13
feb

Vedutismo veneziano al tempo di Vivaldi

Antonio Canaletto, Lo sposalizio del mare, Mosca, museo Pushkin (immagine Scala)

Antonio Vivaldi (1678-1741), grande violinista e compositore veneziano, soprannominato il “prete rosso” per via della sua chioma fulva, anche se all’età di 28 anni, pur restando molto devoto, non esercitò più l’ufficio ecclesiastico per motivi di salute.
Negli anni tra il 1713 e il 1719 lo troviamo impegnato a scrivere le sue Corali sacre per il Pio Ospedale della Pietà, dove le giovani orfanelle venivano istruite con grande serietà professionale al canto e alla musica strumentale.
Siamo in un’epoca in cui Venezia, nonostante il suo inarrestabile declino economico e politico, nel campo delle arti eccelleva. Per la musica ricordiamo Benedetto Marcello e Tommaso Albinoni. Per la pittura Antonio Cataletto, Francesco Guardi, Bernardo Bellotto e Giambattista Tiepolo. Senza dimenticare per il teatro Carlo Goldoni. Ma qual era l’immagine di Venezia più amata dal turismo d’oltralpe?
Patinata e iperrealista come nei quadri di Cataletto? Oppure languida e sfuocata come in quelli di Guardi, con le sue vedute e i suoi capricci? Limpida e oggettiva, oppure fantasmagorica ed evanescente?
Entrambi i modi ci parlano di una città unica al mondo, dove possono convivere appunto il cristallizzato vedutismo di Canaletto e il guizzante impressionismo coloristico di Guardi. il Settecento riesce così ancora oggi a stupirci e questo equilibrio tra emozione e ragione trova nella musica di Vivaldi uno stimolo potente ad esercitare entrambe le facoltà per sentirsi più uomini.

Alfredo Tradigo

Pubblicato il 13 febbraio 2013 - Commenti (0)
06
feb

Beethoven e la "Missa" che conduce a Dio

La Missa solemnis, unica nella sua grandezza, appartiene al mondo della fede cristiana. E’ preghiera nel senso più profondo della parola. Ci conduce alla preghiera, ci conduce a Dio”. Sono le parole con le quali Benedetto XVI ha spiegato il capolavoro di Beethoven ai partecipanti della XX Giornata mondiale della Gioventù del 2005. Pochi musicologi hanno saputo offrire una sintesi tanto profonda di questo monumento di bellezza, dolore, dolcezza e speranza che, sono sempre le parole dal Papa, “esprime la sofferenza per Dio”, ed il nostro tentativo di afferrarLo. Sin dall’incipit straordinario del Kyrie la Missa ci tocca nel profondo.

Così carica di interrogativi, ma così intensa da farci comprendere la dedica che Beethoven appose sulla partitura: “dal cuore per giungere al cuore”. Ci volle molto tempo prima che la Missa, scritta per l’amico ed allievo Arciduca Rodolfo ma non completata in tempo, venisse eseguita. Oggi più che mai giunge ancora “al nostro cuore”, con i suoi episodi sublimi: come il Benedictus affidato alla dolcezza del violino: un colpo di genio di un autore ormai prigioniero della sordità:


Giorgio Vitali

Pubblicato il 06 febbraio 2013 - Commenti (0)
06
feb

Gli artisti romantici davanti all'infinito


Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1818,
Amburgo, Hamburger Kunsthalle (immagine Scala)

Ludwing van Beethoven (1770-1827) iniziò a comporre nel 1818 la Messa solenne che avrebbe dovuto essere eseguita per l’elezione ad arcivescovo di Olmuz del suo carissimo amico, l’arciduca Rodolfo d’Austria. La composizione però si protrasse oltre il previsto e l’opera fu rappresentata per la prima volta a san Pietroburgo nel 1824: Beethoven era presente ma aveva perso gran parte della sua capacità uditiva (tre anni dopo sarebbe venuto a mancare). Lo stile della Missa è quello dell’ultimo periodo in cui Beethoven compose quel capolavoro che è la Nona Sinfonia con l’Inno alla gioia, esplosione di certezza  in cui il suo linguaggio artistico si faceva sempre più radicale nel piegare la musica ad esprimere la fede in Dio.

