19/12/2022
La pandemia, cominciata
come conseguenza
di un problema
medico, è divenuta subito un
importante problema relazionale,
in quanto, coinvolgendo il lavoro,
gli affetti, le reti sociali, lo spazio
di vita familiare condiviso, ha impattato
in maniera massiccia sulla
sfera psichica ed emotiva degli individui.
L’isolamento e la chiusura
in casa forzata, ha contribuito a
far percepire il mondo esterno come
pericoloso e inaccessibile se
non solo attraverso i dispositivi digitali,
che se da un lato hanno mitigato
il senso di angoscia prodotto
dalla condizione pandemica di isolamento,
dall’altro hanno esacerbato
l’egemonia tecnologica del
mondo “virtual-social”, spingendo
così la creazione, all’interno
della famiglia, di una realtà ibrida
tra reale e virtuale.
Una realtà artificiale in cui si
è fatto esperienza di nuove forme
dello stare insieme, forme in cui la
dimensione corporea viene eliminata,
e quella dello spazio e del
tempo alterata.
Diventano “normali”
situazioni paradossali:
membri di una stessa famiglia che
vivono contemporaneamente la
presenza e l’assenza (fisicamente
e visibilmente tutti insieme nella
stessa casa ma tutti scollegati tra
loro e collegati con altre realtà:
aperitivo on line, palestra in rete,
lezioni in Dad e smartworking). Il
“fuoricasa” diventa il “dentro casa”
e “lo stare insieme” coincide
con “lo stare isolati”.
Questa nuova e inaspettata
esperienza relazionale, accanto alla
paura della morte possibile, incontrollabile,
mai percepita così
reale, ha innescato l’instaurarsi di
una forma narcisistica e onnipotente
di pensare, sentire e, quindi,
di agire.
Modalità che costruisce
rapporti segnati da una maggiore
enfasi data al versante affettivo-
emotivo, a scapito di quello etico-normativo e centrati “sul qui e
ora”.
Un universo relazionale, vissuto
all’insegna solo del “sentire”
e in un tempo “sospeso nel presente”,
in cui è stata eliminata, per
paura, la dimensione del ricordo e
della progettualità.
Ci troviamo di fronte a un assetto
cognitivo, emotivo e relazionale
che difficilmente sostiene tutto
ciò che richiami in maniera più
o meno esplicita l’idea del limite:
lo sforzo, l’impegno, la norma, l’attesa,
il tempo, lo spazio, il corpo.
Una difficoltà di cui osserviamo le
sfaccettature soprattutto nella fascia
pediatrica e adolescenziale.
Sono, infatti, aumentati i bambini
con maggiore irritabilità e frequenza di capricci e rabbia, alterazioni
del sonno, problematiche legate
all’alimentazione e al corpo,
disturbi dell’attenzione, aumento
della fruizione e della dipendenza
dai dispositivi digitali con conseguente
calo dell’utilizzazione del
corpo, incapacità di modulazione
emotiva nelle risposte.
Negli adolescenti
la situazione è ancora più
complessa e si manifesta con una
grossa difficoltà a cercare e vivere
"l’oltre familiare".
Questa ferita relazionale narcisistica
rappresenta la vulnerabilità
emotiva e psichica della famiglia post-
pandemica e mal si accorda
con la funzione propria della
realtà familiare di spinta, fiducia,
accoglienza e contenimento dei
suoi membri.
La pandemia da Covid-
19 ha segnato la vita delle famiglie
in modo significativo e dirompente,
non solo però in maniera
negativa.
La mascherina ha
smascherato le famiglie e il livello
di salute dei rapporti al suo interno,
spingendo a guarire relazioni
che erano destinate a una lenta e
inesorabile agonia. Infatti, se da un lato, ha comportato una riorganizzazione
dei ritmi di vita, in un
precario gioco di equilibri e divisioni,
dall’altro ha contribuito ad
attivare, all’interno degli individui
e delle famiglie, un processo terapeutico
per alleviare e sanare
sofferenze, che rischiavano di restare
invisibili e, quindi, silenti
per molti anni; inoltre, nel tentativo
di riorganizzarsi, la famiglia ha
potuto sviluppare capacità resilienti
e di empowerment fino ad allora
non utilizzate.
La riformulazione
dei compiti della famiglia
Attraverso la ricerca necessaria
di
sopravvivere all’imprevisto,
si sono potute sviluppare strategie
e funzionalità mai messe in atto
nei diversi nuclei familiari.
Grazie
a tutte le limitazioni e alla costrizione
dei membri familiari di
condividere intimamente il quotidiano,
le problematiche latenti sono
emerse in tutta la loro drammatica
forza.
Gli equilibri precari trascinati
a stento e da cui ci si riusciva
a distrarre stando più tempo
fuori dalla famiglia, sono caduti,
smascherando
una crisi in atto forse
da anni.
Nello stesso tempo
quei rapporti, che avevano invece
già raggiunto una buona stabilità
si sono rinsaldati,
in molti casi la
famiglia è riuscita ad approfittare
dell’isolamento per tenere lontano
invadenze familiari da cui non
riusciva a liberarsi.
Con l’isolamento, quindi, s’è
creata l’occasione di v
edere e affrontare
i dolori negati e rafforzare
legami fragili. Tutto questo unito
alla
creazione di "un nemico comune
esterno", ha agevolato la
possibilità delle richieste di aiuto,
perché ha di fatto deresponsabilizzato
l’individuo, rendendo il
rivolgersi
allo specialista un fatto emotivamente relazionalmente e socialmente
più accettabile.
Il lockdown, inoltre, ha richiesto
ai genitori di occuparsi di dimensioni
talvolta demandate alle
istituzioni educative e di aggregazione
sociale; la famiglia s’è trovata
nella necessità di ridefinire i
suoi ruoli, i suoi tempi e i suoi spazi:
ha dovuto ripensare a cosa si
può fare fra le mura domestiche e
cosa no.
La pandemia ha accelerato
una riformulazione in chiave
contemporanea, di quali siano i
compiti della famiglia e come possano
essere attuati e potenziati.
Dalle
narrazioni che fanno i
genitori, durante le interviste
all’interno della pratica clinica personale
e di altri colleghi, si coglie,
come essi sono
disponibili a compiere
un adeguato esame di realtà,
accettando anche di sconvolgere
progetti personali, con spirito critico
e propositivo.
Questo stile genitoriale
permette di avere il coraggio
di sostare nell’incertezza, indebolire
la modalità narcisistica
che frena la spinta e la crescita mentale
ed emotiva dei figli.
Alla luce delle sfide poste dalla
pandemia, è chiaro, quanto la
priorità per un processo di ripresa
relazionale passi dall’interno della
famiglia e come la creazione di
percorsi formativi siano necessari
per
incoraggiare e sollecitare i genitori
a riconoscersi sempre più
come agenti d’apprendimento e
di cambiamento continuo, per i loro
figli.
Insegnando loro skills (abilità)
necessarie per poter attraversare
gli imprevisti, conciliare tempi
e spazi di vita privata e sociale e
rinvenire strategie nuove, aiuteranno
i ragazzi a diventare capaci
di un rinnovato contatto con la
realtà e a riprendere possesso del
tempo non solo presente ma anche
passato e futuro.