di Don Sciortino
Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.
05 gen
«E se hai la pelle nera, amico guardati la schiena,
io son stato marocchino, me l’han detto da
bambino, viva, viva il Senegal...». Così cantava Pino
Daniele, nel suo pezzo O’ scarrafone. E continuava:
«Questa Lega è una vergogna, noi crediamo alla
cicogna, e corriamo da mammà...».
Non le scrivo per
lodare un cantautore napoletano, ma perché questa
canzone, composta in tempi “non sospetti”, era
premonitrice di una realtà disarmante, che mi fa
vivere e lavorare in una città dove si spara ai “negri”.
Proprio così. Il “pazzo” di Pistoia aveva un obiettivo
preciso: i “negri” che lavorano a Firenze.
Ebbene, Mor e Modou non potranno mai
più “correre da mammà”, perché sono
morti. Certo, uccisi per mano di un pazzo.
Ma i discorsi del bar, il giorno dopo,
sono del tono: «Quante storie per
un matto!». Si tende a minimizzare.
Negli ultimi dieci anni, abbiamo sentito
parlare solo di respingimenti, espulsioni,
tram per soli stranieri, classi ghetto nelle scuole.
Siamo diventati razzisti?
Antonio - Firenze
Derubricare l’omicidio dei due senegalesi, venditori
ambulanti in un mercato di Firenze, come l’opera di un
pazzo è voler sfuggire alla realtà. E ignorare che per
anni si è fatta una becera propaganda contro le persone
di colore. Con una forza politica che ha lucrato consensi
sulla paura dello straniero. E ha preso una serie
di provvedimenti dalla fantasia contorta. Come, un
esempio tra tanti, togliere l’acqua dalle fontane pubbliche
per impedire che ne facciamo uso gli immigrati. Clima
xenofobo, sfociato spesso in razzismo. Purtroppo,
con il complice silenzio di chi avrebbe dovuto alzare la
voce e non l’ha fatto. Avallando così una progressiva
degenerazione civile ed etica del Paese.
Pubblicato il 05 gennaio 2012 - Commenti (28)
21 dic
Seguo spesso la sua rubrica, pur non essendo un abbonato. Le confermo
la stima per la capacità di ascolto, che è una forma altissima di carità.
Frequento la parrocchia e sono attivo nel volontariato. Mi considero una
persona in ricerca. Sono, però, contrariato dal diniego del nostro vescovo
a una manifestazione contro questo assurdo sistema politico e sociale.
Si
parla di crisi economica, ma non si tagliano sprechi e alti costi della politica.
O le spese militari. Uno schiaffo alla povertà. E al futuro incerto dei nostri
figli.
Ho tanta paura. Né mi rincuorano le stanche catechesi di tanti preti. Se i
laici devono essere il terreno fertile in cui germoglia la Chiesa, perché tarpare
le ali a chi vuol volare?
La primavera del Concilio si sta spegnendo. Mentre
ad Assisi il Papa prega per la pace con i rappresentanti delle religioni, nelle
cattedrali di tante città si ha paura a condannare la guerra. Che è sempre uno
scandalo.
Troppi don Abbondio affollano la nostra Chiesa. Manca la profezia.
Noi cattolici siamo alle prese con beghe da sacrestia.
Francesco M. - Bari
I tempi che viviamo richiederebbero
una Chiesa coraggiosa. Con più
profezia. Ma anche laici “adulti”
nella fede. Non più minorenni, soggiogati
dal clero.
Siamo tornati indietro
rispetto al Vaticano II, che
aveva scoperto vocazione e dignità
dei laici. In forza del battesimo, che
ci accomuna nella Chiesa come “popolo
di Dio”. Pur con diversità di
compiti e ministeri.
Va recuperata
quella spinta profetica del Concilio.
Una speranza non solo per la Chiesa,
ma per il mondo intero. Oggi,
c’è una terribile involuzione. E la
tentazione, non più strisciante, di
un ritorno al passato. Alla ricerca di
false sicurezze.
Pubblicato il 21 dicembre 2011 - Commenti (49)
21 dic
Per usare una sua espressione, sembra
che i cattolici comincino ad aprire gli
occhi. Finalmente! Speriamo sia vero. Se ci
troviamo in questo sfascio etico e politico,
qualche responsabilità ce l’ha pure
la Chiesa come istituzione.
Non basta
chiedere perdono per gli errori del passato.
Occorre pentirsi anche per quelli recenti.
