19/12/2022
Il benessere delle persone
e delle famiglie non
dipende solo dalle risorse
economiche disponibili, ma anche
dalla salute, dall’accesso alle
cure, alla casa, all’istruzione, al lavoro
dignitoso, all’ambiente, alla
tecnologia.
Parlare di politiche di
contrasto alla povertà significa
prendere in esame più politiche di
welfare. La povertà è l’indice su
cui valutare il buon funzionamento
di un sistema sociale: se il sistema social efunziona,
allora il numero
delle persone in condizioni di
povertà è molto basso.
In realtà,
dovremmo allargare lo sguardo e
assumere tutte le politiche –
dall’urbanistica all’economia,
dall’ambiente alla difesa... – perché tutte
hanno importanti ricadute
sociali.
Lo ricorda papa Francesco nell’enciclica Laudato si’:
«L’intima relazione
tra i poveri e la fragilità
del pianeta; la convinzione che
tutto nel mondo è intimamente
connesso». Eppure rimane un fatto
finale: serve comunque qualcosa
per intervenire sulle conseguenze,
serve un serio provvedimento
di contrasto alla povertà.
I provvedimenti di contrasto
Fino al 2017 l’Italia era l’unico
Paese dell’Ue a non avere una legge
espressamente a contrasto della
povertà: negli ultimi sei anni ne sono
state approvate quattro.
La prima misura è i lSia (sostegno per l’inclusione
attiva), del 2016.
Il Sia
apre la strada a un intervento con
un duplice registro:
un sussidio
monetario e un inserimento obbligatorio
in una rete di welfare locale.
Grazie al lavoro dell’Alleanza
contro la povertà in Italia e al Governo
Gentiloni, nel 2017 il Sia è
sostituito dal
ReI, il reddito di inclusione.
Purtroppo
la misura, molto
efficace, non è dotata di un adeguato
stanziamento economico.
Nel 2019 il Governo Conte I sostituisce
il ReI con l’attuale Reddito
di cittadinanza.
Il RdC non è modellato
esattamente per contrastare
la povertà assoluta, però dispone
di una
cospicua dotazione economica.
Ma durante la fase acuta
della pandemia da Covid-19 si scopre che
il RdC non basta. Nasce così
il
Reddito di emergenza, per tutelare
anche chi rimane fuori dagli
stringenti requisiti del RdC.
Il RdC è oggetto di campagne
mediatiche molto dure, perché in
qualche caso il sussidio è erogato
anche a "falsi positivi" a fronte di
dichiarazioni mendaci e, quindi,
in assenza di una condizione di bisogno
vero.
Eppure – come dimostrano
i dati dell’Istat – senza il
RdC avremmo avuto almeno un
milione di poveri in più, negli ultimi
due anni. Dunque, la copertura
economico-finanziaria è importantissima
e, semmai – tenendo
conto dei rincari di beni e servizi e
tenendo conto dei "numeri" –, va
implementata.
I numeri sulla povertà.
Il report
dell’Istat sulla povertà in Italia,
pubblicato nel 2022, rileva un
livello di povertà assoluta al 7,5%,
un dato ormai stabile ma massimo
rispetto a quanto registrato dalla
serie storica.
Sono poveri assoluti
poco più di 1,9 milioni di famiglie,
circa 5,6 milioni di persone.
La povertà
minorile registra il dato più
alto degli ultimi otto anni, il
14,2%.
La presenza di minori è
una delle cause di povertà familiare:
compromette un budget già
modesto e limita la partecipazione
della madre al mercato del lavoro.
L’incidenza della povertà cresce
col numero di minori in famiglia.
Per le coppie con 1 figlio minore
la povertà assoluta è pari al
6%, con 2 figli all’11,1%, con 3 o
più figli al 20,4%.
Se la persona di
riferimento è in cerca di occupazione
si arriva al 27,2%.
Legata alla povertà minorile
è la povertà educativa.
Il lockdown
ha esasperato la situazione per la
chiusura dei servizi educativi della
prima infanzia e delle scuole,
per la Dad che ha aggravato la situazione
dei minori con fragilità e
dei minori con famiglie senza accesso
a Internet o con strumenti e
spazi insufficienti.
Per il resto il report
dell’Istat conferma le ormai
(purtroppo) consolidate v
ariabili
che incidono sulla povertà: la divisione
Nord/Sud; lo status lavorativo;
il grado d’istruzione della persona
di riferimento; la disponibilità dell’abitazione; il carico familiare;
l’essere stranieri.
Il report non
tiene ancora conto degli effetti
dell’inflazione, dovuta anche alla
guerra in Ucraina.
Ciò incide pesantemente
sulle famiglie più povere,
soprattutto se beneficiarie
del RdC.
È ragionevole stabilire
un aggravio economico medio per
famiglia attorno ai 1.500 euro/anno.
Potremmo semplificare ulteriormente
dicendo che per far
fronte alla situazione servirebbe
una mensilità di reddito di più.
Anche la
Caritas riprende i
dati dell’Istat e aggiunge alcune riflessioni
utili a definire il quadro
sociale.
Per esempio, il fatto che rispetto
alla mobilità sociale
l’Italia
è ultima tra i Paesi europei più sviluppati:
quasi un terzo dei nati nelle
famiglie più povere rimane nella
stessa posizione sociale dei genitori.
In Italia servono 5 generazioni
per una persona che nasce in
una famiglia povera per raggiungere
un livello di reddito medio.
Male anche nella mobilità educativa:
solo l’8% dei giovani con genitori
senza titolo superiore ottiene
un diploma universitario (la media
Ocse è del 22%).
Riformare il Reddito di cittadinanza
Che fare, di fronte a
questi dati?
Il RdC andrebbe riformato
in quattro aree.
Anzitutto i
requisiti d’accesso: devono essere
più razionali, non penalizzare le
famiglie numerose; non penalizzare
gli stranieri (riducendo da 10 a
2 gli anni richiesti per accedere al
beneficio);
non penalizzare i piccoli
risparmi.
La seconda area riguarda
l’accompagnamento, per essere
più efficace nelle questioni burocratiche,
nella
presa in carico
personalizzata tra Centri per l’impiego
e Servizi sociali.
Una terza
area concerne le
politiche attive
del lavoro per persone in condizioni
di fragilità, di dipendenza, di
malattia, di instabilità: c’è chi non
trova il lavoro, ma c’è chi non è facilmente
occupabile per titolo di
studio o per competenza.
C’è anche
un’area legata alla
questione
economica: l’inflazione richiede
un adattamento degli importi dei
sussidi, tenendo presente gli altri
sussidi, come l’Auuf (l’Assegno
unico e universale familiare).
Ci auguriamo che il nuovo
Governo prenda atto che la povertà
è una priorità.
Le politiche di
contrasto alla povertà vanno riviste
perché sono state progettate
in un periodo dove ancora non si
erano manifestate la pandemia, la
guerra e – nei periodi caldi – la siccità.
In questa fase, per esempio,
ci parrebbe coerente una risposta
che colleghi la crescita del costo
della vita agli importi dei sussidi,
che rafforzi l’infrastruttura del
welfare locale, in particolare che i
Comuni siano in grado di progettare
ed erogare gli interventi di
contrasto in amministrazione condivisa
col Terzo settore.
Il principio
di solidarietà va sempre associato
al principio di sussidiarietà,
orizzontale e verticale, per accompagnare
le complesse traiettorie
di vita delle persone, delle famiglie
e delle comunità.