"Non uccidere", il grido del cinema

Il quinto Comandamento visto dal grande schermo. Dal Decalogo di Kieslowski alla testimonianza di Stanley Kubrick contro la follia della guerra. Le pellicole contro la pena di morte.

07/04/2011

Non uccidere. Il titolo del quinto episodio del Decalogo di Krzysztof Kieslowski si riferisce a un giovane balordo, probabilmente con problemi psichici, che senza alcun motivo ha ucciso brutalmente un taxista. Ma si riferisce soprattutto alla giuria che l’ha condannato a morte senza porsi domande, senza interrogarsi sul perché di quell’atto gratuito e insensato, nonché del nihilismo morale che tacita e azzera la coscienza di un giovinastro confuso e smarrito. L’assurdo diventa così l’inquietante dilemma che accompagna la lunga serie di film che si chiedono come l’uomo possa macchiarsi le mani di sangue senza ragione rinnovando quotidianamente la tragedia di Caino e Abele.

Non uccidere è anche il titolo di un famoso film diretto dal francese Claude Autant-Lara nel 1961, seguìto da accese polemiche perché sosteneva l’obiezione di coscienza manifestata da un soldato in anni in cui la Francia era ancora invischiata in feroci guerre coloniali (l’Algeria dopo l’Indocina) in contrapposizione al caso di un prete tedesco arruolato nella Wehrmacht che nel 1944 aveva eseguito l’ordine di uccidere un partigiano francese. Due spunti a confronto, desunti dalle cronache di quegli anni, affrontati nello stesso giorno dalla stessa giuria e valutati con criteri di giudizio diametralmente opposti.

Tali da suscitare discussioni a non finire e da imprimere rinnovato vigore a un filone che con Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick era esploso con prepotenza denunciando senza mezzi termini l’ottusità degli alti comandi militari e la follia della guerra. L’arida e disumana mentalità del militarismo, incurante dell’inutile sacrificio della vita, è anche al centro di Uomini contro di Francesco Rosi, della Sottile linea rossa di Terence Malick (che si chiede incredulo che cosa spinga l’uomo a insani atti di violenza, offesa ai suoi smili ma anche alla natura, alla bellezza e all’armonia del creato) e di No Man’s Land del bosniaco Danis Tanovic, Oscar 2000 per il miglior film straniero.

Anche Charlie Chaplin ha messo sotto accusa la bestialità della guerra e lo ha fatto con pungente sarcasmo in Monsieur Verdoux, dove per salvare moglie e figlio dalla miseria un bancario disoccupato sposa, deruba e sopprime vedove danarose e infine punzecchia i giudici che l’hanno condannato alla pena capitale ponendo loro il paradossale dilemma di come, messo a confronto dei suoi delitti, si possa invece assolvere lo sterminio di massa.

Ma il “non uccidere”, esplicitamente avversato in film contro la pena di morte come Dead Man Walking di Tim Robbins (con Susan Sarandon e Sean Penn) e Il miglio verde di Frank Darabont (con Tom Hanks), si profila anche con disparità di giudizi e contrasto di opinioni suscitati da opere che toccano problemi come la bioetica, l’aborto, l’eutanasia. Su questa linea si iscrivono Il segreto di Vera Drake dell’inglese Mike Leigh, Mare dentro dello spagnolo Alejandro Amenabar (con Javier Bardem) e Lo scafandro e la farfalla dell’americano Julian Schnabel. Se i primi due si fanno sostenitori della cultura della morte, l’ultimo afferma coraggiosamente, senza timore di andare controcorrente, il dovere di vivere.

Enzo Natta
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Postato da Andrea Annibale il 07/04/2011 19:19

Il divieto di uccidere può essere riferito alla guerra? Mi pare molto dubbio. Forse si riferisce solo all’omicidio. C’è un passo della Bibbia che, a mio modo di vedere, è più esplicitamente per la pace e contro la guerra ed è l’espressione del Padre Nostro “Venga il tuo regno”. Cosa sia il regno di Dio che dobbiamo cercare lo dice il notissimo passo di Isaia, 2, 4 (molto simile è Michea, 4, 3): “egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra”. Nel regno messianico non c’è più la guerra, ma questo richiede il ritorno di Cristo, la sua seconda venuta? A mio avviso, già con la prima venuta di Cristo la pace è un ideale. Assieme però alla pace, dicendo “venga il tuo regno”, chiediamo anche che non ci sia più oppressione di un popolo sull’altro, che non ci sia più sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Quindi, la pace è volontà di Dio cui deve collaborare fattivamente l’uomo. Nel regno di Dio non ci può essere né la pena di morte né la guerra, ma non sono cose che si ottengono con il solo sforzo dell’uomo, a mio avviso, ma anche con la volontà di Dio che viene a ricreare e rinnovare l’Universo.

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