Ai cattolici di facciata, preferisco quelli
“adulti”. La maturità nella fede non
è una colpa.
Dovremmo, forse, essere
eternamente bambini, perché qualcuno
possa indirizzarci e condurre dove vuole?
La Chiesa, purtroppo, ha preferito “atei
devoti” a cattolici onesti e competenti.
Lo dobbiamo a Famiglia Cristiana se,
in questi tempi, possiamo dirci cattolici
senza arrossire.
Un lettore
Il lettore ci gratifica al di là del nostro impegno.
Che è quello di raccontare la realtà, senza
manipolarla. E prendere posizione netta a
favore dei valori. A difesa della dignità delle
persone e dell’uguaglianza di tutti gli esseri
umani. Non ci muovono interessi di parte, ma
la ricerca e l’amore per il bene comune. Cioè il
benessere di tutti. A cominciare dalle famiglie
che non hanno voce per essere rappresentate.
Lo facciamo ispirandoci ai princìpi evangelici.
In libertà e autonomia. Da qualsiasi potere.
Con la responsabilità che ogni credente deve
avere nell’offrire il proprio contributo per
la costruzione della “città terrena”.
Pubblicato il 21 dicembre 2011 - Commenti (0)
14 dic
Ho letto l’articolo: “Una nota stonata nel Governo Monti” (FC n. 50/2011). Indiscutibile il valore della famiglia. Ma non le pare che stiamo esigendo l’inverosimile da questo nuovo Governo? Appena nato, sta fronteggiando nodi problematici immani. Con una umiltà “da esaurimento” dialoga con tutti. Non mi pare sia disimpegnato, a cominciare dal suo presidente. Non sarà esplicitata la parola famiglia, ma nel programma c’è il rilancio dell’occupazione giovanile. Una speranza per il futuro di nuove famiglie. Insomma, lei è inflessibile e rigido nei giudizi. Un Governo così, l’Italia se lo sogna un’altra volta! Non giochiamo alla santità assoluta. Spezziamo qualche lancia in più di incoraggiamento a questa nuova gente politica. Si stanno accollando pesi inverosimili per il bene del Paese.
Antonietta L. - Padova
D’accordo con te, cara Antonietta. Il Paese ha percepito aria nuova, meno ammorbata da interessi personali e di casta. Ha salutato con entusiasmo il cambio alla guida del Paese. L’opinione pubblica sostiene questo nuovo esecutivo più di quanto non facciano gli stessi parlamentari, che scherzano con il fuoco, ricattando o minacciando di ritirare la fiducia. Quasi non fossero ancora consci della gravità della situazione. E, soprattutto, non avessero compreso l’indignazione e la rabbia della gente, difficile da controllare quando non sa più che dare da mangiare ai propri figli. Proprio per questo, ci voleva più equità negli interventi. E più coraggio nel combattere privilegi, evasioni e corruzione. Spremere i poveri è semplice, lo si è sempre fatto. Avremmo voluto più audacia nel far pagare ricchi e benestanti. Nel tassare i “capitali scudati”, che se hanno pagato una tassa (lieve) per rientrare in Italia, non godono però di immunità perenne. Una cartina da tornasole sarà l’asta delle frequenze televisive. Se verranno regalate ai soliti noti (Rai e Mediaset), vuol dire che c’è ancora tanto cammino da fare nell’equità. O che siamo sotto ricatto. Se c’è qualcosa da regalare, lo si dia ai lavoratori, ai pensionati e alle famiglie.
Pubblicato il 14 dicembre 2011 - Commenti (21)
12 dic
Fino al primo Dopoguerra (1945) esistevano valori come la famiglia, la generosità, l’estro artistico, la passione per lo sport, la gioia di vivere. Oggi, i cattolici non sono più come al tempo di Pio XII. E la famiglia è in profonda crisi. L’individualismo e il relativismo morale hanno corroso il concetto di bene e male. Obbedienza e fedeltà non sono più virtù, ma quasi una colpa. C’è assuefazione, se non tolleranza, alla corruzione. Non c’è più umanità né rispetto dei diritti di tutti. Diamo i vestiti alla Caritas, ma non riconosciamo la cittadinanza a chi ne ha diritto. C’è una classe politica non all’altezza dei problemi. Inamovibile, grazie a leggi “porcellum”. Gli italiani meriterebbero uno Stato migliore. E politici più onesti e saggi. Oggi, la gioia di vivere degli italiani è avvelenata dal virus di una politica malata. Quella che bada solo a interessi personali e privati. Spero che la crisi ci faccia rinsavire. Nelle menti e nel cuore.
