04/05/2022
Enrica Tesio, Tutta la stanchezza del mondo, Bompiani, Milano, 2022, pp.192, € 17,00
Ci sono momenti in cui si ride fino alle lacrime, leggendo questo libro di Enrica Tesio dedicato al malessere più universale del nostro tempo, la stanchezza. Si ride ma anche ci si identifica, inevitabilmente, negli aneddoti e ragionamenti di una madre di tre figli che si arrampica, come la maggior parte di noi, in un equilibrio precario tra casa-lavoro-bambini e che avverte la stanchezza come elemento costante delle sue giornate. Ed eccola a descrivere i multistanchi, che non rispondono “bene” o “male” alla domanda: come stai? Perché semplicemente si definiscono “esausti” e questa condizione è socialmente accettata, potremmo dire consolidata nella vita contemporanea, coerente con gli obiettivi di successo e di realizzazione che la cultura di oggi ci impone.
Così l’autrice seleziona dodici capitoli – come le dodici fatiche – che affrontano altrettanti argomenti esistenziali, come la casa, i figli, il lavoro, ma anche i social, la bellezza, la burocrazia e molto altro. Ciascuno di essi è un tuffo nei ricordi di un’intera generazione, quella dei quarantenni di oggi, nati a cavallo tra un’era geologica e l’altra, cresciuti secondo sogni e standard esistenziali che sono rapidamente scaduti (con l’avvento delle ITC, di nuovi modelli di contratto atipico, di realtà virtuali) e che hanno vissuto in una costante fatica di adattamento, correzione di obiettivi, ma anche un po’ filosofi di fronte agli eventi della vita.
Ciascuna “fatica” è un interno esistenziale che ci accomuna e altre volte no, anche se lo conosciamo. E’ anche un’analisi brillante e argomentata dei grandi equivoci del nostro tempo, come quel “se vuoi, puoi” che è diventato un imperativo dell’auto-realizzazione e una trappola psicologica della dinamica lavorativa, quella in cui siamo noi gli schiavisti di noi stessi, del nostro tempo, dei confini tra mura domestiche e pareti d’ufficio. E in questa corsa, dov’è il riposo? Chiede l’autrice. Se pure Dio si è riposato, il settimo giorno. “Ma ho la certezza che non c’entrasse la stanchezza”, scrive. “Si è riposato perché voleva contemplare quello che aveva fatto. Come si contempla il fuoco di un camino, la polvere nella luce, la vita di un bambino”. (Benedetta Verrini)