Caro don Antonio, sono prete anch’io,
parroco in una comunità della diocesi
di Rieti. Da confratello voglio esprimerti
la mia totale solidarietà per imeschini attacchi
a Famiglia Cristiana (anche da parte di
esponenti cattolici), per aver detto quello che
ogni cristiano dovrebbe avere il coraggio di
pensare e dire. È triste constatare come, ogni
giorno, si faccia una strumentalizzazione vergognosa
degli aggettivi “cattolico” e “cristiano”.
Assistiamo a dichiarazioni e comportamenti
che dovrebbero sconvolgere la coscienza
di un buon cristiano. E, invece, nessuno alza
la voce. Anche chi dovrebbe farlo, profeticamente,
per denunciare ciò che non si accorda
con i princìpi del Vangelo.
Di recente, ho sentito in Tv il governatore
della Lombardia, dire (cito a memoria): «I cattolici
italiani sono intelligenti e sanno che a
un cristiano impegnato in politica non debbono
chiedere coerenza, ma che faccia una buona
politica». Ma davvero basta solo questo
per ottenere la fiducia? Per me non esiste una
politica cristiana, ma cristiani che si impegnano
in politica, testimoniando con coerenza i
valori in cui credono.
D’altra parte, cos’è la politica cristiana? Concedere,
forse, qualche favore alla Chiesa? O assecondarla
con leggi favorevoli? Le radici della
nostra cultura di credenti affondano nel
Vangelo. Bisogna ripartire da Cristo, che va conosciuto,
amato e imitato. Il programma esiste
già, non c’è nulla da inventare. E non cambia
col variare dei tempi e delle culture, anche
se deve tenere conto dei mutamenti che avvengono
nella società e nella storia.
Uno stimolante pensatore tedesco, Ernst
Bloch, scriveva: «Una strada diritta parte dalle
origini e tenta di liberarsi dai vecchiumi che
ancor stentatamente sopravvivono, pesanti e
nello stesso tempo senza pensieri». È la fotografia
del nostro tempo, in cui anche il pensiero
cristiano è schiacciato dal vecchiume, incapace
di profezia. Cosa c’è, infatti, di cristiano
nella cultura dominante, dove politici cattolici
difendono la sacralità della famiglia e, al
tempo stesso, distruggono la propria con comportamenti
immorali? O strumentalizzano la
donna come oggetto o merce da comprare, offendendone
la dignità?
Che fine ha fatto l’evangelico monito:
«Guai a voi ricchi…» se, oggi, si ostenta la
ricchezza sfacciatamente, facendone un lasciapassare
legale e morale per giustificare
ogni comportamento? Non ci si può vantare
di aver chiuso le porte a tanti “poveri cristi”,
senza preoccuparsi di che fine faranno dopo
essere stati respinti. Chi si occupa, poi, delle famiglie
e del futuro delle nuove generazioni,
abbandonate ai colpi di fortuna o, peggio, al
ricatto di chi può, senza alcuna remora morale,
garantirgli un posto al sole? C’è chi si arroga
il diritto di sottrarsi alla giustizia, negando
che tutti sono uguali davanti alla legge. E che
dire delle tante volgarità, condite talora con
qualche bestemmia? Che tristezza!
Caro don Antonio, non arrendiamoci. La verità
va gridata dai tetti!
Don Lorenzo, parroco
La missione della Chiesa, pastori e fedeli
laici, non può essere altra che l’annuncio
del Vangelo e dei valori morali che ne derivano:
dignità della persona, uguaglianza, giustizia
e fraternità. Una missione profetica, quindi.
E, necessariamente, critica. Mai funzionale
o strumentale ai potenti o all’ordine costituito.
La Chiesa, in base alla “carità nella verità”, ha
il diritto e il dovere di contrastare le realtà sociali
e culturali che violano la dignità della persona
umana e le esigenze di pace e giustizia della
convivenza civile.
In questa prospettiva, si è spesso pronunciata
su importanti questioni sociali: la famiglia,
il lavoro, i migranti (irregolari, rom), criticando
taluni provvedimenti del Governo. Il Papa e
il presidente della Cei, cardinale Bagnasco,
hanno esortato i cattolici e le comunità cristiane
a essere testimoni di fraternità, solidarietà e
accoglienza. Nel nome del Vangelo. C’è, però,
da chiedersi quanto questi richiami dottrinali
siano davvero alla base dell’agire politico dei
cattolici, ormai presenti nei vari partiti o schieramenti.
Essere cristiani in politica significa
annunciare con la parola e, soprattutto, con
la coerente testimonianza, la giustizia e la
solidarietà, secondo il disegno di Dio.
Se ci sono governanti e politici compromessi
con la legalità e la giustizia; che non si preoccupano
del bene comune, ma dei propri interessi;
che non sono attenti ai diritti di tutti, ma curano
i privilegi personali o di pochi… tutto questo
non piove dal cielo. Se la classe politica è
allo sbando, dove sono i cattolici impegnati
in politica? Purtroppo, sostengono e votano
provvedimenti inconciliabili con i diritti umani.
E, quindi, con il Vangelo.
L’impegno dei cattolici nel sociale e nei vari
ambiti del volontariato è ammirevole, ma non
basta. Oggi è doverosa una partecipazione diretta
alla politica, come gestione della “cosa
pubblica”. È richiesta una presenza attiva nelle
istituzioni per “piegarle” alla giustizia e alla solidarietà.
Con una particolare attenzione verso
le categorie ultime ed emarginate della società.
Che sono in crescita.
Questo è il vero impegno dei cattolici in politica,
non certo quello di privilegiare le “caste” o
gli interessi di chi è al comando, appellandosi
al “pragmatismo politico”, per cui affari e potere
mettono a tacere la coscienza. Pretendere ciò
non è idealismo o ingenuità. Tanto meno moralismo,
ormai un alibi al disimpegno di fronte
alle severe richieste del Vangelo.
È biasimevole l’incoerenza tra la fede e i comportamenti
quotidiani. Ma non è meno grave
strumentalizzare la religione, piegandola a logiche
di partito o schieramento. È cattiva coscienza
dirsi cristiani e agire, in privato e in
pubblico, con indifferenza verso gli altri, specie
se bisognosi di un riconoscimento dei loro diritti.
Un’autentica formazione cristiana deve esprimersi
anche in una coscienza sociale. Ispirata
ai princìpi del Vangelo.
Pubblicato il 03 maggio 2011 - Commenti (38)