Avvocati di strada, la svolta "legale"

"Assistenza Legale" è un network di studi direttamente sulla strada, come negozi, con 17 sedi in Italia. Nessuna segretaria, solo avvocati. Intervista al fondatore, Cristiano Cominotto.

05/06/2012
Cristiano Cominotto, presidente e fondatore nel 2007 di AL-Assistenza legale, insieme con Francesca Passerini.
Cristiano Cominotto, presidente e fondatore nel 2007 di AL-Assistenza legale, insieme con Francesca Passerini.

Indubbiamente la nostra professione deve cambiare e se non cambia rischia di scomparire. Siamo noi che ci dobbiamo adattare alla realtà economica e sociale del Paese, non viceversa”, parola di avvocato: Cristiano Cominotto, presidente e fondatore nel 2007 insieme a Francesca Passerini, che ne è vice presidente, di AL – Assistenza Legale, un network di studi legali su strada, come negozi, che conta attualmente 17 sedi nel nostro Paese. Un approccio innovativo a una professione antica e spesso ingessata, è da poco stato approvato in Parlamento il pacchetto delle liberalizzazioni del decreto Cresci Italia e tra le varie misure alcune riguardano proprio i professionisti, tra cui gli avvocati. Nessuno sconvolgimento radicale, qualche cambiamento frutto di compromessi con una lobby di peso che non vede di buon occhio il preventivo scritto né tanto meno l’ingresso di soci di puro capitale negli studi professionali.

Una delle 17 sedi di "AL-Assistenza legale" in Italia.
Una delle 17 sedi di "AL-Assistenza legale" in Italia.


AL, la creatura di Cominotto e Passerini è una realtà in controtendenza che ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali proprio per il modello realizzato: nel 2010 è uno dei primi 50 studi legali classificati dal Financial Times come i più innovativi in Europa, poi per due anni uno dei primi cinque ‘Legal Industry Pioneers’. “AL – Assistenza Legale è una formula molto vicina ai cittadini e ai loro problemi”, secondo Cominotto “è un modello congeniale alla cultura italiana, che non dovrebbe essere quella di studi legali che si occupano solo di grandi aziende o di grandi deal, ma quella di rivolgersi ai problemi della gente. Non c’è alcun motivo di copiare il modello anglosassone costruito su un tessuto economico e sociale molto diverso dal nostro”.

Come nasce l’idea di uno studio legale su strada?
   «Da un viaggio in Cina organizzato dall’Ordine degli avvocati di Milano. Eravamo a Shanghai, con l’avvocato Passerini, e il dinamismo di quella società, l’attività febbrile: andavi a dormire e davanti alla tua finestra c’era un grattacielo in costruzione, ti svegliavi che aveva un piano in più, tutto questo ci ha spinto a pensare di portare qualcosa di veramente innovativo anche in Italia».

Qual è l’aspetto veramente innovativo della vostra idea?
   «Il fatto di essere accessibili, in AL-Assistenza Legale siamo sulla strada come i negozi. Prima volevamo rivolgerci solo ai cittadini bisognosi, persone che non potevano permettersi l’avvocato. Poi abbiamo pensato che questa idea fosse escludente per una parte della società, le fasce medio alte, e non c’era motivo di tagliar fuori una fetta di mercato».

Com’è organizzata la struttura di AL?
   «È un’associazione di professionisti e chi decide di associarsi deve soddisfare determinati requisiti: deve garantire un certo tipo di assistenza e anche di presenza fisica, nel senso che essendo i nostri studi su strada le persone devono sempre poterci trovare. Inoltre siamo divisi per argomenti: in ogni studio non c’è mai un solo avvocato che fa tutto, c’è lo specialista di diritto del lavoro, quello di diritto immobiliare, di infortunistica, e così via».

C’è stata molta polemica a proposito del preventivo scritto...
   «Noi abbiamo iniziato anni fa con la politica del preventivo. Molti avvocati dicevano che non era possibile farlo, si diceva che non si può prevedere quante udienze ci saranno, ma in realtà basta fare un preventivo per una certa somma e dire che ogni udienza ulteriore costa un tot».

Come funziona se io mi rivolgo a voi?
   «Nei nostri studi non ci sono segretarie, né personale di alcun tipo, all’interno ci sono solo avvocati, con i quali si ha un contatto diretto quando si entra. La nostra battaglia sulla chiarezza consiste nella convinzione che il cliente deve essere messo in anticipo nella condizione di sapere quanto andrà a spendere. Chi viene presso un nostro studio riceve una risposta immediata oppure, se si tratta di una faccenda che richiede un’ulteriore valutazione, si fa il preventivo e dopo il cliente decide se accettare o meno. Nel caso in cui non vuole la prestazione si chiude lì e non paga nulla».

E per quanto riguarda l’ingresso dei capitali esterni?
   «Siamo favorevoli. Il tetto del 33% (fissato dalla legge sulle liberalizzazioni – ndr) ha una sua logica, ma parte dell’avvocatura si oppone anche a questo dicendo che farebbe perdere la necessaria indipendenza e imparzialità. Vorrei riuscire a capire com’è possibile che un socio di minoranza faccia perdere imparzialità ai soci di maggioranza, questo è un mistero. La resistenza nasce dal fatto che c’è una certa diffidenza a considerare la nostra professione come territorio imprenditoriale. All’estero però gli studi legali stanno cambiando molto proprio per l’ingresso di capitali esterni. Finirà che i nostri migliori studi e avvocati saranno acquistati da quelli inglesi o di altre nazioni, mentre potremmo essere noi a esportare i nostri modelli. Finora però non siamo mai riusciti a crearne di originali».

Lei ha anche uno studio legale tradizionale che risale a prima che fondasse AL, quali sono le principali differenze?
   «Lo studio legale tradizionale è in crisi, fa oggettivamente fatica, mentre quello su strada sta andando bene».

Alessandro Micci
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