Marini: "Era davvero un Papa amabile"

Monsignor Marini è stato a fianco di papa Wojtyla per l’intero pontificato, dapprima come cerimoniere e quindi come maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. I suoi ricordi.

28/04/2011
Monsignor Piero Marini con papa Wojtyla.
Monsignor Piero Marini con papa Wojtyla.

«Quella di Giovanni Paolo II era la santità di chi ha vissuto in modo straordinario l’ordinarietàdel proprio ministero sacerdotale ed episcopale». L’arcivescovo Piero Marini, dal 30 settembre 2007 presidente del Pontificio comitato per i congressi eucaristici internazionali, è stato a fianco di papa Wojtyla per l’intero pontificato, dapprima come cerimoniere e quindi, dal 1987, come maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie. Dai suoi ricordi è scaturito un libro per le Edizioni San Paolo, cui monsignor Marini ha voluto dare come titolo proprio un’espressione di Giovanni Paolo II: Io sono un Papa amabile.

– Monsignor Marini, lei ha avuto occasionedi conoscere Karol Wojtyla ancora da cardinale, quando nel maggio 1973 si recò a Cracovia insieme con il prefetto della Congregazione per il culto divino, il cardinale ArturoTabera Araoz. Quale ricordo conserva di quell’incontro?

     «Eravamo andati in Polonia per le celebrazioni in onore di san Stanislao. Dal cardinale Wojtyla ricevemmo una squisita ospitalità e ci fu anche l’opportunità di celebrare con lui una Messa nella chiesa ancora in costruzione a Nowa Huta. In quei giorni trascorsi insieme ho potuto rendermi personalmente conto di quanto incarnasse l’immagine del vescovo che il Vaticano II aveva delineato: un pastore al servizio della comunità diocesana, dal quale dipende un po’ la vita di tutti i suoi fedeli, ma sempre molto vicino alla gente».

– Quando le venne chiesto di svolgere il compito di maestro delle celebrazioni, come riuscì a entrare in sintonia con quanto lui desiderava?

     «Creare un’intesa con Giovanni Paolo II fu molto facile e veloce, poiché era un uomo aperto e sincero. Soprattutto nei primi tempi confrontavo con lui ogni aspetto delle cerimonie, ma dopo un po’ mi resi conto che aveva raggiunto una piena fiducia in me. Lui aveva profondamente assimilato le idee del Concilio, anche se le sue devozioni conservavano una radice polacca. Per esempio, lo ricordo negli ultimi tempi mentre leggeva nella sua lingua madre, su un libretto consunto, le litanie di Gesù sommo ed eterno sacerdote, oppure la coroncina della Divina Misericordia ispirata dalle rivelazioni di santa Faustina Kowalska».

– Le celebrazioni liturgiche sono anche state occasioni per intensificare il dialogo ecumenico. Lei conserva un ricordo particolare a questo riguardo?

     «Oltre alle tante opportunità positive, mi viene in mente un’occasione sprecata. Fu nel1999 quando era in programmazione la visita in Romania. Dopo essermi consultato con alcuni esperti, chiesi al Papa se sarebbe stato disponibile a ricevere la Comunione dal patriarca Teoctist, durante la Divina Liturgia. Lui mi disse di non avere difficoltà, purché fossero d’accordo anche gli ortodossi. Lo proposi durante l’incontro organizzativo delle due delegazioni e in realtà, mentre loro rimasero in un sorpreso silenzio, fu uno dei nostri a dire che sarebbe stato problematico. Ecosì non si giunse a un buon fine».

– C’è stato qualche altro significativo caso di idee non realizzate?

     «Di ipotesi, per la confidenza che avevo con lui, ce ne sono state tante. Per esempio, in occasione del Giubileo del 2000, gli avevo proposto la realizzazione di una preghiera eucaristica sugli “ultimi tempi”, poiché il rito romano ne è privo. Ricordavo, infatti, che nel 1975 erano state scritte due preghiere eucaristiche sulla riconciliazione che ora si trovano in appendice nel Messale romano. Il Papa sarebbe stato anche d’accordo, ma poi la proposta si è arenata per la chiusura di altri ambienti della Curia».

– Che cosa ha imparato da lui?

     «Soprattutto come deve vivere un prete, un vescovo del Concilio, celebrando l’Eucaristia e i sacramenti con la propria comunità e annunciando la parola di Dio».

– Quali caratteristiche della sua santità leiha conosciuto maggiormente?

     «Io ho visto soprattutto una vita normale,la vita di un uomo che è andato incontro a tutti, sin dalla sua prima celebrazione pubblica all’inizio del pontificato. Karol Wojtyla si è fatto santo dandosi agli altri, facendo dellaliturgia un mezzo per comunicare e per evangelizzare. Era un Papa molto umano, che si faceva voler bene da tutti e metteva ciascuno a proprio agio».

– Ma come ha vissuto Giovanni Paolo II la sua malattia?

     «Ha accettato tutte le stagioni della sua vita e le ha vissute intensamente fino all’ultimo. Riusciva a stemperare con un sorriso le difficoltà. Ricordo che in una nunziatura, durante un viaggio pastorale, passò dinanzi allo specchio, si fermò e alzò il bastone minacciandosi scherzosamente: “Ora vedi di camminare dritto!”. Soltanto negli ultimi tempi ha cominciato a provare una certa insofferenza. Per esempio una volta, scendendo lungola Scala regia, è capitato che avesse uno scatto di nervosismo dopo essersi colpito la mitra con la Croce pastorale. Ma immediatamente baciò il Crocifisso, quasi a volersi scusare di aver perso un po’ la pazienza!».

Saverio Gaeta
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