Spirulina, un'alga contro la malnutrizione

Eliane Levy , tecnica di laboratorio dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma, è in partenza per il Benin, dove dirige il progetto Formazione professionale ed educazione alimentare

05/10/2012
Il vescovo di Kandi Monsignor Kleit Feilho all'inaugurazione del progetto
Il vescovo di Kandi Monsignor Kleit Feilho all'inaugurazione del progetto

Oltre 60 bambini, ogni mille nati vivi, muoiono entro il primo anno di vita. La speranza di vita si attesta intorno ai 60 anni. Il 20,2% dei bambini sotto i 5 anni età vive sottopeso (dato fermo al 2006). Le spese per la salute investite dal Governo corrispondono al 4,2% del Pil. I posti letto in ospedale sono 0,5 ogni mille abitanti. Dev'essere anche per questo, per contribuire al cambiamento dei destini di un Paese che vive quotidianamente il dramma della povertà assoluta come il Benin, che tra Eliane Levy , tecnica di laboratorio dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma, e il vescovo di Kandi Monsignor Kleit Feilho. Eliane, in Benin, dirige il progetto Formazione professionale ed educazione alimentare sulla coltivazione ed utilizzo della spirulina come integratore nel trattamento della malnutrizione. È lei, dalla sede romana della ong Voci di popoli nel mondo (onlus è presente in Africa da oltre 25 anni con progetti di cooperazione allo sviluppo in ambito sanitario ed agricolo, sostenuti da istituzioni pubbliche e private) che ha promosso l'iniziativa presso la Cei, a raccontarci questa esperienza professionale e di vita.


Ci spiega come sono andate le cose fin dall'inizio?
«Nel 2002 ho incontrato in Italia, casualmente, il vescovo di Kandi Monsignor Kleit Feilho. È stata una specie di colpo di fulmine tanto che abbiamo iniziato immediatamente a imbastire un progetto che si sarebbe concretizzato nell’allestimento del laboratorio dell’Ospedale Diocesano Regina Pacis a Kandi, l’ospedale che si prende cura della parte più povera della popolazione, quella che non si può permettere di pagare per i servizi sanitari. Durante il mio primo soggiorno a Kandi sono rimasta particolarmente colpita dall'emergenza della malnutrizione che devastava la popolazione, soprattutto infantile. Serviva un progetto mirato, specifico».

E così avete pensato alla spirulina?

«Si tratta di un’alga molto ricca in micronutrienti, come vitamine, proteine e sali minerali. Ha il vantaggio di essere economica rispetto al suo potenziale nutrizionale ed è per questo che viene adottata nei progetti di supporto alla cura della malnutrizione nei paesi in via di sviluppo. E poi i due centri di produzione di spirulina più vicini sono a Nihamey, in Nigeria, e a Cotonou, in Benin, ma distano comunque entrambi centinaia di chilometri da Kandi».

Ma perché nell'area di Kandi la malnutrizione, soprattutto infantile, tocca picchi tanto elevati? «È una regione subsahariana, economicamente fra le più povere del paese anche a causa delle condizioni climatiche estreme che impediscono o limitano lo sfruttamento agricolo del terreno. La stagione delle piogge è infatti unica ed unico è il raccolto. A causa della scarsità di risorse idriche, anche la pastorizia è molto ridotta. La malnutrizione colpisce soprattutto i bambini che, essendo a lungo improduttivi, sono i primi ad essere esclusi dalla distribuzione del cibo nelle famiglie».

A che punto è il progetto?
«Il centro è in gran parte costruito. Insieme alla popolazione locale e col sostegno del vescovo di Kandi, abbiamo realizzato le vasche per la coltivazione dell’alga che si sviluppano su 150 metri quadrati, i laboratori, gli uffici, i locali per il personale, i servizi».

Che difficoltà avete incontrato?
«La maggior parte dei materiali sono stati reperiti localmente: cemento, materiali idraulici ed elettrici ma è stato comunque complicato. Ritardi e contrattempi hanno dilatato i tempi di realizzazione. Per esempio la strada che collega Cotonou a Kandi è sterrata, quasi un sentiero. Recentemente il progetto si è dotato di un’automobile, donata dalla ONG VPM, che abbiamo spedito dall’Italia. I prodotti chimici per la coltivazione vera e propria li abbiamo fatti venire sempre dall’Italia».

Chi ha pagato il "conto"?

«Il progetto si giova di una serie di finanziamenti diretti e di supporti. Le spese relative alla costruzione sono sostenute dalla CEI. Le altre spese, come il viaggio e il soggiorno, sono state finanziate autonomamente. Inoltre, mi hanno consentito di partire una legge regionale e l’Ospedale San Camillo Forlanini. Il lavoro amministrativo viene effettuato dalla ONG VPM che se ne assume i costi. Qui è stata di grande aiuto l’esperienza di Damiano Fiamin».

Cosa fa concretamente l'ong Vpm per questa e altre realtà?
«Da quasi un decennio è impegnata nella cooperazione allo sviluppo con progetti soprattutto sanitari ma anche alimentari e nutrizionali in Africa. Ha attualmente fra i suoi finanziatori la CEI e la Fondazione Nando Peretti. La Fondazione Banca Nazionale delle Comunicazioni e il Ministero degli Esteri ci hanno inoltre sempre sostenuto».

Ma lei ora si trova a Roma... chi sta seguendo il progetto?
«Ho formato alcuni tecnici che hanno la responsabilità del centro. Sono loro che continuano la produzione quando sono in Italia».

Avete già iniziato a distribuire la spirulina ai piccoli pazienti dell’Ospedale Regina Pacis?
«La distribuzione è già attiva. Per conoscere i risultati della somministrazione ai pazienti malnutriti bisognerà attendere che sia fatta una ricerca specifica».

Che tasselli mancano per completare il quadro?
«Il progetto, innanzi tutto, prevede la costruzione di altre vasche per altri 150 metri quadrati, in modo da incrementare la produzione e generare delle eccedenze rispetto al fabbisogno del Regina Pacis. Fra gli obiettivi, infatti, vi è quello della distribuzione capillare della spirulina in tutta la regione attraverso iniziative di commercializzazione. Al momento, per esempio, stiamo studiando il confezionamento del prodotto, etichetta e tutto».

Il centro, un giorno, sarà davvero autonomo e sostenibile?
«Sì. Alla fine noi ce ne andremo, ma il centro verrà donato alla popolazione e la produzione continuerà, sostenendosi sui proventi derivanti dalla vendita del prodotto».

Quanto sarà doloroso abbandonare definitivamente il Benin?
«Molto. Ma io in Africa ci voglio tornare e per sempre».

Alberto Picci
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