Congo, ora è emergenza umanitaria

Nelle regioni orientali del Paese africano si intensificano i combattimenti fra diversi gruppi armati. A pagarne il prezzo, i civili. L'allarme degli organismi internazionali.

La sanità è andata ko a causa della guerra civile

13/06/2012
Una giovane donna ferita nel corso degli scontri all'ospedale di Rwanguba, nell'Est Congo (Foto: Reuters).
Una giovane donna ferita nel corso degli scontri all'ospedale di Rwanguba, nell'Est Congo (Foto: Reuters).

Occorrono interventi mirati per almeno 40 mila profughi, nell'Est Congo, per garantire l'assistenza medico sanitaria essenziale.

     La recrudescenza degli scontri, come ha comunicato alla stampa Melissa Fleming dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, è dovuta alla riorganizzazione delle truppe ribelli fedeli all'ex comandante Bosco Ntaganda, già incriminato dalla Corte penale internazionale.

     L'emergenza è diventata una corsa contro il tempo per la quale scenderanno in campo, oltre al Programma alimentare mondiale per la fornitura di cibo, anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità e il Comitato Internazionale della Croce Rossa: gli sfollati non possono attendere ancora a lungo i beni di prima necessità e le medicine di cui necessitano.

     Le denunce sono unanimi: estorsioni, minacce, percosse, reclutamento forzato di minori sono il biglietto da visita dei ribelli che stanno creando un clima di terrore tale da spingere i civili alla fuga. Nel centro di transito di Nkamira, a circa 20 chilometri dal confine col Ruanda sono stati registrati poco meno di 10 mila rifugiati, di cui fanno parte oltre 500 studenti che stavano volontariamente tornado in Congo per la loro ultima sessione di esami. Tra le urgenze, la necessità di un nuovo campo profughi sulla direttrice che punta a Sud.

     Tra gli operatori umanitari impegnati sul campo si moltiplicano gli appelli. “In Kivu la situazione non si stabilizza, anzi, da alcuni mesi a questa parte continua a peggiorare”, ha dichiara Marcela Allheimen, responsabile dei progetti di Medici Senza Frontiere (Msf). “Notiamo una ripresa della violenza. Ma ancora più grave è che colpisca anche i civili e gli operatori umanitari”, ha aggiunto.

     Anche le notizie che arrivano da don Pietro Gavioli, dell'Opera Salesiana di Ngangi, a Goma, è preoccupante: "Molta gente per la paura fugge", ha riferito all'agenzia di stampa Fides, "così alla periferia della città si sono formati campi di rifugiati: in quattro giorni sono arrivate 15 mila persone, soprattutto anziani, donne, bambini, e i soccorsi tardano ad arrivare. Inoltre la guerra nei dintorni di Goma ha ridotto di molto l'arrivo dei prodotti agricoli, con il conseguente aumento dei prezzi".

     "La situazione all'interno della città di Goma è tranquilla", ha detto ancora il missionario. "Gli allievi preparano gli esami di fine anno. Ma al Centro Don Bosco non mangiano più, dato che il Programma Alimentare Mondiale (Wfp) ha ridotto drasticamente la distribuzione di cibo 'per esaurimento delle riserve', come si legge in una nota della stessa agenzia Onu".

Un gruppo di rifugiati assistito dalla Croce Rossa al passaggio di frontiera col Ruanda (Foto: Ansa).
Un gruppo di rifugiati assistito dalla Croce Rossa al passaggio di frontiera col Ruanda (Foto: Ansa).

La onlus Soleterre, infine, denuncia come nel Paese africano, anche là dove gli scontri sono meno accesi, la sanità sia ormai giunta al collasso per la mancanza di medici, infermieri, ostetriche e per le condizioni disastrose in cui versano gli ospedali (quando ci sono). A farne le spese sono soprattutto donne partorienti e bambini.

     Con una popolazione che cresce a ritmi vertiginosi (tasso del 3%, in Italia è dello 0,42%), la richiesta di medici e personale specializzato è di almeno 177 mila elementi: oggi non si arriva a 52 mila. Nel dettaglio: in Repubblica Democratica del Congo si contano oggi circa 6 mila medici (di cui 3.700 lavorano nella capitale Kinshasa dove vivono tra 8 e 10 milioni di persone), 40 mila infermieri (in Italia sono 400 mila e comunque non bastano) e 5.700 ostetriche.

     Ma non è la mancanza di preparazione ad aver aggravato l'assenza di medici. Piuttosto, molti sono caduti vittime dei conflitti civili che si susseguono da molti anni, altri hanno preferito emigrare, chi per paura chi in cerca di condizioni di lavoro meno precarie.

     Il risultato è sconcertante: ogni 100 mila nati vivi, muoiono 670 mamme, alcune per parto, altre per complicazioni connesse alla gravidanza; 1 bambino su 5 muore prima di aver compiuto 5 anni, nella maggior parte dei casi per malattie respiratorie o gastrointestinali oltre alla malaria. Le ostetriche locali, infatti, non sono qualificate e spesso impiegano antichi rimedi della medicina tradizionale, creando talvolta più danno che aiuto, sottolinea Soleterre.

     I dati si spiegano anche con la difficoltà di raggiungere strutture sanitarie adeguate: ci possono volere anche 12-14 ore di cammino per arrivare a un centro di salute.

     Il nuovo esodo di massa rischia di far cadere nel baratro la sanità del Paese. I medici hanno provato a far valere le loro ragioni rinfacciando al Governo di non aver ancora mantenuto fede alle promesse fatte in campagna elettorale relative all'assunzione di nuovo personale a condizioni contrattuali dignitose  e all'accesso gratuito alla sanità per i soggetti a maggior rischio di contagio.

     "L'unico modo per garantire il diritto alla salute in Africa - ha detto Damiano Rizzi, presidente di Soleterre - è quello di investire sulla sanità, come ricorda spesso l'Oms. In Repubblica Democratica del Congo, come in Uganda e in altri Paesi africani, le emergenze diventano spesso solo occasioni per governi corrotti e multinazionali per fare affari d'oro e non per portare realmente beneficio alle popolazioni in crisi".

     Nel Paese africano, dal 1996 sono già morte da 4 a 5 milioni di persone a causa di guerra, povertà, fame e malattia. "La comunità internazionale", ha aggiunto Rizzi, "deve garantire ai cittadini africani non solo la presenza durante le emergenze, ma deve restare il tempo sufficiente per mantenere la pace, nonché ricostruire i servizi e le infrastrutture necessarie alla realizzazione di uno Stato democratico».

Luciano Scalettari e Alberto Picci
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