18/05/2022
Walter Muto, Lettere di amore vero. Così ci si amava al tempo dei nostri nonni, Ancora, Milano, 2020, pp.112, € 13,00
Nell’epoca delle contrazioni fonetiche, degli emoji, delle relazioni connetti/sconnetti, si intercetta un libro come questo e ci si trova un po’ impreparati, certamente stupiti, prima di farsi incantare da un amore “di altri tempi”. Sarà forse accaduto anche all’autore, scrittore ed esperto conoscitore di musica, quando ha incontrato questa storia e ha deciso di farla sua, studiando un corpus di 432 lettere che due fidanzati di oltre un secolo fa si sono scambiati assiduamente.
La storia, in breve: sono i primi del Novecento, Pietro e Teresa sono due giovani di Genzano, un paese in provincia di Roma. Lui la vede in chiesa e se ne innamora. Si dichiara per lettera (“Gentilissima signorina, non avrei voluto turbare la vostra austera serenità inviandovi una dichiarazione d’amore, se il cuore non me lo avesse imposto”) e i due si frequentano per tre anni prima di fidanzarsi ufficialmente, attendendo ancora altri cinque anni prima di sposarsi, nel 1933. Dal loro felice matrimonio nascono cinque figli, ma nove anni dopo Teresa muore di tifo. Pietro porterà il lutto per i successivi 32 anni, fino alla morte. Crescerà da solo i suoi bambini, che avevano dagli otto anni ai dieci mesi, con una vita da uomo gentile, giusto, sempre sostenuto da una fede incrollabile.
Cosa ci dice oggi la storia di questa coppia? Senza dubbio, vale la pena di riflettere su due dimensioni: la distanza e il tempo. La prima la conosciamo bene: molte relazioni affettive avvengono oggi a distanza (non certo per ragioni di convenienza e costume, come è accaduto per i nostri protagonisti che si sono corteggiati “per lettera”) e hanno bisogno di un mezzo, che oggi è la tastiera, lo schermo, l’autostrada dei Social. Tutto diverso? Forse no. Paolo e Teresa parlano dal passato ma ci insegnano senz’altro qualcosa: la cura del messaggio, ancora fondamentale in una relazione.
Rispetto al tempo, l’autore lo sottolinea: terribile, insopportabilmente ingiusto che nel momento della massima felicità, dopo tanti anni di attesa, Teresa muoia. In un’epoca come la nostra in cui il tempo delle relazioni si è accartocciato, fedele più all’emozione che al sentimento, è molto difficile comprendere la pazienza che ha preceduto la realizzazione del loro sogno d’amore. Il fatto è che l’attesa è una dimensione affettiva. Anche l’attesa consolida, allena la relazione. Paolo e Teresa hanno nutrito il loro amore con la fede, che “veste” i loro messaggi e ci conduce in un quadro più ampio, che ha a che vedere con il senso della vita. Questa coppia, che si è amata a un passo dal baratro di una guerra mondiale, ci restituisce una sorta di grammatica relazionale, ci parla dell’importanza di costruire sulla roccia, prima che arrivi la piena.
(Benedetta Verrini)