01
ago
Giuseppe Lupo
Milano, 1630: durante l’epidemia di
peste che infesta la città due uomini
vengono ingiustamente accusati
di essere untori, propagatori del
contagio; vengono arrestati, atrocemente torturati
fino alla confessione e condannati a
morte. Alessandro Manzoni rimase colpito
da questa vicenda giudiziaria: durante il lungo
lavoro su I promessi sposi, prese in mano
il caso, ne studiò a fondo tutti i documenti, fino
a scriverne un libro, una ricostruzione in
forma di asciutta cronaca giudiziaria dal titolo
Storia della colonna infame.
«Con questo libro, che è molto particolare,
si può dire che sia cominciato il genere
dell’inchiesta giudiziaria. Anche Leonardo
Sciascia scrisse un saggio sulla Storia della colonna
infame e si avvicinò a Manzoni: per lo
scrittore siciliano era fondamentale il rapporto
tra letteratura e giustizia». A commentare
l’opera manzoniana è Giuseppe Lupo, docente
di Letteratura italiana contemporanea
all’Università Cattolica di Milano e Brescia,
saggista e scrittore: il suo ultimo romanzo,
L’ultima sposa di Palmira, del 2011, è stato finalista
al Premio Campiello.
Alessandro Manzoni
– In che senso la Storia della colonna infame
è un libro particolare?
«Contiene tutto il travaglio dello scrittore:
dopo I promessi sposi Manzoni mette in crisi
la formula del romanzo come componimento
misto di storia e invenzione. Lo
scrittore è roso dal tarlo dell’insoddisfazione:
del resto, avere ripensato
la sua opera più grandiosa,
I promessi sposi, per
vent’anni, è segno di sfiducia e
insoddisfazione. A un certo
punto, Manzoni abbandona
l’invenzione per privilegiare
la verità storica. La Storia della
colonna infame segna il fallimento
del romanzo storico.
È un atto di fiducia estrema
dello scrittore alla verità
del documento».
– Alla base di questo libro c’è un
profondo problema etico e cristiano...
«Tutte le opere manzoniane sono guidate
da un problema etico, il modo in cui l’uomo
si pone di fronte alla storia. Nella Storia della
colonna infame Manzoni critica l’obbedienza
alla superstizione, che durante la pestilenza
crea la paura degli untori, ma soprattutto
rivolge un atto di accusa verso chi detiene
il potere, i magistrati, che pur avendo gli
elementi per affermare la verità finiscono
per assecondare l’ignoranza
collettiva. Manzoni si pone il
problema, fortemente cristiano,
della coscienza individuale,
della responsabilità personale
che ognuno assume di
fronte alla storia e alle scelte».
– Pensa che sia un’opera ingiustamente
trascurata?
«Sì, è un libro poco letto, ma
molto interessante, perché pone
problemi molto attuali. Per esempio,
il rapporto tra i singoli cittadini
e il grande ordigno dello Stato che si scatena
contro di loro. Negli anni Sessanta si è sviluppata
una filmologia che denunciava proprio
le vessazioni della macchina dello Stato
sul cittadino. A scuola, purtroppo, Manzoni
si studia in modo tale che gli studenti finiscono
per odiarlo. Poi, magari, viene riscoperto
e apprezzato anni dopo, come ho fatto io».
– All’inizio del 2013 uscirà il suo nuovo romanzo.
Ci anticipa qualcosa?
«Lo avevo in mente da quindici anni. È un
romanzo di guerre, viaggi e amori ambientato
nel Quattrocento: un periodo storico non
facile per me che sono abituato a scrivere sul
Novecento. Ma un autore deve cimentarsi
con nuove sfide. È una storia che passa per
Venezia, Mantova, Milano, la Francia, e che,
come tutti i miei romanzi, parte da verità storiche
per arrivare all’invenzione. Mi piace
pensare alla letteratura come visita di luoghi
immaginari. La chiave di lettura dei miei libri
è il sogno della storia. E la letteratura è il
luogo dove la storia si può sognare».
"Storia della colonna infame" di Alessandro Manzoni. Questa settimana in edicola con Famiglia Cristiana.
Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin
Utilizzando lo spazio commenti e senza superare le 1000 battute, rispondi a questa domanda:
«Manzoni racconta un caso di colossale ingiustizia. Vi è mai capitato di provarla sulla vostra pelle?»
Per ognuno dei 13 volumi della collana BUC - I narratori, "sfidiamo" i lettori a inviarci un loro racconto sul tema del libro della settimana.
La redazione di Famiglia Cristiana ogni settimana sceglierà il racconto migliore, che verrà premiato con un cofanetto di 13 Dvd con i grandi capolavori di Charlie Chaplin.
