27/03/2013
Tesi di Cristina Sormani
Relatore: Paola Farinacci
Annno accademico 2009- 2011
Master di II° livello in Mediazione Familiare e Comunitaria, Alta Scuola di Psicologia “Agostino Gemelli”
Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano
Cristina Sormani
Introduzione
Dal mese di settembre del 2011, dopo aver concluso il Master di II° livello in Mediazione Familiare e Comunitaria presso L’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ho avuto l’opportunità di svolgere il mio stage presso il Servizio di Psicologia clinica per la Coppia e la Famiglia della medesima Università. Ho così potuto sperimentare nella pratica l’applicazione del modello relazionale-simbolico nel percorso di mediazione familiare con le coppie che si sono presentate al Servizio, lavorando in comediazione con una mediatrice esperta.
Con questa mia tesi, dopo una breve presentazione della mediazione familiare, ho analizzato i quattro casi che ho potuto seguire durante il mio stage, in cui la mediazione si è interrotta portando ad esiti diversi ma non per questo fallimentari, valutando quanto l’invio possa influenzare il procedimento stesso e come a volte possano bastare tempi ristretti per raggiungere comunque gli obiettivi prefissati.
Capitolo1: La mediazione familiare alla luce del paradigma relazionale simbolico. L'influenza dell'invio
Il processo di separazione è un processo di coppia: la coppia insieme si
separa così come insieme si è unita stipulando il patto coniugale.
La mediazione è uno strumento che la coppia ha per elaborare il
conflitto, contenere la violenza distruttiva ed assumersi le
responsabilità genitoriali.
Il conflitto, se accettato ed elaborato nella sua dimensione
costruttiva, può avere una funzione rigenerativa del legame, cioè
contribuire al processo d’individuazione del soggetto ed al
riconoscimento del valore dell’altro.
Dalle esperienze vissute come comediatrice, ho riscontrato come la
mediazione, quando voluta e compresa appieno, possa davvero
rappresentare un momento di transito in cui il mediatore rappresenta
colui che accompagna la coppia nella rielaborazione della rottura del
proprio legame attraverso la rilettura delle tappe fondamentali della
vita insieme e da separati.
Il mediatore diventa così il garante del processo, il portatore della
fiducia e della speranza nei legami; ai genitori invece viene affidato
il compito di portare i contenuti e di negoziare personalmente senza
delegare ad altri il proprio futuro.
Obiettivo della mediazione è quello di favorire il mantenimento dei
legami, consentendo ai figli l’accesso ai due rami della famiglia
attraverso una costruttiva elaborazione del conflitto.
Oggi il rapporto di filiazione tende ad essere l’unica forma
d’indissolubilità del patto: è il figlio che istituisce la coppia, che
le da un senso in quanto tale e la lega per sempre anche quando si
scioglie.
La pretesa della mediazione con un modello relazionale simbolico è
quella di prendere accordi attingendo alla storia ed individuando
risorse nella parentela familiare tra le diverse generazioni.
Il mediatore cerca di favorire il passaggio dal conflitto all’armonia,
recuperando il buono della storia per poter arrivare a degli accordi.
Il bisogno principale dei figli è la presenza di entrambi i genitori, su
questo lavora il mediatore, mantenendo sempre salda l’idea che loro
sono le persone più competenti sui loro figli e che una famiglia, anche
se separata, resta sempre una famiglia.
Durante la mia esperienza, ho potuto verificare che ciò che più
interessa ai genitori è la gestione dei figli, trovare accordi per farli
crescere con l’amore e le attenzioni di mamma e papà.
Le mediazioni che meglio funzionano sono quelle in cui l’inviante è
riuscito a mantenere viva la fiducia e la speranza nella coppia.
Solo quando le persone sono fortemente aiutate a restare soggetti del
proprio destino, riescono a prendere in mano la situazione ed affrontare
un percorso mediativo.
Capitolo 2: Il caso di Elena e Lorenzo: la domanda di un 'etichetta nuova
Nel mese di settembre del 2011, arrivano al Servizio Elena e Lorenzo. Hanno entrambi 39 anni, sono separati da 3 anni, dopo 7 anni di matrimonio e due figli, Mauro di 8 anni e Diego di 6 anni.
Lui imprenditore, lei impiegata, arrivano da noi inviati dagli avvocati che sperano in una modifica degli accordi in sede extragiudiziale.
E’ Elena che ha lasciato Lorenzo, caduta in depressione, si sentiva sempre più sola, si occupava dei bambini e si sentiva trascurata dal marito al quale ha attribuito la colpa di tutti i suoi problemi. Ha lasciato il marito ed i bambini e per 3 anni ha approfittato solo poche volte del tempo concessole dal Tribunale per stare coi figli e non si è occupata di loro.