Giancarlo M.
C’è poco da aggiungere alla tua lucida analisi, soprattutto sulla situazione in cui ci troviamo oggi. Mi associo al tuo auspicio, che anche dalla crisi possa venirne qualcosa di buono. Come un cambio di mentalità nel modo di vivere e negli stili di vita, improntati più a sobrietà e rigore etico. E più onestà e saggezza in chi è chiamato a gestire la “cosa pubblica”. Cioè il bene di tutti.
Pubblicato il 12 dicembre 2011 - Commenti (5)
06 dic
Non si può avere Dio per padre se non si ha la Chiesa per madre. Critichiamo la Chiesa perché la amiamo. Da ragazzo, ho fatto una domanda al mio prete dell’oratorio sulle ricchezze del Vaticano. Ho compiuto settant’anni, quel bravo sacerdote marcia verso i novanta, ma non mi ha ancora risposto. È vero che le riforme nella Chiesa hanno tempi biblici e che bisogna avere pazienza. Di fronte ai casi di bisogno, non si possono preferire gli ornamenti superflui delle chiese e la suppellettile preziosa del culto divino. Al contrario, potrebbe essere obbligatorio alienare questi beni per dare cibo, casa e vestiti a chi ne è privo. Così dicono alcuni documenti ecclesiali. Ora, in tempo di crisi, sarebbe bene che la Chiesa desse il buon esempio in fatto di sobrietà. E, per aiutare i poveri, utilizzasse non solo i contributi dei fedeli e dello Stato, ma anche i propri beni. Una cura dimagrante sarebbe opportuna anche per lei.
Carlo M.
Se dopo tantissimi anni non le è giunta la risposta del suo prete, forse la domanda era mal posta. Assecondava pregiudizi e luoghi comuni. Con scarsissimo fondamento. L’invito a maggiore sobrietà e condivisione dei propri beni è, comunque, sempre valido. Non solo per i preti. Contro la tentazione di adagiarsi nel benessere. O illudersi nella ricchezza, trascurando i poveri. A fronte di qualche “controtestimonianza” (la Chiesa è fatta di uomini peccatori), ci sono esempi splendidi di condivisione e comunione. Il cardinale Tettamanzi ha donato i propri beni a favore dei poveri. In questi giorni, nella diocesi di Locri-Gerace, i sacerdoti hanno deciso di autotassarsi. E destinare una parte del loro stipendio o della loro pensione “ai più poveri tra i poveri”. Un piccolo gesto pubblico, oltre a quanto già fanno nel silenzio, aiutando tante famiglie bisognose.
Pubblicato il 06 dicembre 2011 - Commenti (27)
05 dic
Siete l’unico giornale che riesco a leggere. Ogni tanto, sfoglio altri settimanali, ma dopo aver letto qualche articolo, lascio perdere. A me sembra che voi siate la mia voce. Riuscite a dire quello che penso, ma non riesco a esprimere. È la prima volta, in vita mia, che scrivo a un giornale. C’è sempre una prima volta! Lo faccio in merito all’articolo “Il vero perdono arriva da lontano” (FC n. 47/2001) su monsignor Betori (foto). L’ho trovato di una bellezza totale. Primo per il contenuto. Poi per come è scritto. Ne ho fatto diverse fotocopie per farle leggere agli amici. E da tenere in borsa, per rileggerlo o darlo all’occorrenza. I miei più vivi complimenti, la mia ammirazione e tanta “sana invidia” alla Bonanate per questo suo bellissimo talento. Scrivo da Treviso e sono un’impiegata. Figlia, moglie, mamma e nonna di cinquantotto anni. Il tutto con un po’ di affanno, ma con tanta serenità.
Anna
Giro i tuoi complimenti a Mariapia Bonanate. Davvero il perdono non si improvvisa. Viene da lontano. È un valore sacro. Non voglio aggiungere altro alle sagge parole espresse dalla Bonanate. Vorrei, però, riportare quel passaggio che lei stessa ha ripreso da una risposta di don Zega. Riguarda Erika che, a giorni, torna libera in famiglia, assieme al padre. Immagino già quali saranno le reazioni. «La giustizia umana», scriveva don Zega, «giudica e condanna secondo le sue regole. Il perdono cristiano non è un atto di giustizia e neppure di liberalità o di filantropia, ma l’umile riconoscimento di una fragilità condivisa, che tutti ci accomuna nel bisogno della misericordia del Padre. Senza il perdono il cristianesimo crolla su sé stesso. È necessario ritornare a questa sorgente in tempi di insicurezza diffusa e di rivendicazioni astiose, perché anche la pace del nostro cuore riposa su questo fondamento».
