19/12/2022
L’emergenza sanitaria legata
alla pandemia,
con la limitazione
ai movimenti delle persone,
ha prodotto significative modificazioni
nella vita individuale e relazionale.
Molte di queste hanno interpellato
le famiglie, con una ridefinizione dei comportamenti quotidiani,
che è stata tanto veloce quanto
necessaria. Queste modificazioni
hanno avuto a che fare molto con
l’utilizzo del digitale e della tecnologia in genere.
Una ridefinizione immediata che,
però ,oggi chiede d’essere
consapevolizzata dalle famiglie.
Perché quello che costituisce
un punto di non ritorno nel rapporto
con il mondo del digitale, non
manchi d’essere messo al centro di
una seria riflessione educativa, che
la pandemia ha reso urgente.
La domanda
non è semplice; ci troviamo
in un tempo che risulta essere ancora
di transizione e che vede adulti e
ragazzi posti in modo molto differente
rispetto alla questione, se
non altro per le diverse conoscenze
che si hanno del digitale.
Quella che rappresenta una complessa sfida pedagogica per la
famiglia, è anche una delle necessità
più interpellanti per chi, come la
pastorale familiare cerca di mettersi
al servizio di quest’ultima.
Perché
se c’è una certezza dalla quale
partire, è il fatto che educare alla rete
in modo consapevole, significa
educarci alla rete, e che non lo si
può più fare da soli.
La pervasività
del digitale ha fatto sì che non sia
più così chiara la distinzione tra online e offline nelle vite, soprattutto
dei ragazzi. Ciò che prima, forse
con una radice di paura, cercavamo
da adulti di tenere nettamente distinto,
tra reale e virtuale, ha finito con il manifestare una fluidità che
ha colto impreparati gli adulti rispetto
a una sfera educativa così
nuova e in continua evoluzione.
Così,
virtuale e reale si confondono in
una continuità vissuta come naturale
tra i ragazzi, ma molto meno tra
le generazioni dei grandi.
Come coprire, dunque, quello
che sembra rappresentare uno iato
che, alla lunga, potrebbe mostrare
effetti divisi? È la grande sfida, tra
quelle nuove, che l’Ufficiodi pastorale
familiare ha colto grazie a una
ristrutturazione della Consulta che
anima e dà vita allo stesso.
Fin da
prima la pandemia, con il direttore fra Marco Vianelli, ci si è interrogati
su come rendere i membri della
Consulta attivi protagonisti
dell’ascolto che, rispetto al territorio
e al quotidiano delle famiglie, ci
pareva fosse importante mettere al
centro della nostra azione pastorale.
Dopo mesi di lavoro, abbiamo visto
la Consulta riprendere questa
attenzione alle sfide emergenti dalle diocesi
e dalle comunità ecclesiali.
E anche mettere al centro della
propria azione l’idea che sia fondamentale una rete di sostegno alla famiglia
da costruire all’insegna della
co-progettazione e soprattutto
della comunione.
Se già sentivamo vero, come
operatori pastorali e non solo, il proverbio
per cui “Per educare un ragazzo
ci vuole un intero villaggio”,
tanto più ora siamo coscienti che la
pandemia, di cui portiamo i segni
ancora addosso, chieda una pastorale familiare capace di uno sguardo
ampio che conduce al di là dei propri
confini.
Perché il lavoro fatto in
questi due anni per macro aree pastorali,
ci ha narrato un generale
smarrimento genitoriale, non ultimo
rispetto alla sfida digitale.
D’altra parte, l’ascolto del territorio
fa emergere esperienze importanti,
opportunità ancora in fase
embrionale, altre volte puntuali
solo in alcuni spazi della nostra
Chiesa italiana.
Facciamo riferimento
al mondo dell’associazionismo
italiano, che spesso si muove
con maggiore agilità dentro certi
campi educativi, mettendo in circolo
percorsi di formazione con
competenze, non solo pastorali
ma anche attinenti alle scienze
umane, risorse fondamentali
quando la sfida è educativa.
Progetti di pastorale integrata e rinnovata
Insistentemente si chiede, in
tal senso, di realizzare
progetti di
pastorale integrata dove giovani,
catechismo, famiglia e scuola sappiano
dialogare insieme per fare
rete e sostenere le nuove necessità
formative.
Pensiamo, al riguardo,
a tante esperienze di percorsi per
genitori e ragazzi che hanno vita
nelle nostre diocesi, ma che necessitano
dell’apporto di tutti e anche
di specifiche competenze da
condividere.
Educarci al digitale vuol dire
educare adulti e ragazzi, ma ovviamente
con prospettive differenti,
facendo in modo d’intrecciare i
cammini per creare condivisione
tra generazioni.
Non si può pensare
a una sola fase informativa, ma
piuttosto a un’offerta formativa
consistente, che chiede l’intervento
di tutti gli uffici di pastorale,
non solo quello familiare.
Pensiamo
anche al grande contributo
che il dialogo con la scuola può offrire
in tal senso.
In alcuni territori
è già attiva l’esperienza formativa
del patentino digitale. Una novità
interessante da tenere d’occhio.
Tutto ciò ci dice che, al momento,
sono tanti gli adulti che
s’interrogano sulla gestione del digitale,
ma urge che gli interrogativi
facciano base comune.
In questa prospettiva ci pare
significativo che dal Nazionale abbia
avuto luce il progetto condiviso
dall’ufficio di pastorale giovanile,
catechistico e di pastorale familiare
della Cei, dal titolo Seme di
vento.
Partito in piena pandemia,
ha preso il via in alcune diocesi.
Ora chiede al territorio di trovare
terreno fecondo su cui far fiorire i
semi di comunione e di formazione
che porta negli intenti.
Il focus sui ragazzi e i bisogni
emersi nel post Covid, sono diventati
l’incipit di una pastorale integrata
e rinnovata sui bisogni più
evidenti, tra cui ovviamente il digitale.
Il cammino proposto vede intrecciarsi
la formazione di genitori
e ragazzi, con la messa in campo
di risorse pastorali ma anche di
competenze dalle scienze umane.
Quanto pensato va dunque
calato nel territorio a partire dalle
risorse vive e reali già presenti. È
un progetto sfidante che ha a cuore
la costruzione di quella rete di
sostegno ai ragazzi e al familiare
tanto auspicata.
C’è molto fermento,
ma ancora molto lavoro da fare
per un raccordo, capace della creatività
che è tipica di chi sa lasciarsi
interrogare da realtà