Trascorso tutto questo tempo, è tornata in Elena la voglia di occuparsi dei suoi figli e da qui il bisogno di riscattarsi come madre. Ora vorrebbe che i bambini fossero domiciliati presso di lei e per questo ha fatto ricorso al Tribunale. Lorenzo dice di aver trascurato la famiglia solo per il lavoro.
Mauro e Diego, che negli ultimi 3 anni hanno visto poco la mamma, sono diventati diffidenti nei suoi confronti e non le riconoscono l’autorità che lei vorrebbe avere.
Oggetto di questa mediazione sono: un nuovo calendario, un nuovo domicilio principale, comportamenti e linee educative comuni.
Dai nostri incontri appare chiara la domanda implicita che i genitori ci fanno: entrambi chiedono un riconoscimento del loro ruolo di madre e di padre, hanno bisogno di sentirsi riconosciuti per ciò che hanno fatto e fanno per i loro figli. Inoltre Elena chiede un riscatto morale per ciò che è stato, vuol essere nuovamente considerata una buona madre per i suoi figli.
Al terzo incontro il clima è cambiato, Elena e Lorenzo hanno smesso di dialogare; hanno interrotto la mediazione e non sono più tornati al Servizio.
Capitolo 3: Il caso di Chiara e Giovanni. La domanda di riconoscimento della comunità dei padri separati.
Chiara e Giovanni arrivano al Servizio nel novembre del 2011, separati da un anno.
Lui ha conosciuto la mediatrice ad una conferenza che lei ha tenuto all’Associazione dei Padri separati, di cui lui è membro.
Tramite un responsabile dell’Associazione, l’ha contattata ed ha ottenuto l’opportunità di un primo incontro gratuito, a causa delle sue condizioni di povertà.
Giovanni arriva al primo appuntamento con 40 minuti di ritardo, indispettendo sia Chiara che le mediatrici.
Lui faceva il broker alla Borsa di Londra, poi qualche mese fa ha lasciato il lavoro. Chiara è la responsabile comunicazione e marketing di un’azienda.
Resto da subito molto colpita da come la coppia si presenta: Chiara è una donna molto elegante e dall’aspetto benestante, Giovanni sembra indossare gli abiti di un’altra persona ed ogni cosa in lui vuol sottolineare lo stato di povertà.
Hanno due figli, Mattia di 9 anni e Gaia di 3 anni. Sono stati insieme per quattordici anni fino alla separazione giudiziale giunta circa un anno fa.
Sono una coppia estremamente litigiosa, fra loro non vi è alcun dialogo.
Il reale oggetto di questa mediazione non sono i figli ma i soldi. Chiara ci spiega bene che loro sono tutt’altro che poveri, anzi sono decisamente benestanti, ma Giovanni vuole approfittarsi della situazione e far credere di essere un padre impoverito dalla separazione.
Giovanni è un padre assente ed inaffidabile anche per i bambini. Lui sostiene che solo Mattia è figlio suo e che Gaia è frutto di una relazione extraconiugale della moglie.
Tra Chiara e Giovanni c’è un forte bisogno di mantenere il conflitto, per questo li rinviamo ad un servizio gratuito, date le dichiarate condizioni di povertà di lui, per provare a continuare il percorso.
Capitolo 4: Il caso di Beatrice e Alberto: una mediazione concentrata.
Nel luglio del 2012 arrivano al Servizio Beatrice ed Alberto. Sposati da 10 anni, si stanno separando e vengono da noi per accordarsi su come comunicare ai figli la separazione. Sono inviati da una persona conoscente di Beatrice che a sua volta conosce bene la mediatrice.
Hanno due figli, Margherita di 7 anni e Luca di 3 anni.
Entrambi provengono da due famiglie molto benestanti e conducono una vita dal tenore molto elevato.
Ci narrano apertamente dei loro legami familiari e si capisce subito che in questa coppia è molto forte il legame con la propria stirpe, tanto che le famiglie d’origine sono una presenza troppo invadente nella loro vita.
Arrivano al Servizio con le idee molto chiare sul lavoro che faremo insieme. Lavoriamo bene per un’ora e mezza e così riusciamo a raggiungere degli accordi su come e quando Beatrice ed Alberto comunicheranno la decisione di separarsi ai loro figli.
Questa è stata una mediazione concentrata ma completamente riuscita, anche grazie all’ottimo lavoro di premediazione fatto dall’inviante.
Capitolo 5: Il caso di Marta e Giorgio: una mediazione per costruire la genitorialità
Nel mese di settembre del 2012 arrivano al Servizio Marta e Giorgio; entrambi di 35 anni, lei maestra d’asilo, lui scultore, vengono da noi per un’ordinanza del Tribunale: la mediazione è stata chiesta dal giudice.
