Cracovia-Roma, la via della santità

Nel nome di Karol: un grande pellegrinaggio Unitalsi e la visita a Cracovia di Gianni Alemanno, sindaco di Roma, ripropongono il gemellaggio spirituale tra le due città.

Alemanno: "Wojtyla lo ricordo cosi'"

11/04/2011
Gianni Alemanno, sindaco di Roma (foto G. Giuliani).
Gianni Alemanno, sindaco di Roma (foto G. Giuliani).

“Il mio ricordo di Wojtyla? Lo rivedo affaticato che si aggrappa ai corrimano nell’aula di Montecitorio. Era un polacco che teneva così tanto all’Italia da essere diventato nostro concittadino”. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno passeggia per Cracovia e ragiona del “Papa romano”.

- Chi è Wojtyla per lei?

     “L’uomo della storia del Novecento. Senza di lui non sarebbe caduto il Muro di Berlino. E poi il Papa di Roma, di tutta la città, dei cattolici, dei laici, degli ebrei, dei musulmani. Il Papa mio concittadino, il Papa che ogni romano sentiva accanto a sé”.

- Si sa che ogni sera andava alla finestra del Palazzo apostolico e prima di dormire benediva Roma.

     “Me l’hanno detto. E credo che ogni romano debba essere grato al Papa, indipendentemente dalla sua fede. E lo debba essere anche ogni amministratore pubblico. Giovanni Paolo II ha indicato una strada di buon governo ad ognuno di noi”.

- In che senso?

     “E’ stato il Papa che ha rilanciato la dottrina sociale della Chiesa, che ha spiegato come occuparsi del bene comune senza lasciare nessuno ai margini. Per un sindaco è una grande lezione”.

- Anche per un sindaco di destra?

     “Vede, molti politici di destra indicano in Ronald Reagan un esempio da seguire. Io non sono d’accordo. Se dobbiamo indicare il modello di comportamento e insieme una guida per quanto riguarda diritti umani e libertà religiosa quello è senza alcun dubbio Karol Wojtyla”.

- Un pontificato politico più che spirituale?

     “No. Ma io voglio ragionare della cifra politica del pontificato. C’è l’impegno per Solidarnosc e quindi c’è la linea “anticomunista” di Wojtyla, ma c’è anche l’impegno contro le dittature in America Latina. A Santiago del Cile, in pieno regime di Pinochet, Karol Wojtyla va a parlare chiaro e riscatta la nazione, esattamente come aveva fatto per la Polonia. E questo non va dimenticato. E parla sempre nel nome dell’uomo oppresso, ma senza fini politici o ideologici, ma solo perché così indica il Vangelo”.

- Quindi è sbagliato dire Papa anticomunista e antifascista?

     “Sì, quelle categorie per Wojtyla non funzionano. Le sue parole e il suo pontificato le hanno sempre superate. Lui è il Papa della dottrina sociale, che guardava ogni uomo negli occhi e cercava di trasformarlo sulla strada dell’amore. E caduto il Muro e sparito il comunismo non ha avuto alcun timore ad indicare gli errori e le deviazioni del sistema capitalistico liberale”.

- Quante volte lo ha incontrato?

     “Alcune volte per motivi istituzionali. Mi ha sempre impressionato il magnetismo dei suoi occhi”.

- Cosa ha fatto il giorno della morte di Karol Wojtyla?

     “Sono andato in piazza San Pietro da solo senza scorta a pregare”.

- Qual è la frase del pontificato?

     “Non una frase, ma un’invettiva: il monito alla mafia lanciato dalla Valle dei Templi di Agrigento. La stessa invettiva lanciata contro il comunismo o i regimi dittatoriali America latina la lanciò contro la più grande e grave piaga italiana. E non va dimenticato il suo impegno nella denuncia dei mali e nelle esagerazioni del capitalismo. Secondo me non c’è mai stata una figura che ha messo insieme antocomunismo e anticapitalismo così come come ha fatto Papa Wojtyla”.

- Voleva bene all’Italia?

     “Moltissimo. E’ riuscito ad entrare nelle ossa e nelle vene di ogni cittadino italiano. Ma io credo che volesse bene in modo particolare a Roma. E lo dimostrano le visite quasi ogni domenica alle parrocchie di Roma. Ne ha visitate quasi trecento: un bell’impegno e il segnale della vicinanza del suo vescovo a Roma. E infine c’è quel “Santo subito”, frase italiana che è diventata linguaggio universale al punto di non aver bisogno di traduzione”, che messo d’accordo tutti, anche in una città un po’ litigiosa come Roma”.

Alberto Bobbio
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