Don Sciortino

di Don Sciortino

Don Antonio Sciortino è il direttore responsabile di Famiglia Cristiana. In questo blog affronterà le tematiche riguardanti la famiglia e le questioni sociali, dalla disoccupazione, all'immigrazione all’impegno dei cristiani.

 
28
mar

Italia cattolica, ma corrotta?

Sto riflettendo sulla nostra povera Italia, e mi chiedo come abbia potuto degenerare a tal punto da essere peggiore di tanti Paesi europei, che non hanno la nostra cultura cattolica. Da noi non c’è legalità, l’evasione fiscale è diffusa, l’individualismo è esasperato, manca il senso dello Stato e di appartenenza alla società, la furbizia è assurta a virtù, non esiste la certezza della pena, la volgarità è ostentata, la corruzione è diventata sistema e il Parlamento è spesso una gazzarra. Non è piacevole dipingere un quadro a tinte così fosche di questo “disgraziato” Paese. Purtroppo, è la realtà che abbiamo sotto gli occhi. Possiamo solo esibire primati negativi, che ci screditano nel mondo. Perché tutto ciò avviene in un Paese cattolico per eccellenza come l’Italia?

Renato M. - Padova

È impressionante questa lista di mali italiani, caro Renato. Ma è anche difficile contraddirti o presentare un quadro con tinte meno fosche. Perché tutto ciò avviene in un Paese così cattolico come l’Italia? Forse, dovremmo chiederci se cattolici lo siamo davvero. Non solo di nome, ma anche di fatto. All’anagrafe battesimale l’Italia è cattolica quasi al cento per cento. Ma quanto la fede è solo un fatto di tradizione e quanto, invece, incide sui nostri comportamenti quotidiani? Lo stile di vita cui è improntata la società spesso fa a pugni con i princìpi evangelici e la dottrina sociale della Chiesa. Oggi, non conta più l’essere, ma il possedere, l’apparire, il successo e i soldi. Ai credenti spetta il compito d’essere “lievito” e “sale” per dare un sapore cristiano alla vita e alla società. Non solo a parole, ma soprattutto con la testimonianza e l’impegno civile.

Pubblicato il 28 marzo 2012 - Commenti (10)
02
lug

La democrazia, un valore per i credenti?

Al di là del giudizio morale su chi ci governa o sui comportamenti che sono lontani dall'etica cristiana, c'è una domanda di fondo che vorrei mi fosse chiarita. E' opinione di tanti studiosi e politologi, in Italia e all'estero, che nel nostro Paese si sta affermando un altro mondo di concepire lo Stato. Che sempre meno coincide con quell'idea di democrazia finora condivisa. Si parla di populismo, anche se io preferisco, sinceramente, parlare di concetto "padronale" dello Stato, consdierato come se fosse un'azienda.
     Non basta appellarsi al voto popolare per stravolgere regole e ruoli che, finnora, hanno definoto il vivere democratico. Un organo legislativo, di fatto, è stato esautorato. C'è un conflitto permanente con la magistratura e gli altri organi costituzionali. Come il tentativo di sottrarsi al giudizio dell'organo giudiziario. Insomma, un'invasione a tutto campo. Assieme a un attacco alla libertà di stampa.
     Quel che le chiedo è se per un cattolico, in un corretto rapporto tra fede e vita, sia indifferente qualsiasi contesto istituzionale e qualsiasi forma di esercitare il potere. La democrazia è ancora un valore per i credenti? Certo, nei secoli la fede si è inculturata in forme diverse. Ma, dal Vaticano II in poi, mi pareva che in quella fiduciosa apertura al mondo e alla modernità, in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, ci fosse anche una scelta di promozione della democrazia. Come forma di governo che promuove la libertà (anche quella religiosa) e la giustizia, in vista del bene comune e di un'etica condivisa. Mi sbaglio?
     Anche dalla Settimana sociale dei cattolici, nella commissione sui temi istituzionali, è emersa la stessa preoccupazione. Che si è concretizzata con la richiesta di riformare la legge elettorale per ridare ai cittadini il diritto di scegliersi i propri rappresentanti in Parlamento. Il cattolico che scende in politica deve fare scelte chiare.

