21/09/2022
L’Ordine regionale Assistenti sociali della Lombardia e il Centro Internazionale Studi Famiglia (il Cisf) hanno proposto ieri - 20 settembre - a Milano un seminario di formazione, a cui sono intervenuti circa un centinaio tra assistenti sociali e operatori domiciliari, su un tema specifico di grande interesse: come intervenire e supportare persone anziane che si trovano intrappolate nella dipendenza dall’alcol e dal gioco d’azzardo.
Un evento e un percorso di collaborazione – iniziato lo scorso aprile con un webinar tematico disponibile sul canale YouTube del Cisf - in cui entrambi gli organismi hanno impegnato le proprie energie e risorse.
Ecco l’introduzione di apertura del seminario, con cui il direttore del Cisf, Francesco Belletti, ha avviato i lavori:
“Il merito di aver messo sotto osservazione questo “intreccio di temi” va all’Ordine degli assistenti sociali, e in particolare al gruppo di lavoro, che ha realizzato negli scorsi anni un’indagine presso i propri associati. Sul versante Cisf, la nostra attenzione si è concentrata a più riprese sulla condizione anziana, così come sulle problematiche delle dipendenze: ricordo in particolare due convegni sul gioco d’azzardo, a Milano e Palermo, negli anni 2001 e 2002, quando il tema era ancora ben poco esplorato. Ma ci è subito sembrato innovativo “aver messo insieme” due luoghi sociali in genere distinti, gli anziani da un lato, le dipendenze dall’altro.
In effetti obiettivo prioritario e metodo del Cisf è verificare se e come la dimensione familiare sia importante per qualificare il benessere delle persone e della società, sia a livello macro-sociale (politiche economiche, fiscali, servizi), sia nelle micro-relazioni (progetti vita, educazione, interventi di cura, ecc.). Il paradigma relazionale (il soggetto è in quanto in-relazione con altri) guida il nostro lavoro di ricerca, osservazione e di comunicazione”.
Il tema che affrontiamo nell’ambito di questo seminario è innovativo e sfidante, per tre principali motivi:
1) la sfida dell’integrazione
2) la sfida della presa in carico precoce
3) la sfida della promozione del soggetto
1) la sfida dell’integrazione
In primo luogo sfida all’integrazione dentro i servizi e all’integrazione dentro le reti (anziani e dipendenze, servizi, operatori della cura e relazioni familiari e di vicinato). Oggi in particolare sarà approfondito il lavoro di interazione e dialogo all’interno dei servizi.
Ma a me spetta segnalare un’ulteriore integrazione, cioè l’importanza che in questo lavoro vengano tenuti accesi i riflettori su tutte le relazioni corte, primarie, prima di tutto familiari, ma anche amicali, di vicinato, ecc., che sono (o possono essere, adeguatamente stimolate) risorse strategiche estremamente preziose (e in questo rinnovare l’alleanza tra professioni dell’aiuto e le relazioni familiari ed informali di care).
In particolare ci pare importante l’intergenerazionalità come dimensione ermeneutica/interpretativa di partenza, per non restare in un modello “a compartimenti stagni”: in altre parole, serve pensare alla condizione anziana come ridefinita dentro l’intreccio tra le generazioni, non solo all’interno delle reti familiari, ma anche a livello comunitario.
Credo che sia evidente che il futuro di una condizione anziana dignitosa non è solo o soprattutto nella costruzione di isole felici per soli anziani, e nemmeno in prestazioni socio-sanitarie “perfette”, ma in un “permanere integrati” nel vivo delle relazioni (anche intergenerazionali) di una comunità che cura: per sfruttare un proverbio ampiamente utilizzato in altri ambiti, “per aiutare un anziano fragile serve un intero villaggio”.
2) la sfida della presa in carico precoce
In secondo luogo, perché in questo ambito è ancora più evidente l’esigenza di “anticipare” la presa in carico e di sapere leggere prima possibile i segnali di questi specifici comportamenti. Perché troppo spesso si arriva tardi (quando l’alcol è diventato dipendenza, oppure quando i conti correnti sono stati svuotati nelle slot del bar o in Gratta e Vinci).
3) la sfida della promozione del soggetto
In terzo luogo (senza pretesa di esaurire i temi rilevanti) qui si attiva una sfida di estrema complessità sia per la famiglia che per i servizi sociali e più in generale per il welfare di aiuto a livello micro-sociale, e che mi pare assuma anche implicazioni etiche e deontologiche: la difficoltà di adottare un processo di promozione della autonomia e dignità del soggetto e della sua libertà quando proprio la libertà del soggetto sembra essere il motore della sua propria dipendenza (si può parlare di empowerment, di promozione della resilienza delle persone, di promozione della capabilities o delle competenze residue…).
In questo sta una grande sfida di modernità – non nuova, peraltro -, sia per la famiglia che per i servizi. Se infatti rimane l’obiettivo di considerare la persona al centro dei processi di aiuto a lei indirizzati, entrambi i sistemi (famiglia e servizi) devono uscire da un modello di “pre-potenza” che assoggetta l’individuo al collettivo, e che ha segnato le storia di entrambe le istituzioni:
- per la famiglia autoritarismo, modelli educativi solo prescrittivi e di divieti, conformismo, cieca sequela delle tradizioni;
- per i servizi ed il welfare una funzione di controllo sociale e di contenimento della devianza, che spesso associava l’intervento sociale alle forze di polizia, più che agli interventi di “benessere”.
Ma qui proprio la rimessa al centro della libera volontà della persona è in gioco, perché la dipendenza è un fattore di limitazione e di “perversione” della libertà di scelta, e chi aiuta (operatore o familiare) deve fare i conti con questo.
Rimango fermamente convinto che, pur con tutti i limiti del caso (che chi vive e opera sul campo in queste situazioni conosce bene, sia in famiglia che nei servizi), l’obiettivo non possa che essere “restituire dignità e libertà” alla persona in difficoltà, anche quando si tratta di un anziano, magari solo ed isolato, che non riesce a liberarsi dalla bottiglia o dall’appuntamento quotidiano con il Gratta e Vinci. Oggi né la famiglia né i servizi possono illudersi di poter essere come quel personaggio di Pulp Fiction, di Quentin Tarantino, che suona al campanello e dice: “Mi chiamo Mr. Wolf: risolvo problemi”. Si tratta piuttosto di rimettere in gioco, per quanto possibile, la libertà della persona, insieme proteggendola. Facile da scrivere e da dire qui, certamente molto più difficile da agire nel concreto.
E proprio in questa sfida di restituzione di dignità e di libertà alla persona diventa ancora più virtuosa e strategica una rinnovata alleanza tra mondi vitali e intervento professionale ed istituzionale, che è la cifra irrinunciabile della welfare community – ed è anche origine di questa collaborazione tra il Centro Internazionale Studi Famiglia e un Ordine professionale, in particolare con il profilo degli Assistenti Sociali. Per aiutare le persone e le famiglie ad aiutarsi e a tornare protagoniste dei propri progetti di vita”.