27/05/2025
Il 15 aprile scorso si è tenuta la seduta della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto con i rappresentanti della Banca d’Italia. I temi trattati ripercorrono le questioni cogenti già rilevate dalle precedenti sedute, ma con un maggiore focus agli aspetti finanziari e del mercato del lavoro.
Riguardo a quest’ultimo punto, il vicecapo del Dipartimento di economia e statistica della Banca d’Italia Andrea Brandolini sottolinea gli effetti negativi che la riduzione della manodopera ha sulla crescita economica del Paese, soprattutto se non controbilanciato da una maggiore intensità di lavoro o da una maggiore produttività. Per illustrare questa dinamica, Brandolini analizza l’andamento del prodotto interno lordo (PIL) pro capite attraverso il contributo di quattro fattori:
1. La quota di popolazione in età da lavoro;
2. La quota di questa popolazione che effettivamente occupata;
3. Il numero di ore lavorate in media da ogni occupato;
4. La produttività oraria, ovvero la quantità di beni o servizi prodotta con un’ora di lavoro.
E’ dunque necessario riflettere sul rapporto tra l’andamento di questi quattro fattori nei prossimi anni e la transizione demografica in atto. Se nei prossimi 25 anni i tassi di occupazione, gli orari di lavoro e la produttività oraria rimanessero immutati sui livelli attuali, il calo della popolazione in età da lavoro implicherebbe una diminuzione dell’input di lavoro e, quindi, del PIL (in una percentuale pari allo 0,9% all’anno). Questo significa che per evitare un esito del genere, se non si riescono ad invertire direttamente le dinamiche demografiche, è necessario agire su quei fattori che possono controbilanciare l’andamento del prodotto interno lordo.
Un primo elemento su cui si sofferma il documento fornito riguarda il tema della natalità e dei sostegni alle famiglie. Nonostante la flessione della fecondità che si è realizzata, il recupero dell’andamento dei tassi di natalità appare possibile se si tiene conto del fatto che la maggior parte delle coppie continua a desiderare due figli (dati Istat 2022). È però necessario che non solo la politica, ma anche l’intera società e il sistema produttivo riconoscano la centralità del tema della natalità e adottino politiche e azioni concrete a sostegno dei progetti di procreazione delle giovani coppie.
Anzitutto, va sfatato il mito che vede la contrapposizione tra occupazione femminile e procreazione: dalla metà degli anni ‘80 nelle economie avanzate il tasso di fecondità è più alto dove è più elevata la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. In secondo luogo, è necessario tener presente che uno dei maggiori ostacoli ai progetti di costruzione familiare è proprio la bassa occupazione giovanile. Questo aspetto è correlato ad una più alta età media al parto delle donne italiane rispetto a quelle europee (32,5 contro 31,6) e ad una uscita più tarda dal nucleo familiare originario (30 contro 26,4 in Europa). Offrire più opportunità di lavoro e, quindi, aumentare il tasso di occupazione giovanile avrebbe molteplici effetti positivi: avrebbe vantaggi per ciò che concerne il prodotto interno lordo e contrasterebbe il declino della natalità.
Riguardo la questione dei sostegni familiari, secondo la letteratura economica l’offerta di servizi alle famiglie è più efficace dei trasferimenti monetari nel permettere alle giovani coppie di realizzare i propri desideri circa il numero di figli. In particolare, è importante il rafforzamento dei servizi educativi per la prima infanzia, che facilitano la partecipazione al mercato del lavoro dei genitori, oltre ad avere effetti positivi sui rendimenti scolastici dei bambini.
Se queste misure avrebbero effetti constatabili solo nel medio-lungo periodo, un fattore demografico che può controbilanciare il saldo naturale negativo nel breve periodo è l’immigrazione. Questa è stata finora cruciale per colmare i vuoti creati nel mercato del lavoro dal declino della popolazione autoctona; infatti, la maggior parte degli immigrati stranieri svolge occupazione peggio retribuite e meno accette ai lavoratori italiani. In questa fase, tuttavia, saranno fondamentali politiche che garantiscano flussi migratori regolari che incontrino le necessità delle imprese e assicurino un’integrazione completa per chi arriva nel Paese e, allo stesso tempo, scelte normative che migliorino l’attrattività dell’Italia per i lavoratori stranieri qualificati.
