19/04/2012
Don Giuseppe Diana, assassinato dalla camorra il 19 marzo 1994.
Ormai è chiaro. La parrocchia di don Giuseppe Diana, a Casal di Principe, è tornata nel mirino della camorra. Dopo la profanazione della cappella mortuaria di don Giuseppe Diana e il furto della targa incastonata nel marmo e intitolata al sacerdote anticamorra, sono stati trafugati dalla parrocchia di San Nicola il Santissimo e il Calice della messa. Ce lo riferisce lo stesso don Franco Picone, il successore di don Diana. “Stavo andando a celebrare messa”, spiega don Franco, “e mi sono accorto che erano spariti sia il Santissimo che custodisce le ostie, sia il calice. Due oggetti di grandissimo valore simbolico e spirituale ma non certo monetario".
"A questo punto mi pare che ci siano pochi dubbi", prosegue don Picone, "non si tratta certo di una coincidenza rispetto alla trafugazione della targa d’oro nella cappella di don Peppe”. Per la profanazione della tomba di don Diana, avvenuta qualche giorno fa, si era pensato a un furto commesso da ladri comuni. Il furto delle ostie e del calice, il 19 aprile, lo stesso giorno dell’attentato, costituisce il massimo sfregio per una parrocchia. Nella chiesa di San Nicola sono intervenuti i carabinieri, che già stavano indagando sull'episodio legato alla tomba di don Diana. Nella terra di “Gomorra” e del regno dei casalesi può aver dato fastidio il documento della forania di Casal di Principe e della Diocesi di Aversa pubblicato in occasione dei vent’anni dell’uscita della celebre lettera aperta (ne parla anche Roberto Saviano in Gomorra) dal titolo “Per amore del mio popolo”. Quel documento, che contestava la cultura camorrista, era stato redatto proprio da don Giuseppe, ucciso davanti alla sagrestia la mattina del 19 marzo 1994, il giorno del suo onomastico. La rilettura a cura della diocesi di Aversa si intitola “Poichè il cielo rosseggia”, con “una breve analisi di quanto è avvenuto in questi 20 anni”.
Il nuovo documento esprime anche “alcune preoccupazioni circa i tempi che stiamo vivendo”. Si sottolinea come sia “mutata la coscienza da parte dello Stato e dei singoli cittadini circa la pericolosità, vastità e pervasività della criminalità organizzata”, e il grande cammino e i progressi dei cittadini casalesi verso il miglioramento della società civile (lamentandosi che i media continuano a considerare Casal di Principe come il simbolo della camorra, pregiudicando chi cerca un lavoro in altre parti d’Italia). Ma si manifestano anche “legittime preoccupazioni” per la “possibile convivenza tra legale e illegale” che rimane “uno dei segni più deleteri dell’intera società”. E soprattutto si ribadisce, riprendendo le pagine di “Per amore del mio popolo” la differenza tra “la visione cristiana del vivere umano e la logica camorristica”.
Il documento integrale è disponibile sul sito della diocesi di Aversa:
http://www.diocesiaversa.it/poiche-il-cielo-rosseggia-ventanni-dopo
Francesco Anfossi