ardua sentenza..- Cordialmente..

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