Un ultimo aspetto messo in evidenza riguarda la produttività del lavoro italiano. I dati proposti mettono l’accento sull’utilizzo delle nuove tecnologie e sulla formazione delle competenze dei lavoratori. La questione che regola i rapporti tra tecnologie e persone in ambito lavorativo è molto delicata. Tuttavia, almeno in questo contesto, le tecnologie non devono essere viste alla stregua di sostituti della forza lavoro umana animando così una retorica neoluddista. Al contrario, l’automazione potrebbe offrire la possibilità di conseguire i livelli di produttività più elevata, sopperendo al ridimensionamento dell’offerta di lavoro. Dall’altra parte, la formazione continua e la riqualificazione dei lavoratori adulti assumono un’importanza pari a quella dell’istruzione formale, sia per contrastare il deterioramento delle competenze acquisite in passato sia per fornirne di nuove. L’Italia, purtroppo, è indietro rispetto all’Europa in entrambi gli aspetti sollevati, i quali, quindi, costituiscono ambiti su cui investire per avere effetti più determinanti per l’economia del Paese.
La seconda macroarea analizzata riguarda la sostenibilità finanziaria. In particolare, le analisi dei rappresentanti della Banca d’Italia si soffermano su tre temi principali: le pensioni, la sanità e le difformità territoriali. Molti degli aspetti ricalcano quanto detto nelle precedenti audizioni. Più interessanti sono le riflessioni fornite riguardo le difformità territoriali e la sanità pubblica. In prospettiva, il servizio sanitario nazionale (SSN) dovrà far fronte alla fuoriuscita per pensionamento di una quota rilevante del personale, proprio nel momento in cui l’invecchiamento della popolazione genererà una domanda crescente per i suoi servizi. Nel prossimo decennio il turnover del personale, il potenziamento dell’assistenza territoriale previsto dal piano nazionale di ripresa e resilienza genereranno un fabbisogno di medici, compresi i medici di base e i pediatri, pari al 30% dell’attuale organico e di infermieri pari al 14%.
In aggiunta, un aspetto estremamente critico riguarda il livello insufficiente di coordinamento dell’assetto istituzionale sul territorio nazionale. In particolare, la complessità economico-sociale del territorio italiano comporta una tensione tra le risorse finanziarie necessarie per garantire i livelli essenziali e i vincoli di bilancio delle amministrazioni locali. In assenza di meccanismi perequativi adeguati, l’erogazione dei servizi è condizionata dalla disponibilità di risorse proprie. Le carenze di queste ultime nelle aree meno ricche del paese, soprattutto nel Meridione, fanno sì che l’intervento pubblico locale sia più debole proprio nelle aree che ne avrebbero maggiormente bisogno. Si può parlare di una vera e propria nuova “questione meridionale”, dal momento che in queste regioni alla riduzione della natalità si aggiunge una consistente emigrazione di popolazione giovanile e una scarsa attrattività per gli stranieri.
Le questioni sollevate sono sbilanciate a favore degli aspetti economici legati alla transizione demografica. Sebbene, la prospettiva sia evidentemente utilitarista, lasciando meno spazio a riflessioni di natura sociologica o morale, è importante tener presente che la questione economica rappresenta probabilmente una delle conditio sine qua non le condizioni di possibilità di un discorso etico o sociale sulla natalità o il futuro delle famiglie sarebbero compromesse. In altre parole, se i prerequisiti di stabilità o sviluppo economico sono deteriorati, allora è difficile poter parlare adeguatamente di questi temi in una prospettiva assiologico-culturale. Più precisamente, quello che questa serie di audizioni hanno messo in evidenza è che esiste un nesso strettissimo tra valori morali, demografia, sviluppo di un Paese e condizioni di benessere generali. Se si vuole trovare una soluzione concreta, è necessario pensare a ognuna di queste isolatamente e allo stesso tempo le une in relazione alle altre, in modo che la prospettiva che è condivisa moralmente coincida con quella concretamente perseguibile.
Approfondimento a cura di:
Carmine Marcacci, laureato in Filosofia e Forme del Sapere, dottorando in Economia Civile con la Borsa di studio "Economia Civile, Famiglia e Natalità" Lumsa-Cisf