Pubblicato il 05 dicembre 2011 - Commenti (0)
30 nov
Ho appena finito di leggere “La lettera della settimana” (FC n.
48/2011). Volevo fare qualche considerazione. Ho cinquantadue
anni e sono un agente di commercio. A causa della crisi economica
e della cronica insolvenza delle aziende, sono sull’orlo della
bancarotta. Mia figlia ha dovuto interrompere gli studi e trovarsi
lavoro in un call center. Le banche mi stanno uccidendo. E non solo
finanziariamente. Confesso che, più volte, ho meditato di farla finita.
Non sopporto l’idea di non riuscire, col mio lavoro, a mantenere
la famiglia. Negli ultimi anni, per tenere in piedi la mia attività,
mi sono mangiato i risparmi di una vita. Mi resta solo la casa.
Se il nuovo Governo ripristinerà l’Ici, non sarò in grado di pagarla.
Per altri, con stipendi a sei zeri, anche la tassa patrimoniale non
gli cambierà la vita. A me, invece, l’ennesimo balzello toglierebbe
quella poca voglia di vivere che mi è rimasta.
Fabio D.
La tua situazione, caro Fabio, ti accomuna a tanti altri lavoratori in
stato di crisi. O che già hanno perso l’occupazione. La disperazione è la
tentazione più facile. Soprattutto quando si chiudono le porte in faccia.
Sono questi i problemi che la politica, quella “alta” a servizio dei cittadini,
che ha a cuore la dignità delle persone, dovrebbe tenere ben presente.
In ogni provvedimento. Casi come il tuo non possono essere delegati alle
associazioni di volontariato, alla Caritas o a iniziative come quella del
cardinale Tettamanzi, che ha istituito un fondo “Famiglia e lavoro” per i
disoccupati e le famiglie in difficoltà. Una società più solidale deve partire
dagli ultimi. Dal basso. Da quelli che faticano a fare un pasto al giorno.
Perché la via della disperazione non sia l’unica scelta.
Pubblicato il 30 novembre 2011 - Commenti (8)
28 nov
Su Famiglia Cristiana
avete parlato di donne
che diventano mamme
a quarant’anni. Fenomeno
diffuso, anche se un parto
da giovani è meglio. Ho
trentacinque anni e non sono
né sposata né fidanzata. Non
per mia scelta. Ma solo perché
non ho trovato la persona
giusta. La mia educazione
religiosa cozza con l’attuale
concezione del matrimonio
e del sesso. Mi accingo a far
parte di quelle mamme
quarantenni, ammesso che
trovi qualcuno dai sani princìpi.
I ragazzi mi propongono solo
convivenze. Hanno voglia di
divertirsi in discoteca, fino a
notte fonda. Ma anche le donne
che ricorrono alla fecondazione
artificiale, non potendo avere
figli, sono egoiste. Soprattutto
se hanno una certa età. Non mi
piace il fenomeno delle mamme
anziane.
Una quarantenne
Oggi, il matrimonio pare in ribasso.
Se ne sminuisce l’importanza.
La società lo banalizza, spesso
lo irride. Si dice che i legami duraturi
non fanno parte della mentalità
corrente. Tutto ha una scadenza.
Anche l’amore. Qualcuno è arrivato
persino a ipotizzare i matrimoni
“a tempo”. Come se i figli si
potessero progettare “a tempo”. E
poi, che se ne fa? C’è tanta irrazionalità.
Ma anche il bisogno di ridare
dignità a scelte fondamentali
nella vita, che richiedono preparazione
e impegno. Non improvvisazione
e leggerezza. Il “colpo di
fulmine” può anche accecare, se
cade su basi fragili e inconsistenti.
Un figlio, infine, al di là dei casi
specifici cui ti riferisci, lo si fa sempre
per amore. Per il suo bene.
Non per colmare un vuoto o appagare
un desiderio.