Francesca

Dal Vangelo non scaturisce nessuna forma di governo della società. Da esso, però, derivano incancellabili valori sociali (dignità della persona, uguaglianza di tutti gli esseri umani, fraternità) che sono un metro di giudizio delle differenti forme di esercizio del potere. Il messaggio cristiano non è indifferente o neutrale rispetto a qualsiasi organizzazione della società nel corso della storia.
     LA dottrina sociale della Chiesa, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, sostiene e apprezza la democrazia, perché permette al cittadino (credente e non) di partecipare al potere politico. La cui unica legittimazione è il servizio alla comunità.
    
La situazione in Italia, oggi, segna una profonda crisi democratica. Con l'evidente crisi delle istituzioni pubbliche. A ogni livello: legislativo, esecutivo e giudiziario. E' preoccupante, in particolare, l'uso arbitrario del potere di fare le leggi. Gli esempi sono fin troppi. Non a caso alcune leggi sono state denominate "ad personam". Cioè, a beneficio di qualcuno o di gruppi e categorie di persone.
     Ma, prima ancora che sulle singole leggi, oggi c'è una seria questione di anormalità o caduta democratica. Il consenso elettiorale, una volta ottenuto, si tende a trasformarlo in un potere insindacabile e indipendente da ogni verifica e critica di terzi. L'appello al voto popolare ignora che i cittadini non hanno dato una delega in bianco. E che la Costituzione prevede limiti e controlli nel modo di esercitare il potere.
    Per uscirne occorre una conversione etica. Comprendere, cioè, che la forma di governo è per se stessa una questione morale non secondaria. La fede, per troppo tempo, è stata legata prevalentemente al culto, al privato e allo spirituale. In controcorrente, il Vaticano II ha denunciato questa riduzione al privato, al margine delle problematiche sociali. E ha insegnato che, proprio in nome della fede, il sociale e il politico sono oggetto di responsabilità. Dottrina che non ha ancora raggiunto, adeguatamente, le coscienze dei credenti.
     Infatti, la dottrina sociale della Chiesa non ha ancora trovato il posto che si merita nella formazione cristiana. Buona parte dei cattolici impegnati in politica, di fatto ma anche in teoria, continua a ignorarla. Di conseguenza, non vedono la contraddizione tra il dirsi credenti e il prendere provvedimenti che contrastano i princìpi evangelici.
     Le comunità cristiane (parrocchie e diocesi) non possono ignorare il contenuto dei documenti sociali del Magistero, che pure a loro sono destinati. Quando si trattano temi come immigrazione, lavoro, ambiente, pace e guerra, non possono né devono sentirsi a disagio, quasi occupassero uno spazio che non compete a loro, ma ad altri. Il pluralismo di analisi, di opzioni o di schieramento, è più che legittimo. Ma non equivale a qualunquismo. Così come non tutte le posizioni sono uguali.
     La chiesa, come istituzione, non può identificarsi in nessuna politica partitica o di schieramento. Ma, in base ai valori del Vangelo attualizzati dalla dottrina sociale, deve raggiungere un'unità fondamentale di pensiero e impegno sui grandi problemi della società e della storia. La rimozione dei problemi sociali (e, tra questi, la costruzione di una democrazia reale) tradisce l'impegno della fede nella società. E lascia credere che sia indifferente qualsiasi forma di governo.

D.A.