Marta e Giorgio non sono mai stati sposati né hanno mai convissuto: hanno avuto una breve relazione da cui 3 anni fa è nato il piccolo Edoardo.
Marta ha anche un’altra figlia, Bianca, di 12 anni, avuta da una precedente relazione complicata.
Giorgio non ha mai sostenuto la maternità di Marta e non ha mai desiderato vedere il figlio per i primi due anni. Marta sostiene l’inutilità dei padri dei suoi figli.
Entrambi hanno famiglie d’origine presenti e religiose. Ci narrano con difficoltà delle loro vicissitudini. Nella stanza della mediazione portano astio e rancore.
Marta ha chiesta l’affidamento esclusivo del piccolo Edoardo.
Giorgio ha denunciato Marta per aver portato il figlio dalla nonna sul Lago di Garda l’estate scorsa senza dirglielo.
Ci rendiamo conto che il giudice inviante ed i rispettivi avvocati hanno nei confronti della mediazione un’aspettativa terapeutica di costruzione della genitorialità, che non è mai stata praticata insieme.
Marta e Giorgio sono assolutamente incapaci di costruire un legame e così, dopo l’ennesimo forte scontro, la mediazione s’interrompe.
Non abbiamo più avuto notizie di questa coppia, ma mi sono chiesta cosa si potrebbe fare per non perdere un’occasione per un lavoro per il bene di Edoardo: essendo convinta che queste persone difficilmente potranno trovare degli accordi, credo che forse si potrebbe offrire un sostegno alla genitorialità per Giorgio ed un invito ad un gruppo per genitori separati ad entrambi.
Conclusioni
l termine del mio tirocinio mi sono accorta che, benché nessuna della quattro coppie che ho seguito durante l’arco dell’anno avesse fatto un percorso completo da un punto di vista teorico, non essendo nessuna di loro arrivata a redigere degli accordi formalmente scritti, non riuscivo comunque a considerare fallimentare la mia esperienza. Di ciò ne ho avuto conferma quando mi è stata data l’ulteriore opportunità, per completare la mia formazione, di visionare le registrazioni di un quinto caso che ha invece seguito un iter completo.
Credo che se avessi seguito solo una coppia, non avrei potuto confrontarmi con realtà che a volte chiedono alla mediazione di adattarsi alle esigenze del caso, altre non trovano nella mediazione il percorso adatto alle proprie necessità.
La legittimazione dell’altro consente, in caso di divorzio, di valorizzare l’altro almeno per alcuni aspetti, di riconoscerlo come genitore e di mantenere in lui la fiducia indispensabile per poter esercitare la comune responsabilità genitoriale.
Non si può uscire dal legame genitoriale neanche in caso di divorzio: il matrimonio finisce, ma genitori si resta per sempre.
Ognuna delle coppie che ho potuto seguire in mediazione, si è presentata al Servizio con un obiettivo diverso: chi cercava riscatto per sé o per un’intera categoria, chi aveva ben chiaro cosa chiederci e chi aveva addirittura un’aspettativa terapeutica di costruzione della genitorialità.
Ho potuto ben vedere quanto l’invio influenzi la mediazione: quando le coppie arrivano nella stanza della mediazione consapevoli di ciò che faremo insieme sono più motivate a dialogare con noi e fra di loro; se invece c’è un inviante che non ci sostiene nel lavoro di premediazione, le persone arrivano da noi confuse, convinte di trovare nel mediatore un’altra figura che li giudica o li consiglia come fanno giudici, avvocati e psicoterapeuti.
Ogni coppia, ogni persona, porta nella stanza della mediazione il proprio vissuto: ci sono quelle che narrano volentieri le proprie vicissitudini e quelle che puntano tutto e solo sul conflitto.
Quasi in ogni caso vediamo uscire il legame con la stirpe d’origine. Ognuno di noi mantiene viva la memoria delle origini e la lealtà verso l’appartenenza alla stirpe materna e paterna, riconoscendone deficit e risorse.
Vedere coppie così diverse con le loro vicissitudini particolarmente travagliate, mi ha fatto capire che a volte la mediazione ha dei limiti, ma che in altri casi, adattandosi nei tempi e negli spazi richiesti dall’utente, può comunque essere una risorsa importantissima, adatta ad aiutare le coppie a raggiungere degli accordi.
N.B. Concordemente all’etica deontologica professionale, che garantisce la riservatezza, e alla Legge sulla privacy, l’identità degli utenti in mediazione familiare è preservata dall’uso di nomi di fantasia.
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