Lavorare con i conflitti

Lavorare con i conflitti. Una esperienza di ascolto e mediazione dei conflitti in due aziende sanitarie. Tesi in breve di Sabrina Colombari

04/11/2012

Tesi di Sabrina Colombari
Relatrice: Giuliana Galeotti

Anno accademico 2010-2011

Alta Scuola di Psicologia "A. Gemelli", Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia
Master in mediazione familiare e comunitaria
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

La tesi è in corso di stampa 

 

Sabrina Colombari

Introduzione

L’elaborato presenta l’esperienza avviata all’interno della Azienda USL di Bologna (in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera – Universitaria), riguardante l’avvio di una nuova attività aziendale deputata alla promozione del benessere lavorativo.

Questa funzione è stata affidata ai Consiglieri di Fiducia (in seguito CdF), professionisti dipendenti delle due aziende partner nel progetto, selezionati appositamente sulla base delle loro attitudini.
Il CdF è una figura prevista dal contratti nazionali di lavoro e da norme comunitarie, dedicata alla prevenzione e gestione di situazioni lavorative critiche quali molestie, vessazioni o discriminazioni in ambito lavorativo.
L’introduzione di questa figura discende dalla adozione del Codice di Condotta. Il Codice è un atto di carattere volontario, assunto dal datore di lavoro al fine di promuovere un clima favorevole al rispetto della dignità della persona che lavora.

Il Codice adottato dalla Azienda USL di Bologna dichiara che l’Azienda istituisce i Consiglieri di Fiducia, “figure che possono intervenire, anche utilizzando tecniche di mediazione, nelle situazioni di conflitto, disagio e vessazioni, al fine di ricercare una rapida e soddisfacente soluzione”.

La costituzione dei CdF non è stata quindi un semplice adempimento a richieste contenute nei contratti e nelle norme.
Si è scelta, invece, la sfida di proporre un ruolo nuovo, orientato ad aiutare efficacemente le persone in conflitto a recuperare una condizione lavorativa di serenità, a leggere con sguardo nuovo episodi relazionali critici e superarli.

Tra le diverse possibili modalità di gestione delle relazioni lavorative conflittuali, le aziende hanno scelto di adottare una prassi “informale” e negoziale.
E’ stato considerato prioritario salvaguardare o recuperare le relazioni interpersonali tra colleghi - destinate a continuare nel tempo - per favorire il senso di appartenenza alla comunità di lavoro e la motivazione professionale.

La mediazione è stata il modello di riferimento, ed il paradigma relazionale simbolico, orientato a “portare in salvo l’appartenenza dopo un conflitto” è sembrato quello che, meglio di ogni altro, coincidesse con gli obiettivi costitutivi dei consiglieri.

Fiducia e conflitti lavorativi

Il capitale sociale di un gruppo è costituito dalla qualità delle relazioni interpersonali e sociali circolanti, qualità legata essenzialmente al livello di fiducia che le persone nutrono le une verso le altre.

La fiducia è un elemento così necessario che, nelle analisi organizzative, viene considerato tra i fattori del processo produttivo, al pari del lavoro, del capitale economico, delle risorse naturali e strutturali.

La gestione manageriale del “capitale umano” o “risorse umane” ha, talvolta, messo in secondo piano l’individuo, le singole identità che formano il “capitale”.

In molti casi a questa operazione manageriale e linguistica si è accompagnata la perdita del senso di appartenenza, del valore del contributo personale, modificando il significato dell’identità professionale e collettiva dei gruppi che in queste aziende lavorano.

Quando una organizzazione è povera di capitale sociale è povera di risorse per il proprio sviluppo poiché la sfiducia, la diffidenza e lo scetticismo divengono i regolatori fondamentali di ogni genere di rapporto.
Le relazioni lavorative frequentemente diventano conflittuali, in modo aperto o latente, e possono determinare situazioni di stress e sofferenza per chi ne è coinvolto.