Pubblicato il 28 novembre 2011 - Commenti (2)
23 nov
Quella “mamma in difficoltà” che le ha chiesto l’abbonamento a Famiglia Cristiana, non ha nulla da vergognarsi. Vorrei dire alla signora che, per il suo ragazzo, la privazione di un film per mancanza di soldi potrebbe essere un’occasione di crescita. Sono le difficoltà che aiutano a maturare. Un film non è essenziale. Si vede che suo figlio è stato bene educato. Non ha esigenze e non ha protestato. Lei, invece, nella sua risposta, ha gettato sale sulla ferita. Ha fatto sentire vittima la madre. Avrebbe dovuto dirle, con le parole di Gesù: «Beati i ragazzi che, con le privazioni, crescono forti e capaci di affrontare le difficoltà della vita».
Gaspare
Non confondiamo l’educazione a uno stile sobrio di vita con la privazione dei beni necessari per vivere. Sono cose ben differenti. Troppo comodo dire agli altri che i sacrifici aiutano a crescere più forti e a maturare meglio. Soprattutto se le parole provengono da case confortevoli, con tavole imbandite d’ogni ben di Dio. Forse, sarebbe bene condividere pesi e sacrifici. E, ancor più, distribuire ricchezza e benessere con più equità. Non stiamo parlando di lussi sfrenati o sperperi indecenti. Parliamo di qualche spicciolo per la visione di un film. Caro Gaspare, più che una predica, mi sarei aspettato un aiuto concreto per quel bambino. Come hanno fatto altri lettori. Con generosità e in silenzio.
Pubblicato il 23 novembre 2011 - Commenti (11)
18 nov
Grazie a lei e ai suoi collaboratori per il vostro impegno a favore di un mondo più equo e sano. Secondo la giustizia di Dio. Sono un fedele abbonato, da venticinque anni. Vorrei chiederle di affidare i commenti al Vangelo della domenica a una donna. Mi piacerebbe che, tra tante omelie e catechesi maschili, ci fosse un pensiero femminile. Quando vado a sentire qualche teologa, resto sempre colpito favorevolmente. Le donne hanno una marcia in più. E una delicatezza particolare. Perché non dà spazio a una biblista nella nostra rivista? Ce ne sono diverse.
Valerio S.
Non si fa ancora abbastanza, all’interno della Chiesa, per valorizzare quello che Giovanni Paolo II aveva definito il “genio femminile”. E, forse, anche da parte nostra qualche voce di donna in più non guasterebbe. Tieni, però, conto che in passato i commenti ai Vangeli della domenica li abbiamo affidati a una coppia di sposi, i coniugi Zattoni Gillini. Molto apprezzati. Non abbiamo avuto solo preti e vescovi. Per il nuovo anno liturgico, che comincia con la prima domenica d’Avvento, abbiamo scelto di affidare al cardinale Tettamanzi un commento dei Vangeli in chiave familiare. In vista del Forum internazionale della famiglia che si terrà a Milano nel giugno 2012. Il tuo consiglio, caro Valerio, resta sempre valido. Anzi, è un monito.
Pubblicato il 18 novembre 2011 - Commenti (0)
16 nov
Sono una giovane lettrice
diciottenne, molto
contrariata per le lettere
dei lettori. Non ne posso più
di persone che si lamentano
di tutto. Dalla politica alla
Chiesa, dalla giustizia alla
scuola. Basta! Ma perché non
si danno da fare per cambiare
le cose che non vanno? Se ci
lamentiamo noi che viviamo
nei ricchi Paesi del Nord,
che devono dire i popoli
dell’Africa o dell’Asia che
muoiono di fame e malattia?
Noi italiani, ahimè, siamo
solo capaci di brontolare.
Ma quando abbiamo i mezzi
per agire, non facciamo nulla.
Un grande uomo diceva:
«Sii tu il cambiamento che
vuoi vedere nel mondo».
Mi scusi per la sfuriata.
Giovane lettrice
La lamentela per la lamentela
non ha senso. È solo distruttiva.
Spesso una lagna insopportabile.
C’è chi comincia a
dolersi non appena mette piede
a terra dal letto. Non gli va
bene nulla. Malumore che travasa
poi al lavoro, dove arriva
già stanco prima ancora di cominciare.
Ma la giusta protesta
è cosa ben diversa dalla sterile
lamentela. È la denuncia,
non solo a parole, delle ingiustizie,
falsità e ipocrisie che ci
circondano. Forse, ci siamo indignati
troppo poco di fronte a
tanti soprusi. Abbiamo girato
lo sguardo altrove. Non vogliamo
vedere povertà, discriminazioni,
intolleranze. Cara diciottenne,
non perdere così presto
la “santa indignazione”. Se
vuoi, davvero, dare una mano
a cambiare il mondo. Ed essere
tu stessa il cambiamento.