All’impeto solitario ed eroico di Beethoven possiamo accostare l’opera di un pittore romantico Friedrich Caspar David, in cui il senso della natura e la religiosità si esprimono in tutta la sua opera, ma soprattutto nel Viandante sul mare di nebbia, dipinto nel 1818, lo stesso anno in cui Beethoven iniziava a comporre la Missa solemnis. La solitaria figura dell’uomo che in cima alla montagna sta davanti all’infinito è quasi un manifesto del nascente romanticismo tedesco  e rappresenta  l’immagine più emblematica del pittore di origine danese, ma che lavorò in Sassonia. L’immagine del viandante di spalle potrebbe in qualche modo evocare la figura solitaria del geniale compositore viennese. La sua eroica solitudine si sposa con  la montagna, simbolo di elevatezza oltre le passioni umane e luogo di rivelazione del sacro.

Il sentimento dell’uomo davanti  all’infinito evoca anche un’altro grande e geniale poeta, questa volta italiano, Giacomo Leopardi che proprio in quegli anni,  quando era poco più che ventenne (e siamo nel 1819) nella sua amata Recanati scriveva L’infinito.

Alfredo Tradigo

Pubblicato il 06 febbraio 2013 - Commenti (0)
30
gen

Messiah: un percorso di musica e bellezza

Lo scrittore Stefan Zweig in uno dei racconti dedicati a momenti decisivi della storia dell’umanità immagina il grande Georg Frederich Hendel convalescente dalla grave malattia che lo aveva paralizzato. Fra le mani gli giunge il libretto per un oratorio sacro. Hendel legge, ed ogni frase tratta dalla Bibbia tradotta in inglese è un conforto, una speranza, un moto di resurrezione. Giunge ad un passo: l’Alleluja. E nella sua testa risuona una melodia che diventerà fra le più famose di tutti i tempi:

Il “vero” Hendel propose l’oratorio il 13 aprile 1742 a Dublino e volle devolvere l’incasso in beneficenza, quale ringraziamento per la guarigione. Fu un trionfo ed anche l’inizio della storia di un capolavoro che fino ad oggi ha mantenuto in attento ed ammirato silenzio milioni di ascoltatori. Perché il Messiah è un percorso di musica e bellezza, un nutrimento per lo spirito che ha pochi confronti. Gemma di un compositore fra i più ammirati in vita, assoluto protagonista del teatro europeo ed inglese, grazie ad opere fra le più intense di sempre. Questa è una delle sue più famose melodie:


Giorgio Vitali

Pubblicato il 30 gennaio 2013 - Commenti (0)
30
gen

Il Messia e la Flagellazione di Tiepolo

Giambattista Tiepolo, Salita al calvario, 1740, Venezia, sant’Alvise (immagine Scala)


L’idea di rappresentare in un teatro inglese del Settecento un oratorio sacro come Il Messia di Handel, rappresentava una novità assoluta a quell’epoca e poteva risultare scandalosa come lo fu in Italia, negli anni Settanta, l’uscita del musical Jesus Christ Superstar. Per non rischiare troppo Handel rapppresentò la prima del suo Messia a Dublino (siamo 1742) ottenendo uno stravolgente successo, confermato l’anno seguente a Londra. Il grande compositore tedesco era nato nel 1685 a Halle, in Sassonia e dopo aver lavorato ad Amburgo, Hannover e in Italia, era stato chiamato a Londra alla corte di re Giorgio II.

Per farci un’idea di come doveva essere la Londra di quei tempi dobbiamo rivolgerci a un grande vedutista veneziano come Antonio Cataletto, che in quegli stessi anni dipingeva scorci del Tamigi e di Westminster, l’abbazia dove nel 1759 Handel verrà sepolto. Per ritrovare in pittura quel senso del Sublime che Handel esprimeva nella musica dobbiamo guardare all’opera di un altro grande artista veneziano, Giambattista Tiepolo (Venezia 1696-Madrid 1770).

Tra le opere di Tiepolo che possono idealmente fare da sfondo alla musica del Messia di Handel scegliamo il ciclo Flagellazione, Incoronazione di spine e Salita al Calvario dipinto nel 1737 per la chiesa di sant’Alvise a Venezia.
La pittura di Tiepolo è musica allo stato puro per le sue innovative accensioni cromatiche, il movimento di luci e ombre, la leggerezza stessa con cui i personaggi, anziché recitare la propria parte, sembrano cantarla. Spicca il rosso della veste di Gesù, il bianco del cavallo del centurione, l’incarnato della schiena nuda del soldato, il giallo del fariseo.
La lunga diagonale della croce unisce il gruppo intorno a Gesù e quello dei due condannati. Il Golgota si innalza come onda di un mare in tempesta. A destra, in basso, la Veronica raccoglie nel suo sudario l’immagine del Volto Santo, mentre una voce femminile sale con le note del Messia.

