09/05/2013
«Senza
di voi molti bambini di Haiti sarebbero morti»: i volontari di Agata Smeralda sono stati accolti e travolti da queste parole di suor Marcella Catozza. Un brivido che da una parte riempie il "serbatoio" di chi si dedica agli altri senza se e senza ma, dall'altra, però, fa rabbrividire. Quanto c'è ancora da fare? E, soprattutto, qual è il modo più veloce per ottenere dei risultati? L'esperienza accumulata dall'associazione, tra le prime in Italia a credere e "investire" nell'adozione a distanza, negli anni trascorsi nelle favelas di Salvador Bahia è utile ma non basta: ogni territorio ha le sue peculiarità, ogni popolo ha le sue abitudini e i suoi linguaggi (scritti e non), ogni intervento ha le sue criticità.
L'unico, vero, possibile filo conduttore è la
rete di solidarietà che si riesce a costituire in modo capillare. Quella stessa rete che, all’indomani
del terribile terremoto che ha devastato l'isola, ha spinto il presidente dell’associazione,
Mauro Barsi, a cercare contatti con i missionari del posto che consentissero di intervenire in modo efficace e tempestivo nel rispetto delle reali emergenze del momento. «Il
“metodo” di Agata Smeralda - dice Barsi - è infatti quello di sostenere, attraverso le
adozioni a distanza e
contributi mirati, le realtà locali. Non dunque
interventi calati dall’alto, o studiati a tavolino, ma una collaborazione
stretta con le Chiese locali e con i missionari, per rendere più efficace questo
servizio umanitario».
«Ad Haiti la
Provvidenza ci ha fatto incontrare una missionaria davvero straordinaria, ricca
di energia fede e passione, con una forte volontà». Suor Marcella, appunto, che con
gli aiuti che provengono dall’Italia grazie all'impegno di diverse realtà associative, ha risposto
al terremoto creando nella baraccopoli di Waf Jeremie, 300mila persone
accalcate in una zona degradata di Port au Prince, il “Vilaj
Italyen”. In un contesto “infernale” si è riaccesa la speranza con i lavori per la costruzione di 122 abitazioni, di un poliambulatorio che offre assistenza ogni giorno a circa 250 pazienti, una scuola che accoglie 450 bambini. Un piccolo mondo al quale aggrapparsi per ripartire.
Ecco, quindi, che prende forma il Progetto Latte, promosso proprio dall'associazione fiorentina. «Un
progetto – racconta suor Marcella - che è davvero vita. Un bambino che non può prendere
il latte della mamma, perché è morta o è gravemente malata, è un
bambino con un destino già tragicamente scritto. Ci sono tante mamme sieropositive che non
sanno come sfamare i loro piccoli. Tante creature nascono che pesano soltanto
un chilo e, se non si dà loro il latte, muoiono».
«Ci sarebbe una disposizione
che vieta l’uso di latte in polvere, ma io non me ne curo.
Do il latte
necessario, perché è l’unico modo per salvarli. Ogni mattina vengono le mamme
con i loro piccoli. Prepariamo per loro il latte, evitando che usino acqua non
potabile. Il primo biberon lo danno qui da noi e poi portano la bottiglia a
casa. Ora, con l’aiuto di “Agata Smeralda”, possiamo sfamare una maggiore
quantità di bambini, ma non certo tutti quelli che ce lo richiedono. Siamo
diventati un riferimento non solo nella baraccopoli, ma anche per tutta Port au
Prince. Infatti
diverse altre organizzazioni umanitarie, che non possono
intervenire sul piano nutrizionale, ci chiedono di sostenere anche i loro
bambini che vivono in altre zone. Abbiamo recentemente avuto il caso di due
gemellini seguiti dai sacerdoti salesiani, i quali non potevano sostenere la
spesa dell’acquisto di latte, però pagavano un’auto che quotidianamente li portava
i gemellini insieme con mamma al nostro centro. Così siamo riusciti a sostenere anche
loro che sono quasi ad un’ora di strada da noi. Però,
se oggi sono
vivi, è perché “Agata Smeralda” ce lo ha permesso, altrimenti non avremmo
saputo come fare”.
Il Progetto Latte continua perché le necessità sono crescenti. Si può contribuire con versamenti liberi: per
1 kg di latte in polvere occorrono 10 euro. Sul sito dell'associazione tutte le indicazioni del caso.
Alberto Picci