Il conflitto ha una naturale carica pervasiva, si diffonde nell’ambiente, aumentando la diffidenza, l’ostilità e l’aggressività tra le persone.

I danni prodotti da conflitti irrisolti sono ben visibili negli alti costi determinati dal turn over del personale, dall'assenteismo, dal ridotto rendimento e dall’aumento degli infortuni sul lavoro.

Secondo un rapporto della Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (2009) lo stress è la seconda causa di assenza dal lavoro, nella Unione Europea, dopo i disturbi muscolo-scheletrici, e contribuisce per oltre il 50% delle assenze del personale.

La stessa indagine stima che lo stress lavoro-correlato costa alle imprese ed ai governi dell’UE circa 20 miliardi di Euro, derivanti dalle assenze e dai relativi costi per la salute.

Il settore della sanità, i trasporti e i servizi sono i settori più problematici.
L’attenzione verso la salute dei collaboratori, dell’organizzazione e la soddisfazione degli utenti devono spingere i manager a ricercare ed attuare nuove modalità di gestione del conflitto organizzativo, promuovere migliori relazioni interpersonali ed accrescere la fiducia circolante. Occorre, in altri termini, avviare un nuovo percorso di individuazione e attribuzione di senso ed appartenenza alla comunità di lavoro.

L’esperienza bolognese

L'Azienda USL di Bologna e l'AOSP Universitaria S. Orsola – Malpighi, come naturale conseguenza della approvazione dei codici di condotta da parte dei rispettivi Direttori Generali, hanno sviluppato congiuntamente un progetto per avviare, sperimentalmente, la funzione dei CdF.
Ai CdF possono rivolgersi tutte le donne e gli uomini che, a qualunque titolo, lavorano all'interno delle strutture aziendali e che si ritengono vittime di situazioni relazionali che possano essere ricondotte a molestie o discriminazioni.
I Consiglieri garantiscono l’ascolto alle persone assicurando terzietà, competenza e riservatezza nella gestione dei casi segnalati. Operano su espresso incarico della persona interessata e con questa concordano ogni intervento.

Come previsto dai Codici di Condotta aziendali, i CdF si occupano anche della realizzazione di iniziative finalizzate alla conoscenza diffusa della propria funzione ed alla informazione e sensibilizzazione di tutto il personale.
Per scegliere le persone più idonee a motivate a questo ruolo è stato definito un percorso selettivo centrato, piuttosto che su valutazioni curriculari, sulla ricerca delle motivazioni e attitudinali personali ritenute indispensabili quali: orientamento all’ascolto, capacità e indipendenza di giudizio, gestione della relazione e delle emozioni ed orientamento alla mediazione nella gestione del conflitto.

Il gruppo dei CdF incaricati è stato formalmente costituito nel gennaio 2011 ed è composto da due Infermiere, due Medici, una Ostetrica, una Assistente Sociale, un Educatore, un Dirigente Amministrativo, una Collaboratrice Amministrativa ed una Tecnica Sanitaria di Radiologia Medica.

La loro qualifica lavorativa non rappresenta però il patrimonio di competenze di cui i CdF selezionati sono portatori.
Ognuno di loro infatti ha condotto, nel corso degli anni, percorsi formativi estremamente qualificanti e diversificati, motivati da personali sensibilità ed interessi.
C’è chi ha conseguito una seconda laurea in filosofia, chi in psicologia, chi in giurisprudenza, chi ha il titolo di Counsellor e chi ha compiuto percorsi universitari riguardanti la pedagogia degli adulti.
Un particolare molto significativo, indicativo delle motivazioni ed attitudini espresse, è che tutti i CdF selezionati hanno svolto o svolgono importanti attività di volontariato.