Alfredo Tradigo

Pubblicato il 30 gennaio 2013 - Commenti (0)
23
gen

Mozart e il Requiem: tra storia e leggenda

E’ il 1791. Un misterioso personaggio avvicina Mozart e gli chiede di scrivere un Requiem per un altrettanto misterioso committente (il conte Franz von Walsegg-Stuppach, musicista dilettante). Inizia la leggenda del canto del cigno del salisburghese: incompiuto per via della morte, scritto negli ultimi mesi di una vita che si sta per concludere nelle ristrettezze economiche e nel declino del successo e poi elaborato a più mani. Un capolavoro nelle cui parti certamente attribuite a Mozart si avverte il dramma, la poesia, l’invocazione divina:


Opera suggestiva ed emblematica nella quale si respira il senso religioso di Mozart e si coglie la sua visione soprannaturale, il Requiem è stato banco di prova per i più grandi interpreti. Ed ha ispirato a Miloš Forman in Amadeus, film che a sua volta è diventato una leggenda, un scena straordinaria, nella quale Salieri (che nella realtà era musicista di fama e successo) scrive sotto dettatura del morente Mozart alcune battute. Rendendosi conto quanto sia inarrivabile il genio di Amadeus


Giorgio Vitali

Pubblicato il 23 gennaio 2013 - Commenti (0)
22
gen

Amore e morte, tra Mozart e Canova

Antonio Canova, Amore e Psiche (immgine Scala).
Antonio Canova, Amore e Psiche (immgine Scala).

Nella breve, intensa e feconda vita di Wolfang Amadeus Mozart tutto si compie in un pugno di anni che precipitano verso quel 5 dicembre del 1791 in cui il geniale compositore salisburghese morì trentacinquenne a Vienna per una banale malattia, una febbre reumatica.
Mozart si spense due mesi dopo la prima del Flauto magico e mentre stava ancora scrivendo il suo capolavoro, la Messa da Requiem KV626, rimasta incompiuta. In quegli stessi anni, ricchi di fermenti politici e sociali, mentre in Europa si confrontano Stati più o meni illuminati di là dell’oceano George Washington veniva eletto primo presidente degli Stati Uniti (1789).
In Austria, in particolare, all’assolutismo illuminato ma dispotico di Giuseppe II subentrava il regno di Leopoldo II, già granduca di Toscana, alla cui incoronazione a duca di Boemia in quello stesso 1791 partecipò anche Mozart componendo per l’occasione l’opera La clemenza di Tito. Sempre nello stesso anno dalla Parigi rivoluzionaria e giacobina tentano di fuggire re Luigi XVI e sua moglie la regina Maria Antonietta (austriaca, sorella di Leopoldo II) ma i due vengono presi a Varennes e due anni dopo cadranno sotto i colpi della ghigliottina. Morte e vita si combattono nelle piazze, sui campi di battaglia e nelle vicende personali.

Francia e Prussia dichiarano guerra all’Austria. L’italiano Antonio Canova, che diverrà qualche anno dopo il pupillo di Napoleone, scolpisce la gioia sensuale della vita nel gruppo Amore e Psiche ma rappresenta anche l’incombere della morte nel monumento funebre a Tiziano rimasto incompiuto. E otto anni dopo Canova realizzerà il suo grandioso e mesto “requiem” nel Monumento funebre per Maria Cristina d’Austria (1798-1085) che si trova a Vienna nella chiesa degli Agostiniani. Il ritmo musicale che il genio italiano della scultura imprime alla composizione – una candida piramide nella cui nera porta entra la Pietà seguita da tre personaggi che rappresentano le tre età dell’uomo – può idealmente fare da sfondo alle drammatiche note del Requiem di Mozart che veniva eseguito proprio in quegli anni, dopo essere stato completato dai suoi discepoli.

Alfredo Tradigo

Pubblicato il 22 gennaio 2013 - Commenti (0)


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