Sigalini: la generazione Wojtyla

"Sapeva infondere coraggio, invitava a rialzarsi dalle cadute", ricorda monsignor Sigalini. "E con le Gmg ai giovani faceva una grande apertura di credito".

28/04/2011
Monsignor Domenico Sigalini.
Monsignor Domenico Sigalini.

Sfumata l’eco mediatica e setacciate le emozioni del momento, rimangono il coraggio della proposta, l’umanità dei gesti, la profondità delle riflessioni e l’amore contagioso, capace di interpellare menti e cuori anche di chi non crede o di chi segue altre fedi religiose. Giovanni Paolo II e i giovani: un rapporto cercato, intenso, fecondo. C’è un osservatore speciale, al riguardo. Monsignor Domenico Sigalini, lombardo di Dello (Brescia), 68 anni, dal 1991 al 2001 è stato responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Conferenza episcopale italiana (Cei). Dal 15 maggio 2005 guida la diocesi di Palestrina, in provincia di Roma, ultimo vescovo nominato da Karol Wojtyla. E dal 3 novembre 2007 è assistente generale dell’Azione cattolica italiana.

– Eccellenza, ricorda Giovanni Paolo II che fa la “ola” o che batte il ritmo con la mano davanti a centinaia di migliaia di ragazzi che cantano a squarciagola?

     «Sì. Sono immagini commoventi e indimenticabili. Attenzione, però, a non farne una caricatura: era un amico, un amico vero. Di più: era un educatore capace ed efficace. Non era il compagno un po’ più attempato con cui s’andava a un concerto».

– Qual è stato, a suo avviso, il tratto principale che ha caratterizzato il rapporto tra il Papa e i giovani?

     «L’esser stato un rapporto scelto e vissuto come priorità. Non c’era viaggio in una parrocchia o in una diocesi senza l’incontro particolare con le nuove generazioni».

– Era bravissimo nel comunicare...

     «Un’indubbia capacità, la sua. Ma non fermiamoci al “come”. Analizziamo, piuttosto, i contenuti dei suoi discorsi».

– Il concetto che le è rimasto più impresso?

     «Il 20 agosto 2000, chiudendo la Giornata mondiale della gioventù di Roma, disse ai due milioni di ragazze e di ragazzi che affollavano Tor Vergata: “Anche voi sarete all’altezza delle generazioni che vi hanno preceduto”. Attenzione, non disse “siate” come magari sarebbe scappato a un padre o a un parroco. No, no. Disse proprio: “Sarete”».

– Monsignor Sigalini, perché è così importante quell’indicativo futuro?

     «Perché, secondo me, è la cifra interpretativa dell’intero pontificato di Giovanni Paolo II. È un’apertura di credito che discendeva dalla consapevolezza che Dio ama tutti noi, giovani inclusi, anche quando siamo ancora nel peccato. Lo ribadì sempre a Tor Vergata: “Cristo ci ama anche quando noi lo deludiamo”. Sapeva infondere coraggio, invitava a rialzarsi dalle cadute, riprendendo il cammino; custodiva e diffondeva buonumore».

– Qualche altro passo degno di nota?

     «Segnalo, perché ha un valore universale, quanto disse il 23 settembre 2001, incontrando i giovani del Kazakhstan nell’Università della capitale, Astana. “Probabilmente”, affermò, “la prima domanda che desiderereste pormi è: Chi sono io secondo te, papa Giovanni Paolo II? La mia risposta è semplice: Tu sei un pensiero di Dio, tu sei un palpito del cuore di Dio”. Giovanni Paolo II ha capito, amato e spronato i giovani senza mai blandirli. Ha annunciato loro il Vangelo nella sua radicalità, senza sconti. I giovani l’hanno ricambiato apprezzandolo come nessun altro. Non è vero che riempiva le piazze ma non le chiese. Le Giornate mondiali della gioventù, l’intuizione non capita, all’inizio, neppure da tutti i suoi più stretti collaboratori, sono state e sono soprattutto momenti di lectio divina e di preghiera. Quante conversioni, quanti matrimoni cristiani, quante vocazioni sacerdotali e religiose».

– La malattia non ha interrotto il rapporto...


     «No, al contrario, l’ha rafforzato. È stato così fino alla fine. La sera di quel sabato 2 aprile 2005 ero anch’io a San Pietro. Pregavo con alcuni aderenti al Movimento lavoratori dell’Azione cattolica. Mi ha colpito il livello di autentica partecipazione espresso dai tanti giovani che, in poco tempo, dall’annuncio della morte riempirono quella piazza. M’è sembrato che tutti fossero mossi da qualcosa di più della curiosità. C’era chi aveva deciso di uscire dalle discoteche; non mancava chi s’era deciso a venire spinto da qualcosa di meno della fede e tanti, si capiva, erano lì, composti, nonostante siano soliti usare parole o assumere atteggiamenti diversi, giusto per ricorrere a un eufemismo. Tuttavia, si percepiva il desiderio diffuso, un desiderio sincero, di “dialogare” ancora un po’ con Giovanni Paolo II attraverso le vie imperscrutabili del cuore, un desiderio testimoniato con la presenza fisica. L’ennesima conferma s’è avuta leggendo gli Sms che si sono scambiati, oppure i messaggi inviati ad alcuni siti Internet o all’emittente cult per i giovani, Mtv, il canale televisivo dedicato alla musica».

– Esiste una “generazione Wojtyla”?

     «Sì, seguiva quelle del ’68 e dei moti violenti del ’77. Oggi ha in media quarant’anni. Mentre cresceva, attorno a lei si sgretolavano il Muro di Berlino, ma anche tante certezze, tanti valori. Giovanni Paolo II ha indicato una roccia sicura, Cristo. Quella generazione non ha dimenticato il “suo” Papa».

Alberto Chiara
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