06/04/2011
Il cardinale Angelo Comastri
«Da ora in avanti, chi entrerà in
San Pietro troverà Giovanni
Paolo II come una sentinella
che accoglie i pellegrini sulla
soglia del tempio e li invita a camminare fra
tanti grandi Pontefici che, nel corso dei secoli,
hanno guidato la barca di Pietro». Mentre
fervono gli ultimi lavori nella cappella di
San Sebastiano – dove, dopo la cerimonia
della beatificazione del 1˚ maggio, papa
Wojtyla riposerà definitivamente – il cardinale
Angelo Comastri, arciprete della basilica e
vicario generale di Sua Santità per la Città
del Vaticano, ci offre i suoi toccanti ricordi
del futuro beato. Un tema sul quale ha incentrato
il suo ultimo libro Nel cuore del mondo
(Edizioni San Paolo, 120 pagine, 13 euro).
Il vento sfoglia il Vangelo sulla bara di Papa Wojtyla.
Eminenza, quand’è avvenuto il suo primo
colloquio personale con Giovanni Paolo II?
«Era l’ormai lontano 1991. Ero stato nominato
vescovo da un anno ed ebbi la gioia di
partecipare alla prima visita ad limina con i
confratelli della Toscana. Durante l’udienza,
mi permisi di chiedergli confidenzialmente:
“Padre santo, come ha fatto a ritornare in
piazza San Pietro dopo l’attentato?”. Il Papa
mi guardò un po’ sorpreso e poi mi disse:
“Durante l’attentato ho sentito una mano
materna che mi fermava sulla soglia della
morte. Da quel giorno so che la mia vita è nelle
suemani”, e guardò verso l’alto, “e non ho
più paura. Ogni giorno so che è un regalo e
devo spenderlo totalmente per Gesù, tenuto
per mano da Maria”».
Ebbe altre occasioni di incontro con lui in
quegli anni?
«Lo rividi il 17 settembre 1993 a La Verna.
Durante il pranzo con i padri francescani, il
Papa prese la parola e disse: “Qui e ad Assisi
è nato il francescanesimo e, in qualche modo,
è rinato il cristianesimo! Anche oggi il cristianesimo
deve rinascere continuamente:
c’è bisogno di un uomo come san Francesco!”.
Con uno sguardo penetrante, il Santo
Padre ci fissò in volto lungamente. Sembrava
che dicesse: “Siamo pronti? Siamo disponibili?”.
Quest’interrogativo lo sento ancora
dentro la mia anima».
Poi le chiese di predicare a lui e alla Curia
romana gli esercizi spirituali...
«A marzo del 2003 ebbi questa emozione, e
ancor più la trepidazione! Al termine, com’è
consuetudine, Giovanni Paolo II mi ricevette
in udienza e, con tanta bontà e paternità, volle
dirmi il suo grazie. A un certo punto, si alzò
dalla poltrona con grande fatica – poiché
il morbo di Parkinson aveva progredito vistosamente
– e, prendendo in mano un cofanetto
rosso, mi disse: “Come segno di gratitudine
ho pensato di darle una croce come la
mia”. Il senso delle parole poteva avere una
doppia interpretazione. Calcai subito il secondo
senso e dissi scherzosamente al Papa:
“Santità, non potrà mai darmi una croce... come
la sua!”. Lui capì e sorrise. Poi, toccando
la sua croce pettorale, precisò: “Come questa,
si intende!”».
La copertina del libro del cardinale
L’anno successivo, invece, accolse il Papa
a Loreto...
«Quando Giovanni Paolo II venne a Loreto
nel settembre 2004 era già gravemente ammalato.
Faceva fatica anche a salire sull’ascensore
che doveva portarlo sul grande palco per la celebrazione della Messa. Io lo
aspettavo all’uscita e stavo per dirgli: “Coraggio,
Padre santo!”. Ma il Papa mi precedette:
“Come va? Forza! Avanti con l’aiuto di Dio”.
Mi commossi profondamente e dentro di me
esclamai: “Quest’uomo non ha più forza e si
preoccupa di infondere forza negli altri: è
davvero il buon Pastore che dona tutta la propria
vita”».
Quando la nominò arciprete di San Pietro,
quale compito le affidò?
«A febbraio del 2005, nell’unica udienza
che mi fu possibile avere, il Papa con voce affaticata
volle darmi una specie di “consegna
di lavoro”. Mi disse: “Lei deve far parlare le
pietre della basilica, affinché raccontino la
storia di questo luogo. E, soprattutto, affinché
dicano a tutti che qui c’è una sola pietra
ed è Simone, il pescatore di Galilea, al quale
Gesù ha dato il nome di pietra”. Questa indicazione
continua a farmi da guida nel mio
impegno quotidiano in San Pietro».
Ebbe occasione di incontrarlo anche prima
della morte?
«Verso le 10 del 1˚ aprile 2005 il mio telefono
squillò. Monsignor Stanislao Dziwisz mi
disse: “Il Papa sta morendo! Se vuole, venga
a salutarlo e a ricevere la sua ultima benedizione!”.
Corsi verso l’appartamento e venni
introdotto nella camera privata del Pontefice,
il quale respirava affannosamente. Il suo
segretario gli toccò il braccio e, indicandomi,
disse: “Padre santo, c’è qui Loreto!”. Giovanni
Paolo II aprì gli occhi, mi guardò e poi con
voce flebile sussurrò: “No, San Pietro!”. Ebbi
un brivido: mi aveva riconosciuto. Allora ebbi
la forza di dire: “Padre santo, sto per iniziare
il mio servizio in San Pietro, dove Vostra
Santità mi ha chiamato. Mi benedica!”. Il Papa
aprì ancora gli occhi, mi guardò con affetto
paterno e tentò di alzare la mano destra,
incredibilmente gonfia. La mano ricadde pesantemente
sul letto, ma dal cuore del Papa
era partita quella benedizione, che fu per me
il suo ultimo preziosissimo regalo».
E ora lei lo custodirà nella basilica di cui è
arciprete...
«Durante i suoi funerali un forte vento faceva
svolazzare le casule rosse dei cardinali
concelebranti: sembrava che anche il Cielo
partecipasse a quella toccante celebrazione.
E l’Evangeliario, collocato aperto sulla bara
del Papa, appariva come sfogliato da una mano
invisibile per ricordare a tutti che la vita
di Giovanni Paolo II era stata un lungo, faticoso
e meraviglioso viaggio dentro il Vangelo.
Improvvisamente una forte folata di vento
chiuse quel libro. Il significato era chiaro:
“Ora sta a voi! Riaprite il Vangelo e cominciate
a viverlo come ha fatto lui!”. Così, personalmente,
interpretai quel segno! Il trasporto
delle sue venerate spoglie dalle Grotte vaticane
all’interno della basilica contiene un
grande messaggio per tutti noi: mentre il
cammino della Chiesa prosegue fra le tempeste
del mondo, in Cielo c’è un nuovo intercessore,
c’è un uomo che prega e invoca per noi
il dono della fede eroica, coraggiosa, coerente,
di cui oggi c’è tanto bisogno».
Saverio Gaeta