Pubblicato il 16 novembre 2011 - Commenti (10)
14 nov
Si parla tanto di crisi
economica. E come
i cittadini dovrebbero
affrontarla. Intanto, la
politica si occupa di altro.
Per aiutare le famiglie
consiglierei di tenere aperte
le scuole dell’infanzia oltre
le ore sedici del pomeriggio.
Non tutti possono avere una
baby sitter o contare sui
nonni per andare a prendere
i bambini. A chi obietta che
così aumenterà il costo delle
maestre, io porto la mia
esperienza di infermiere.
A noi chiedono di tutto e di
più. A costo zero. Qualcosa
va fatto per rendere la crisi
meno pesante.
Eugenio
In momenti di crisi, l’appello
perché tutti diano il proprio
contributo per uscire dal tunnel
è indispensabile. Anzi, vitale
per risollevare il Paese. Ma
occorre essere credibili nel chiedere
ulteriori sacrifici. Soprattutto
a chi, con onestà, ha sempre
fatto il proprio dovere. E occorre
anche un progetto condiviso,
perché i contributi dei cittadini
vadano a buon fine. Soprattutto,
per dare un lavoro e
una speranza di futuro ai nostri
giovani. Non per alimentare
nuovi privilegi o sperperi di
chi non sa che cos’è il bene comune,
l’interesse di tutti. E usa
ogni espediente per sottrarsi
anche al più piccolo sacrificio.
E al più elementare senso di solidarietà
e condivisione.
Pubblicato il 14 novembre 2011 - Commenti (0)
09 nov
Ho letto sul vostro sito il commento sulla Manovra finanziaria.
Lo condivido in pieno. E sono molto arrabbiato per quanto
costerà alla mia famiglia, con moglie e tre figli minori a carico.
Il peso della Manovra graverà più su di me a reddito fisso che
su chi si gode una pensione d’oro. Tra blocco dello stipendio di
due anni (già in vigore) e tagli previsti alle voci assegni, mense,
trasporti, libri di testo... sarà difficile stare a galla. Mi sarei
aspettato l’introduzione del “quoziente familiare”, tante volte
promesso. O l’abolizione delle province, la riduzione delle
spese militari, il taglio del numero dei parlamentari e dei loro
emolumenti, benefici e privilegi. Mi fanno inorridire anchei politici cattolici che non stanno dalla parte delle famiglie,
dei valori e del bene comune.
Luigi
Sono un metalmeccanico con moglie e due figli a carico. Sono
indignato, per non dire peggio, per questa Manovra “lacrime
e sangue” che si accanisce sui ceti più bassi. Ed elimina sgravi
e agevolazioni per le famiglie numerose. Soprattutto, per quelle
monoreddito. I nostri cari parlamentari, invece, non si privano
di nulla. E se rinunciano a qualcosa, questo avverrà a partire dalla
prossima legislatura. Non se ne può più di questa “casta”, che i
sacrifici li chiede solo agli altri. Mentre noi facciamo i salti mortali
per sbarcare il lunario, questi “vergognosi” godono di una serie
di privilegi. Un oltraggio per chi non ce la fa. Ma non sono stati
eletti per servire i cittadini? Forse, è il momento di denunciare,
con ogni mezzo, queste palesi ingiustizie contro chi lavora
onestamente e paga le tasse fino in fondo.
Fabio P.
Ormai alle promesse dei politici non crede più nessuno. Così come
alla loro disponibilità a concorrere, adeguatamente, per risollevare le
sorti del Paese. Con tanta demagogia, da veri tromboni, hanno annunciato
tagli e riduzioni. Dal numero dei parlamentari agli emolumenti.
Ma non subito. Tutto è rimandato alla prossima legislatura. Ai
cittadini, invece, i sacrifici si chiedono subito. E sempre più pesanti.
Non c’è equità sia nei pesi che nei trattamenti. La credibilità non si conquista
a parole, ma con gesti concreti, trasparenti. Anche perché c’è
sempre il sospetto (avvalorato da precedenti) che se i politici si tolgono
qualcosa con la mano sinistra, la recuperano abbondantemente
con la destra. Senza diversità tra gli schieramenti. Con un tacito accordo,
non intaccano mai il monte privilegi di cui godono.
Pubblicato il 09 novembre 2011 - Commenti (12)
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