20/05/2025
La terza seduta della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto si è svolta il 10 aprile scorso e ha coinvolto l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS).
Questa audizione rappresenta un ulteriore tassello importante per comprendere la stratificazione e la correlazione tra questioni demografiche ed economico-sociali. Nel suo intervento, Gianfranco Santoro, direttore centrale Studi e Ricerche dell'INPS, ha puntualizzato come gli effetti della transizione demografica siano degni di nota anche per quanto riguarda i diversi livelli che coinvolgono il mercato del lavoro in Italia.
Il primo aspetto sollevato riguarda gli effetti diretti della trasformazione qualitativa della popolazione sulla forza lavoro. La riduzione della popolazione residente e il marcato processo di invecchiamento, da una parte, il basso tasso di natalità e le emigrazioni dei giovani verso l’estero, dall’altra, porteranno ad una riduzione del rapporto tra individui in età lavorativa (15-64) e individui in età non lavorativa (fino a 14 e oltre 65). Un altro dato sconfortante è rappresentato dall’indice di dipendenza degli anziani, ossia il rapporto tra la popolazione di oltre 65 anni e la popolazione attiva che si prevede passerà dal 40,8% al 65,5% entro il 2070, un dato significativamente più alto della media UE (da 36,1% a 59,1%).
Parallelo a questo processo di assottigliamento proporzionale della forza lavoro sono i dati relativi all’occupazione. Nonostante si sia registrato un leggero aumento all’inizio di quest’anno (con una percentuale di occupati del 63%), il tasso di occupazione in Italia resta comunque significativamente inferiore alla media UE (71%), collocando l’Italia tra i Paesi con i più bassi livelli occupazionali, soprattutto per quanto riguarda l’impiego di giovani e donne. D’altronde, le proiezioni INPS (2025-2040) mostrano una quota crescente di lavoratori anziani (55+) in contrasto con una diminuzione della fascia di età 35-54 anni. Questo punto ci porta a riflettere sul fatto che una modificazione della configurazione di una popolazione non è mai solo un dato esteriore, ma comporta conseguenze a livello concreto, infiltrandosi in ogni aspetto della vita di un Paese.
Uno dei più alimentati dibattiti pubblici in relazione a fenomeni demografici riguarda la sostenibilità del sistema pensionistico. L’analisi di questo processo può essere sviluppata secondo due direttrici: la prima, di carattere macroeconomico, che si basa sui rilievi della Ragioneria Generale dello Stato; la seconda, di carattere finanziario, che si basa sui dati di bilancio consuntivo e di previsione di breve e medio periodo che interessano le gestioni dell’Istituto. I dati e le proiezioni Inps sembrano suggerire che il sistema pensionistico sarà in grado di garantire le prestazioni previste, almeno nel breve periodo. Sebbene in una prima fase il rapporto spesa pensionistica/PIL sarà in crescita passando dal 15,4% nel 2024 ad un massimo di 17,1% entro il 2040 a causa dell’elevata indicizzazione delle pensioni all’inflazione e delle misure di pensionamento anticipato; esso diminuirà fino al 14,1% nel 2060. Questa futura diminuzione è attribuita all’applicazione generalizzata del metodo di calcolo contributivo, alla stabilizzazione del rapporto pensionati/occupati, all’esaurimento dei pensionamenti della “generazione baby boom” e agli adeguamenti dei requisiti di pensionamento in funzione della speranza di vita. In definitiva, l’Inps sottolinea che, pur essendo necessario un attento monitoraggio ed eventuali misure specifiche nei prossimi trent’anni, ci sono buoni motivi di credere alla sostenibilità del sistema pensionistico italiano. Un po’ più delicate sono le spese legate al Long Term Care (LTC), le quali sono rimaste stabili, nonostante il bisogno di risorse crescente. L’Inps propone la creazione di nuove politiche per la dignità, l’autonomia e l’inclusione degli anziani, supportando ad esempio, progetti di cohousing e investendo in iniziative di senior housing.