Partendo dalle competenze ed attitudini ideali per il ruolo del CdF e dalla analisi di quelle possedute dalle persone selezionate, sono stati definiti percorsi di formazione ad hoc, anche individuali, finalizzati a:
- uniformare nel gruppo il livello delle conoscenze attese e relative ad aspetti giuridici in materia di molestie e discriminazioni;
- sviluppare la capacità di analisi dei contesti organizzativi e conoscenza della organizzazione del lavoro delle rispettive aziende;
- affinare le capacità nella gestione dei casi, capacità di ascolto, di gestione del colloquio, negoziazione e mediazione
.
Al fine di socializzare e capitalizzare le modalità di lavoro, le esperienze e la pratica operativa i CdF svolgono con cadenza mensile, tra pari o con il supporto di un facilitatore, incontri di discussione dei casi trattati e revisione della pratica.

Procedura informale - intervento del Consigliere di fiducia

Le persone che si ritengono vittime di molestie, vessazioni o conflitti che generano sofferenza possono rivolgersi ai CdF, che interverranno al fine di favorire il superamento della situazione di disagio.
Due CdF, a rotazione, assumono la gestione della richiesta, contattano le persona e concordano sede ed orario del primo appuntamento.
Concretamente i CdF offrono una occasione di ascolto neutrale e competente, durante il quale:
- aiutano la persona a definire ed eventualmente collocare, nell'ambito delle fattispecie previste dalle norme e dal codice di condotta, la situazione presentata;
- forniscono all'interessata/o, in relazione alla rilevanza e gravità dei fatti, ogni utile informazione sulle possibili forme di tutela, anche legali, previste dall'ordinamento;
- esaminano il caso e possono, in via riservata, acquisire elementi ed informazioni necessarie alla valutazione e trattazione del caso;
- propongono, ove indicato dalle circostanze, incontri di mediazione.

La persona richiedente è libera recedere dalla propria richiesta di procedura informale in ogni momento e di avvalersi di altra forma di tutela.

I CdF quando interpellati impiegano sempre, come prima scelta, un modello di intervento che percorre le fasi della mediazione comunitaria.
Avviano quindi la fase della premediazione, che ha l’obiettivo di conoscere e farsi conoscere.
Questa fase si sostanzia in uno o più colloqui con la persona interessata, con altri soggetti eventualmente coinvolti o collegati al caso oggetto di trattazione.
 
Ai CdF si rivolgono singole persone che, spesso, sono in conflitto con più soggetti.
Nella fase di premediazione si individuano quindi tutti gli interlocutori da coinvolgere ed eventualmente invitare all’incontro di mediazione.
Dopo la fase di premeditazione i consiglieri valutano la mediabilità del caso e, se lo ritengono idoneo, attivano la mediazione vera e propria organizzando un incontro congiunto con le parti coinvolte.
Riuscire a far partecipare alla mediazione l’altro (o gli altri) soggetti coinvolti nel conflitto non è sempre facile perché, talvolta, le altre parti in causa non vivono il conflitto con la stessa intensità o sofferenza della persona che interpella i CdF, o si trovano in una posizione di maggior potere.

Primi risultati

Nei primi sei mesi di attività si sono rivolti ai CdF 20 dipendenti, di cui 2 uomini e 18 donne. Nessun dirigente si è fin'ora rivolto ai consiglieri.
L’assenza di richieste da parte del personale dirigente parrebbe dipendere, soprattutto, dalle maggiori capacità economiche e competenze sociali che questi professionisti hanno e che permetterebbe loro di rivolgersi a figure esterne quali avvocati o psicoterapeuti per la soluzione di problemi connessi al lavoro.

Due persone sono state inviate ai CdF da un dirigente dell'azienda, che ha consigliato loro questo percorso come possibilità di aiuto.
Un caso è stato inviato ai CdF dalla Consigliera regionale di Parità, alla quale la persona era giunta per la gestione di un conflitto lavorativo.
Il problema prevalente segnalato dalle persone che si sono rivolte ai consiglieri è il conflitto con il capo o, in misura minore, con uno o più colleghi.