Pubblicato il 02 luglio 2011 - Commenti (8)
04
gen

La difficoltà di educare i giovani

Sono abbonato da tempo, genitore di una ragazza adolescente di ventun anni. Ho avuto un’educazione cristiana. E sono vissuto in una famiglia patriarcale d’origine contadina, dove i princìpi, il rispetto per gli altri, la parola data erano regole di vita. Le scrivo perché ho problemi con mia figlia. Anzi, veri e propri scontri su tanti temi della vita. Lei vuole essere totalmente libera, perché è maggiorenne, rientrare la notte a qualunque ora, farsi il piercing. Di andare a Messa non vuole sentirne parlare.
Ammonimenti, rimproveri e arrabbiature non sono serviti a nulla. La mia lotta, forse, non è contro mia figlia. Ma contro questa società che “obbliga” i ragazzi ad andare a ballare solo dopo mezzanotte, perché prima devono ubriacarsi nei pub. E anche contro Tv e Internet, che propongono programmi e immagini che non sono il meglio per l’educazione cristiana. Perché meravigliarsi se i nostri figli non rispettano più nessuna autorità, dai genitori ai professori? Dopo programmi come Amici o Grande Fratello abbiamo trasformato anche un grave fatto di cronaca, la morte di Sarah, in un reality televisivo. Un vero e proprio “tritacarne mediatico”.
Mi piacerebbe che la Chiesa facesse sentire la sua voce contro chi sta “rovinando” i nostri figli. Mi creda, oggi, è difficile educare i ragazzi con sani princìpi morali. Da soli, non ce la facciamo più. Non credo a quelli che mi dicono che basta essere d’esempio ai figli. I tempi attuali sono molto diversi dal passato. Noi lottavamo per degli ideali, religiosi e politici. Avevamo più entusiasmo. E, soprattutto, non c’erano i mezzi di informazione che tanto influiscono sulle nuove generazioni. Le chiedo un consiglio: come diventare il buon genitore che sognavo d’essere? Complimenti per la nuova impostazione della rivista. E, soprattutto, per le nuove rubriche sui bambini e gli adolescenti.
Lucio C.

Come educare i figli? Problema antico, in salsa sempre nuova. Forse, caro Lucio, nemmeno il passato era così roseo, come lo descrivi. Né i figli altrettanto docili. I contrasti sono sempre esistiti, anche quando era meno permesso, rispetto ai nostri giorni, esprimere dissensi. Un particolare mi ha colpito nella tua lettera di padre sfiduciato che non riesce a modellare i comportamenti della figlia come vorrebbe. O come ritiene che sia giusto. Tu parli di lei come di un’adolescente. E poi precisi che ha ventun anni. Forse, trascuri che a quell’età un figlio o una figlia sono adulti. Certo, un tempo a ventun anni non si era solo maggiorenni secondo l’anagrafe: i figli maschi si guadagnavano già da vivere e le femmine erano sposate e madri di più figli.

I cambiamenti sociali più recenti sono andati in due direzioni opposte: la maggiore età è stata abbassata a diciott’anni (e c’è chi spinge per abbassarla ancora per concedere l’autorizzazione a guidare), mentre l’indipendenza effettiva dalla famiglia è stata procrastinata. Non solo non ci si sposa più a vent’anni, ma si è in un processo di formazione che richiederà ancora anni per essere completato. Per non parlare della precarietà del lavoro.

Per questo, forse, ti è venuto spontaneo considerare tua figlia ventenne ancora come un’adolescente. E come tale, pensare di controllarla in tutto: dagli orari di uscita e di rientro alla partecipazione a Messa. Ma se questa è un’impresa difficile con un adolescente “vero”, immagina quanto più lo sia con un giovane adulto che, di fatto, vive in casa, ma mentalmente e affettivamente gravita altrove.

L’altro punto interessante della tua lettera (vale per tanti altri genitori) è la sensazione di dover combattere contro un nemico inafferrabile, onnipresente e irriducibile. Che è il modello di vita che ci propone la cultura edonistica e consumistica dei nostri giorni. I giovani ne sono facile preda. Assieme al latte materno assorbono questo modello di “videocrazia”. Dove quel che conta è apparire e avere successo. A qualsiasi prezzo. Anche vendendo il corpo e l’anima. Alcuni stili di vita odierni sono quanto di più anticristiano e antievangelico ci sia. Oggi, il principale sforzo educativo consiste nello sfuggire alla corruzione ambientale. Che, ormai, ci circonda da ogni parte.

Pubblicato il 04 gennaio 2011 - Commenti (0)
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