Pubblicato il
01 agosto 2012 - Commenti
(2)
27
giu
Monica Guerritore, volto noto del cinema, del teatro e della televisione. (foto Corbis)
Forse oggi Monica Guerritore non sarebbe stata un'attrice se Čechov non fosse entrato per caso nella sua vita. A 16 anni accompagnò un'amica per un provino al Piccolo di Milano. Giorgio Strehler preparava una nuova edizione del Giardino dei ciliegi e cercava una giovane interprete per il ruolo di Ania. Si presentarono in mille, ma il grande regista notò lei. La prese per mano e le disse: «Tu resti con noi». «Non sapevo nulla di teatro, né tantomeno dell'opera di Čechov. D'improvviso, un intero mondo si aprì di fronte a me», ricorda oggi l'attrice. Da allora si è trasformata in un'appassionata divulgatrice delle opere del grande scrittore russo – di cui Famiglia Cristiana allega al numero di questa settimana Il vescovo e altre novelle per la Biblioteca universale cristiana sui narratori – tanto in teatro quanto nelle scuole e nelle università, dove periodicamente organizza incontri e seminari.
- Che cosa affascina di più i giovani dell'opera di Čechov?
«Il realismo dei personaggi, l'affettuosa descrizione delle loro fragilità. Non sono mai portatori di una verità assoluta, ma solo della loro piccola, personale visione del mondo, e questo li rende vicini all'ansia di ricerca tipica della gioventù».
- C'è un sentimento prevalente nella sua narrativa?
«La malinconia del tempo perduto è l'onda emotiva su cui viaggia Čechov, un tema che però lui declina sempre attraverso molteplici prospettive, che corrispondono ai suoi personaggi».
"Il vescovo e altre novelle", volume allegato questa settimana a "Famiglia Cristiana".
- Tuttavia questa
malinconia nelle sue opere spesso si fonde con l'umorismo. Lei come lo
definirebbe?
«In un senso molto diverso da come lo intendiamo oggi. Non
ha nulla a che fare con la comicità. È piuttosto uno sguardo tenero sui piccoli
inciampi che rendono i suoi personaggi così ricchi di umanità. Personaggi che
non suscitano in noi il riso, ma al massimo un sorriso colmo di dolcezza.
Perché, a differenza di Dostoevskij che permea di tragedia i suoi romanzi, Čechov
mantiene uno sguardo delicato sui piccoli esseri umani che si trovano a vivere
in mondo così sconfinato e in subbuglio come era la Russia del suo tempo».
– Tolstoj rimproverava a Čechov di non infondere nella
scrittura la sua stessa tensione etica. Di lui scrisse: «È pieno di talento e
ha senza dubbio un cuore buonissimo, ma al momento non sembra possedere un
punto di vista ben definito sulla vita». È d'accordo?
«A dire il vero, non molto. In Čechov era fortissima la
convinzione che il futuro sarebbe stato migliore. Lo studente del Giardino dei
ciliegi dice che la conoscenza ci permetterà di alleviare le nostre sofferenze.
Credo che si tratti più che altro di una differenza di prospettiva: Tolstoj
predilige i grandi affreschi come Guerra e pace o Anna Karenina, mentre Čechov
si concentra su piccoli uomini solo in apparenza insignificanti. Ma la tensione
etica è fortissima, specie nei racconti. Me ne ricordo uno in cui un uomo si
uccide per la vergogna di essersi presentato a teatro senza cappello. È una
scena che avrebbe potuto benissimo far parte di un film neorealista di Vittorio
De Sica come Ladri di biciclette o Umberto D. per la precisione con cui
descrive un periodo storico, quello delle tensioni in Russia che sarebbero poi
sfociate nella Rivoluzione del 1917. Nelle pagine di Čechov si avverte
fortissima l'agonia di un mondo che sarà presto sostituito da un altro».
– Il fatto che abbia alternato la scrittura alla professione
di medico quanto ha influito sulla sua poetica?
«Tantissimo. Solo chi ha toccato con mano le tempeste
emotive che traspaiono da personaggi apparentemente anonimi può raccontarle con
la credibilità e la delicatezza che innervano tutta l'opera di Čechov».
Racconta e vinci il grande cinema di Chaplin
Utilizzando lo spazio commenti e senza superare le 1000 battute, rispondi a questa domanda:
Anche a voi è capitato, come ai protagonisti dei racconti di Cechov, di provare un sentimento di incomunicabilità nei confronti di una persona che vi sta a cuore?
Per ognuno dei 13 volumi della collana BUC - I narratori, "sfidiamo" i lettori a inviarci un loro racconto sul tema del libro della settimana.
La redazione di Famiglia Cristiana ogni settimana sceglierà il racconto migliore, che verrà premiato con un cofanetto di 13 Dvd con i grandi capolavori di Charlie Chaplin.
Pubblicato il
27 giugno 2012 - Commenti
(2)