L’altra faccia della medaglia che regola l’equilibrio del sistema pensionistico è il flusso contributivo. L’equilibrio non deve essere mantenuto limitando le spese pensionistiche, ma piuttosto incrementando la base contributiva. Questo obiettivo può essere raggiunto attraverso tre operazioni complementari: estendere il numero di contribuenti; dare loro continuità nelle posizioni lavorative; garantire loro salari e redditi stabili. Il punto da cui partire è incentivare la partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne, che costituiscono le due categorie che storicamente registrano i tassi di partecipazione più bassi.
Per quanto riguarda le donne, sono necessarie misure per migliorare la conciliazione vita-lavoro (congedi parentali, servizi di assistenza). Le carriere discontinue e il lavoro flessibile incidono negativamente sulla continuità contributiva e sull’importo della pensione. Uno degli elementi critici per questa categoria è, infatti, rappresentato dall’impatto della nascita di un figlio (child penalty) sulle retribuzioni annue (-16%) nell’anno immediatamente successivo all’evento e sulla probabilità di uscita dal mercato del lavoro nell’anno di nascita (+18%). Per ciò che concerne i giovani, invece, esiste un significativo disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, amplificato dalla transizione tecnologica. Le politiche dovrebbero mirare ad allineare l’istruzione alle esigenze produttive, ridurre i tempi di transizione, migliorare le competenze e utilizzare, come veicolo per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, piattaforme come il Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (SIISL).
I dati portati dall’Inps hanno mostrato una correlazione positiva tra politiche di agevolazione contributiva e tassi di occupazione, soprattutto per i gruppi target sopra menzionati. Meno favorevole è la situazione riguardante i redditi e le retribuzioni, i cui aumenti non compensano la perdita di potere d’acquisto dovuta all’aumento dei prezzi degli ultimi anni. Sono pertanto necessarie politiche virtuose che determinino un incremento della produttività e, quindi, presumibilmente delle retribuzioni per sostenere l’equilibrio del sistema pensionistico, da un lato, e l’adeguatezza delle prestazioni, dall’altro.
Un ultimo punto estremamente interessante, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista sociale, riguarda l’occupabilità dei lavoratori anziani. L’inversione di prospettiva riguarda il fatto di pensare alla popolazione “anziana” non più come un elemento di criticità del sistema, ma al contrario come un elemento da valorizzare e una risorsa fondamentale soprattutto per la formazione continua e la trasmissione delle competenze tra generazioni. In tal senso, è utile potenziare le misure che incentivano la permanenza nel mercato del lavoro, seppur volontaria, per mitigare la carenza di manodopera in settori chiave. Allo stesso tempo, promuovere per loro percorsi di uscita dal mercato del lavoro che siano graduali, sostenibili e rispettosi delle competenze maturate nel tempo.
L’audizione dell’Inps ha offerto spunti estremamente rilevanti non solo dal punto di vista analitico, ma anche in direzione di possibili soluzioni e spunti di azione politica concreti. In continuità con gli incontri precedenti, viene messo in evidenza come la transizione demografica interessi in modo diretto questioni cogenti della vita di ognuno di noi. In maniera acuta, è stato proposto un cambio di prospettiva: non guardare al futuro come ad una situazione di saturazione di alcune dinamiche tradizionalmente viste in modo negativo (si pensi all’invecchiamento della popolazione), bensì reinterpretarlo, valorizzando un contesto nuovo che può offrire notevoli risorse al Paese. Infine, l’analisi delle criticità è stata accompagnata dall’identificazione dei punti cardine su cui concentrare le forze politiche per permettere al sistema di sostenere e prolungare l’equilibrio economico e sociale del nostro Paese.
Approfondimento a cura di:
Carmine Marcacci, laureato in Filosofia e Forme del Sapere, dottorando in Economia Civile con la Borsa di studio "Economia Civile, Famiglia e Natalità" Lumsa-Cisf