Due casi riguardavano due episodi di conflittualità con contenuti particolarmente aggressivi, che hanno determinato nelle vittime una consistente sintomatologia legata allo stress subito.
Non sono stati riportati episodi di molestia sessuale.
La letteratura in materia ha ormai acclarato che, in molti casi, questi fenomeni raramente vengono segnalati. Le vittime di molestie sessuali provano vergogna, senso di colpa, paura di essere colpevolizzate o timore di ritorsioni da parte del molestatore.

La maggior parte dei casi (16 persone) ha comportato, per la definizione/trattazione del problema, almeno 2 colloqui (fino ad un massimo di 4), che sono stati sufficienti per consentire l’individuazione di ipotesi di soluzione o, comunque, terminare la procedura informale.
Con 4 persone sono stati effettuati i colloqui di premeditazione, nei quali le persone offese hanno chiesto di ricevere le scuse da parte dell’offensore e garanzie che quanto accaduto non si ripetesse.
Successivamente è stato effettuato un colloquio con i presunti offensori, al termine del quale solo 2 hanno accettato di partecipare ad un incontro congiunto con la persona che aveva segnalato il problema.
Gli incontri di mediazione hanno consentito alle parti di parlarsi ed ascoltarsi reciprocamente all’interno di una cornice nuova e di regole di comportamento definite preventivamente dai consiglieri-mediatori: impegno alla riservatezza su tutto ciò che viene detto durante l’incontro, rispetto dei turni di parola, parlare di sé e dei propri bisogni o delle proprie paure e non dell’altro.
L’effetto “risolutivo” che anche il solo ascolto ha avuto nella maggior parte delle segnalazioni dipende, a nostro parere, da diversi fattori.
In alcuni casi la sofferenza vissuta e raccontata non era causata da comportamenti subiti di consistente gravità oggettiva.
Infatti laddove il conflitto si era manifestato in forme più violente, l’ascolto pur molto utile alla persona offesa, ha poi richiesto un seguito con altri interventi, anche di sostegno individuale.
In altre circostanze l’essere ascoltati con attenzione e disponibilità ha soddisfatto il bisogno che alcune persone vivono, di uscire dall’anomia, di essere compresi.
Riprendendo Bramanti (2005) possiamo dire che “le parti hanno spesso bisogno di essere ascoltate nella loro sofferenza piuttosto che nella rivendicazione dei loro diritti”.
Infatti alcune persone giunte ai consiglieri in una condizione di sofferenza psicologica causata da un conflitto lavorativo, dopo uno o due incontri si sono ritenute soddisfatte e non hanno richiesto ulteriori colloqui o la fase di mediazione vera e propria per la risoluzione del problema. Queste persone sono riuscite a prospettare autonomamente nuove soluzioni personali.
Hanno, a nostro parere, sperimentato attraverso la narrazione di sé ad un interlocutore attento e competente, un percorso di empowerment.
Gli è stato restituito il ruolo di protagonista della situazione e riconosciuta la competenza per esplorare nuove o diverse possibilità.
Una considerazione importante riguarda, a questo punto, i confini della mediazione all’interno del ruolo dei CdF.
Esistono circostanze nelle quali, perché non esperibile o fallito, si deve abbandonare lo strumento della mediazione.
La previsione normativa e contrattuale conferisce ai CdF alcune responsabilità e fornisce loro, di conseguenza, una minima quota di potere dettato dalla necessità di risolvere situazioni inaccettabili e pericolose nell’ambiente di lavoro.
Concretamente, quando ai CdF si presentano soggetti che si ritengono vittime di comportamenti scorretti, illegittimi (discriminazioni o vessazioni) o che possono configurare un reato (violenza fisica o molestia sessuale), i Consiglieri devono poter verificare ciò che viene loro riferito. Muovendosi nei confini di riservatezza tracciati con la presunta vittima, i CdF cercano ed acquisiscono informazioni o prove.
In questi casi possono adottare una procedura “di parte” per tutelare la vittima e cercare forme più autoritarie per rimuovere le cause della sua sofferenza.
In questi mesi di lavoro non è mai accaduto che i CdF dovessero ricorrere a soluzioni autoritarie, forse perché i casi trattati hanno avuto evoluzioni favorevoli ma, soprattutto, perché la loro impostazione metodologica è fondata sulla mediazione. Il ricorso alla via giudicante costituisce un fallimento per le persone coinvolte e per l’organizzazione per cui i Consiglieri finalizzano i loro interventi alla ricerca di una ricomposizione delle relazioni ed alla soddisfazione di tutte le parti implicate.

