2 giugno, che c'è da festeggiare?

Si celebra la nascita della Repubblica. A Roma, la (contestata) parata ai Fori imperiali. La voce dei militari. E quella dei pacifisti.

Buon compleanno, Italia, nonostante tutto

01/06/2013

Cara Repubblica,
                         ancora una volta è il 2 giugno, la tua festa.
E tutti ricordiamo quei 12 milioni di voti che appunto quel giorno, nel 1946, fecero da levatrice alla tua nascita. E’ un peccato che sia così difficile trasmettere ai più giovani il senso di euforia di certe ore, la sensazione di un mondo nuovo ormai alle porte. Finito il fascismo, finita la guerra, finita la monarchia. Partita la democrazia, partita la rinascita. Oggi è invece possibile che un ragazzo ci chieda: scusa, ma che avete da festeggiare? E in effetti noi, la generazione dei padri, cioè la seconda generazione di italiani repubblicani, potremmo onestamente ammettere che, almeno in apparenza, c’è poco da festeggiare. Siamo stati, al contrario di quella dei nostri genitori, la generazione dei grandi dissipatori. Certo, il pensiero corre istintivo a quel po’ di benessere che abbiamo bruciato nella corsa al debito, al consumo non più sostenibile, al privilegio senza misura. Ma soprattutto abbiamo dissipato quel senso di appartenenza e di unità nella nazione che ai nostri padri quasi pareva nulla di speciale, tanto era per loro forte e naturale.

                          Cara Repubblica, quanto male ci fa vederti atomizzata dalle faide di partito, quelle in cui l’interesse di fazione ha sempre e comunque precedenza sul bene collettivo. Seguire le battaglie delle corporazioni, che certo i 12 milioni di votanti che ti scelsero pensavano morte con il fascismo, che dilaniano le tue fragili strutture nella perenne ricerca di un vantaggio anche fuori dalle logiche più sane del mercato. Per non parlare di quei milioni di tuoi figli, cittadini come gli altri ma ormai trasferiti in una “seconda serie” fatta di disoccupazione, precarietà, futuro negato, magari costretti a farsi adottare all’estero, da Stati solo più organizzati e coerenti di quanto noi abbiamo saputo fare con te. Noi meno giovani stentiamo a riconoscerti. Loro, i più giovani, ti osservano e non ti capiscono. Non sanno che non sei sempre stata così e forse nemmeno gli importa. Vorremmo far loro capire che ti abbiamo amata tanto senza saperti amare. E che senza di te rischiamo di non avere un volto che ci accomuna tutti, che ci ricorda chi siamo e perché, giorno dopo giorno, facciamo certe cose che ci tengono insieme. Ma diventa ogni giorno più complicato.

                           Perdonaci, Repubblica, se facciamo fatica anche a festeggiare.  

Fulvio Scaglione,
 Vicedirettore di Famiglia Cristiana

Dossier a cura di Alberto Chiara e Luciano Scalettari
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Postato da martinporres il 02/06/2013 18:08

Peccato che quest'anno cade di domenica, un giorno di festa in meno

Postato da LucianoT il 02/06/2013 16:46

La nascita della Repubblica Italiana, sancita dal referendum del giugno 1946, fu il punto di arrivo di un susseguirsi di eventi drammatici e tragici che si succedettero nell'arco degli anni, che vanno da dopo la Grande Guerra al termine del secondo Conflitto Mondiale. La pietra tombale messa sulla democrazia ad opera del fascismo, l'entrata in guerra e la scellerata codardia di una "casa regnante" incapace di amare il proprio Paese, portarono gli italiani a scegliere una nuova forma di Stato. Guardare alla nostra Repubblica con gli occhi di un economista, è limitare l'importanza della sua nascita. Anche sottolineare gli intrallazzi della classe politica, porta a non andare all’essenziale di una scelta, quella della Repubblica, veramente epocale. L'unica cosa di cui dovremmo scusarci, dottor Scaglione, è il chiedere scusa per non aver saputo (o forse, voluto), in questo giorno, alzare gli occhi al di là del contingente: i nostri giovani meritano di più di un requiem qualunquista. Non si tratta di voltarsi colpevolmente dall’altra parte e negare certe realtà che nessuno osa misconoscere. Una volta si parlava di Ideali fondanti, ma adesso siamo al momento delle critiche da bar dello sport; se la pensiamo tutti così, allora si ha ragione a dire "povera Repubblica!".

Postato da DOR1955 il 02/06/2013 12:23

Concordo pienamente con l'analisi del dott. Scaglione; aggiungo, a mio modo di vedere, l'esistenza di uno strisciante (e pertanto maggiormente subdolo) pericolo per la Democrazia cui la nostra Repubblica (attraverso la Carta Costituzionale) si fonda data da un governo-nongoverno dove intravvedo spinte oligarchiche in seno allo stesso ma molto più da parte di chi, effettivamente, "tira i fili" del teatrino della nostra politica. Basta citare legge elettorale - finanziamento ai partiti - IMU - occupazione giovanile e non - rilancio dell'economia. Tutte quelle cose che, se non erro, sono state indicate da Napolitano come impegni urgenti del governo nel momento in cui ha accettato la ricandidatura. Stanno umiliando non solo la Repubblica-Costituzione, ma sopratutto i milioni di morti italiani (e non solo) che per questa Repubblica-Costituzione si sono battuti credendo in un mondo migliore. E' desolante e avvilente.

Postato da Andrea Annibale il 01/06/2013 16:32

L’Italia è, da secoli, terra di occupazione da parte di eserciti stranieri o della influenza dei medesimi eserciti stranieri e delle relative potenze straniere nelle vicende nazionali. Prodromo remoto del Risorgimento è la liberazione di Torino nel 1706 con il contributo determinante dell’esercito austriaco guidato dal condottiero e Principe francese naturalizzato austriaco Eugenio di Savoia arrivato da Vienna con 40.000 uomini per salvare Torino assediata dai francesi. Ancora oggi si ricorda il sacrificio nobile del soldato semplice Pietro Micca durante l’assedio della Città. I Regni, i Ducati e, più genericamente, gli Stati preunitari erano tutti sotto l’influenza delle grandi Potenze straniere che non facevano mancare i loro servizi segreti e i loro eserciti. Poi sono arrivate le campagne napoleoniche, con relativa trasformazione delle chiese e dei monasteri in banche cambia-valuta e in depositi di armi. Poi è arrivato il Risorgimento, con le truppe francesi di Napoleone III, a fianco di quelle sabaude, nella battaglia di San Martino e Solferino, poi ancora il non expedit di Pio IX e la breccia di Porta Pia. Poi c’è stata l’alleanza di Mussolini con regime tedesco nazista e la sostanziale occupazione dell’Italia da parte di truppe tedesche con relativa Resistenza. Poi si è arrivati all’occupazione dell’Italia da parte delle truppe anglo-americane. Cosa ci sia da festeggiare in tutte queste scorribande di truppe straniere sul territorio del Bel Paese questo non lo capisco neanche io. Faccio i miei auguri all’Italia, tanto non costano nulla. I Savoia, che certo hanno commesso errori clamorosi, hanno fatto da capro espiatorio per i crimini commessi dal popolo italiano e dai gerarchi nazi-fascisti. Forse ci vorrebbe una giornata del pianto, del pentimento e del rammarico per tutti gli errori e le disgrazie di cui è cosparsa la Storia patria. Più che un clima di festa, ci vuole un clima di speranza che il futuro ci riservi tempi migliori rispetto alle tragedie del passato. Facebook: AAnnibaleChiodi; Twitter: @AAnnibale.

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