Conclusioni

Il benessere psicofisico di chi svolge una professione di aiuto e/o cura è condizione indispensabile alla buona qualità del lavoro.
I professionisti che lavorano in sanità sono esposti, come è noto, ad elevati livelli di stress, che può pregiudicare la loro salute e compromettere il clima del contesto nel quale operano.
Il turn – over del personale, i tassi di assenza per malattia o infortunio spesso trovano, in un clima lavorativo conflittuale, una causa importante.
Nell’ampio panorama di interventi destinati al benessere dei lavoratori che le aziende sanitarie attuano, il CdF è una figura nuova che gioca un ruolo rilevante.
L’adozione del modello mediativo come cornice, all’interno della quale costruire la procedura informale di gestione dei conflitti lavorativi, è stata la scelta più idonea a garantire il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo e trasformazione delle relazioni interpersonali nelle organizzazioni di lavoro.
Pur nella consapevolezza delle difficoltà da affrontare e dell’impegno necessario per migliorare la qualità della vita all’interno dei nostri luoghi di lavoro, crediamo che il ruolo dei Consiglieri di Fiducia possa contribuire in maniera significativa a costruire e ri-costruire il capitale di fiducia circolante nelle organizzazioni.

Bibliografia

Azienda USL di Bologna, (2009) Il Codice di Condotta.
Belardinelli S., Allodi L., (2006) Sociologia della cultura, Franco Angeli, Milano.
Bramanti D., Tomisich M., (2004) in Rigenerare i legami: la mediazione nelle relazioni familiari e comunitarie, (a cura di) E. Scabini, G. Rossi,Vita e Pensiero, Milano.
Bramanti D., (2005) Sociologia della mediazione, Franco Angeli, Milano.
Calafà L., (2009) Il Consigliere di Fiducia tra nuovi rischi, codici di condotta e buone prassi, Atti Convegno "Il mobbing: Complessità, Prospettive, Indirizzi", Univ. degli Studi dell'Insubria.
Donati P., Terenzi P., (2005), (a cura di), Invito alla sociologia relazionale, Franco Angeli, Milano.
Ducret V., (2005), Pour une entreprise sans harcèlement sexuel, Un guide pratique, Georg. Ginevra. (Trad italiana, Molestie sessuali sul posto di lavoro- Guida pratica per le aziende, L’Ulivo, Balerna, CH.)
Fisher R., Ury W., (1995) L’arte del negoziato, Mondatori, Milano.
Forte, P. S., (1997), The high cost of conflict, Nursing Economics 15 (3).
O'Neill O., (2003), Una questione di fiducia, Vita e Pensiero, Milano..
Sacco, P. L., Zamagni, S., (2002), (a cura di), Complessità relazionale e comportamento economico: materiali per un nuovo paradigma di razionalità, il Mulino, Bologna.
Schettini B., (2000), Dentro il conflitto-oltre il conflitto: la funzione educativa della mediazione sociale e culturale, in Iavarone M.C., Sarracino V., Striano M., Questioni di pedagogia sociale, Franco Angeli, Milano..
Wilson, J. L., (2004), Conflict management does not have to create conflicts, Accounting Today, 18, 22-2004.

Preferiti
Condividi questo articolo:
Delicious MySpace

Pubblicita


Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici o analytics anonimizzati, informativa cookie policy

Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo, 14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 2.050.412,00 i.v.
Copyright © Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati