07/10/2012
Tesi di Alessandra Nocco
Relatrice: Biancamaria Cavaliere
Correlatrice: Manolita Francesca
Anno accademico 2010-2011
Facoltà di Giurisprudenza, Scuola di specializzazione per le professioni legali
Università degli studi del Salento
Alessandra Nocco
Introduzione
Questo lavoro di tesi analizza a più livelli il tema dell’ascolto del minore d’età – inteso quale diritto della personalità ed espressione della sua nuova dimensione giuridica partecipativa – in relazione ai
procedimenti civili in materia familiare.
Tra questi procedimenti meritano di essere menzionati in modo particolare quelli relativi
all’affidamento a seguito della scissione della coppia genitoriale; quelli relativi all’adottabilità e alla successiva eventuale adozione; quelli cui conseguono i c.d. provvedimenti de potestate; quelli di riconoscimento tardivo di maternità o paternità e quelli, purtroppo sempre più frequenti, sulla sottrazione internazionale dei minori.
In tutti questi luoghi giuridici, come si dimostra nella trattazione, ascoltare la voce del soggetto minore direttamente coinvolto nelle scelte del magistrato non può essere considerato
un potere istruttorio e discrezionale dello stesso, ma piuttosto un diritto indiscutibile della persona di minore età che avverte l’esigenza di far ascoltare la propria voce nel giudizio che lo riguarda.
Struttura, metodo, strumenti e obiettivi del lavoro
Nel primo Capitolo si ripercorre il travagliato percorso d’emersione dei bisogni del minore sul terreno giuridico italiano e, successivamente, il passaggio dal diritto minorile “della protezione” a quello “della promozione” e “dell’autodeterminazione dinamica”, dando conto delle fonti sovranazionali che l’hanno accelerato.
Si indaga, inoltre, l’atteggiamento degli operatori del diritto di fronte ai temi che più chiaramente contrappongono la concezione giuridica tradizionale del bambino “oggetto di tutela” a quella, più moderna, che lo riconosce “soggetto titolare di interessi e diritti suoi propri”.
Con il secondo Capitolo l’indagine si focalizza sul diritto del minore d’età ad essere ascoltato in tutti i procedimenti civili che lo riguardano, analizzando le questioni sostanziali e processuali controverse tentando risposte plausibili agli interrogativi sulla natura giuridica, le finalità, i presupposti, le implicazioni processuali e le corrette modalità di svolgimento dell’ascolto stesso. Il capitolo si chiude con l’esame dei possibili rimedi per la violazione dei diritto all’ascolto e di quelli ad esso complementari.
Il terzo e ultimo Capitolo, prendendo le mosse della contestazione dell’insufficienza della risposta giudiziaria di fronte alla complessità delle problematiche più scottanti e delicate del diritto minorile e della famiglia – e, in particolare, dinanzi al dramma, per i figli, dalla scissione della coppia genitoriale – approfondisce la possibilità di percorrere strade alternative a quelle dell’ascolto nel giudizio civile e, dunque, propone all’attenzione del lettore due ulteriori innovative risorse: l’ascolto del minore in mediazione familiare e l’ascolto del minore nei gruppi di parola.
Il sistema di riferimenti bibliografici e la sitografia sono aggiornati all’agosto 2011. In una breve Appendice si riporta l’elenco cronologico (sino al 23 maggio 2011) dei Protocolli esistenti in Italia, di cui molti in materia familiare e minorile, nonché il testo integrale:
a) del “Protocollo per l’audizione del minore” del Tribunale per i minorenni di Roma, adottato nel 2007;
b) del “Protocollo per l’audizione di Minori nei procedimenti giurisdizionali” del Tribunale di Varese, adottato nel 2011;
c) del “Protocollo per l’ascolto del minore nei procedimenti civili” del Tribunale di Pordenone, anch’esso del 2011. Per la stesura è risultato molto utile il confronto con il magistrato minorile leccese Dott. Aristodemo Ingusci, nonché la partecipazione al Convegno “L’ascolto del minore nei procedimenti civili nel XX anniversario della ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York”, tenutosi a Cassino il 17 giugno 2011.
Un limite del lavoro, forse, risiede nel non aver esaminato separatamente le interazione tra l’ascolto e i diversi procedimenti civili in materia familiare (es.: ascolto e declaratoria di adottabilità; ascolto e provvedimenti de potestate; ascolto e affidamento; ascolto e sottrazione internazionale; ascolto e secondo riconoscimento etc.). Tale limite, tuttavia, è il risultato di una precisa opzione espositiva: affrontare la tematica in maniera trasversale, al fine di enucleare principi generali e risposte agli interrogativi valevoli per tutti e per ciascun procedimento civile minorile. Non mancano, tuttavia, quando necessari, riferimenti di natura analitica.
Obiettivo della trattazione è rendicontare lo stato dell’arte sul tema, tracciando un percorso ragionato attraverso la giurisprudenza, i contributi dottrinali, i recenti indirizzi del Comitato ONU (2009) e del Consiglio d’Europa (2010) nonché le fonti normative eterogenee e talvolta lacunose. Obiettivo, però, è anche quello, ambizioso, di tentare delle “fughe in avanti”: vengono infatti proposte, all’esito di una lettura comparata dei Protocolli in materia d’ascolto giudiziario, buone prassi per il suo concreto svolgimento, sottolineando al contempo e con forza l’opportunità di sperimentare, nel dar voce al fanciullo, momenti e sedi alternative a quelle giudiziarie, sì da valorizzarne la personalità in formazione, il ruolo pregnante nella comunità familiare e nel consorzio umano e, in fin dei conti, aiutarlo a sentirsi reale (co)protagonista – e non semplice spettatore – delle sue vicende esistenziali e di quelle della sua famiglia.
Discussione
Il minore d’età, al pari di ogni altro individuo, è titolare di un diritto costituzionalmente garantito ad esprimere liberamente la sua opinione in ogni circostanza.
Questo diritto si esercita primariamente nella comunità familiare, luogo privilegiato per il sereno e armonioso sviluppo della personalità.
I genitori assolvono i compiti di mantenimento, istruzione ed educazione “tenendo conto della capacità, dell’inclinazione e delle aspirazioni dei figli” e, pertanto, devono prestare attenzione alla loro voce.
La potestà, a seguito della mutata concezione culturale e giuridica dell’infanzia nonché della svolta antiautoritaria che ha ridisegnato in senso democratico la geografia familiare, si qualifica ormai – non come potere, ma - come responsabilità genitoriale duale per la cura emancipatrice della persona di minore età.
Quest’ultima va rispettata nella sua dignità, assistita nel progressivo raggiungimento dell’autonomia di pensiero e supportata nel processo di graduale autodeterminazione dinamica.
Il diritto del minore all’ascolto ha anche una dimensione processuale: è un momento del giudizio civile che ne coinvolge gli interessi di natura esistenziale e patrimoniale. L’obbligatorietà dell’ascolto giudiziale del minore è sancita anzitutto della comunità internazionale, da sempre più sensibile e sollecita degli ordinamenti interni nel tutelare e promuovere i diritti dei fanciulli.
Oltre a numerose Convenzioni internazionali e regolamenti europei, anche il Comitato Onu e il Consiglio d’Europa hanno recentemente riaffermato l’obbligatorietà dell’ascolto giudiziale del minore in tutti i procedimenti che lo riguardano.
Tra diffidenze e piccoli passi in avanti, la dottrina e la giurisprudenza italiane, stimolate dalle fonti sovranazionali, si sono anch’esse mosse per introdurre il minore d’età in una dimensione giuridica nuova, dalla quale egli è posto, almeno formalmente, in condizione di partecipare attivamente alla propria tutela giuridica. Si ricordano, in particolare, sul piano interno:
a) la l. n. 54 del 2006, che ha introdotto nel codice civile l’art. 155 sexies, il quale prevede l’audizione da parte del giudice del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento e prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minori d’età in occasione dello sfaldamento della coppia genitoriale;
b) la sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2002, che ha sancito definitivamente la cogenza delle disposizioni sovranazionali in materia di ascolto e la loro identità a integrare, ove lacunosa, la normativa interna, nonché la necessità del contraddittorio nei suoi confronti;
c) la sentenza della Suprema Corte a Sezione Unite n. 22238 del 2009, nella quale è stato affermato, per la prima volta ed in modo inequivocabile, che il mancato ascolto del minore nei suddetti procedimenti determina la nullità insanabile e rilevabile d’ufficio del provvedimento impugnato per violazione dei principi del contraddittorio e del giusto processo, salvo che l’omesso ascolto sia giustificabile per l’assenza di una sufficiente capacità di discernimento oppure per la manifesta e motivata contrarietà dell’ascolto stesso al preminente interesse del minore.
L’ascolto giudiziale non è un atto istruttorio in senso tecnico.
Si differenzia, in particolare, sia dalla testimonianza che dall’interrogatorio libero, ai quali viene talvolta erroneamente assimilato.
L’ascolto, infatti, è innanzitutto un diritto del minore d’età a incontrare il giudice che prenderà delle importanti decisioni per lui, a potergli liberamente esporre il suo punto di vista sulle questioni familiari che lo coinvolgono e a dare un contributo al giudizio come soggetto di diritto, e non soltanto come oggetto di tutela o spettatore esterno dell’eteronoma definizione del suo (presunto) migliore interesse nel caso di specie.
L’ascolto è, in primis, momento conoscitivo e occasione per dar voce a che solitamente, almeno nel processo, una voce non ce l’ha.
E’ finalizzato a raccogliere le opinioni del minore, i suoi vissuti, le sue emozioni, le sue speranze per il futuro, le sue spontanee confidenze e persino i suoi silenzi e i suoi messaggi non verbali.
Non si può negare, tuttavia, che esso partecipi anche di una dimensione latu sensu probatoria, nel senso che, pur non proponendoselo come scopo, è possibile che il magistrato tragga da questo momento processuale elementi rilevanti per il proprio convincimento. Si tratta, tuttavia, di un aspetto meramente incidentale, che non vale ad alterarne la natura essenzialmente colloquiale.
In presenza di un’insufficiente capacità di discernimento o di una manifesta contrarietà dell’ascolto giudiziale all’interesse preminente del minore, esso può essere legittimamente omesso, sempreché il magistrato motivi espressamente il provvedimento sulle ragioni dell’esclusione.
La sufficiente capacità di discernimento è una categoria strumentale al riconoscimento di una soggettività processualmente rilevante a un soggetto che, per la sua minore età, è giuridicamente incapace di agire. Può essere definita come attitudine a riconoscere i propri bisogni affettivi primari e a proiettarli, seppur semplicisticamente, all’esterno. Solitamente presunta al di sopra dei dodici anni, va esclusa nei minori più piccoli soltanto laddove essi risultino del tutto incapaci di esternare un punto di vista non appiattito sulle posizioni di uno o entrambi i genitori, ovvero alterato da pressioni, condizionamenti, elementi patologici quali quelli che intervengono sulla psiche dei minori nei casi di PAS.
La capacità di discernimento, laddove il magistrato non sia specializzato, può essere stimata da un esperto da lui delegato.
L’ascolto del minore, oltre ad essere un suo diritto, è un prezioso strumento nelle mani del giudice procedente per la migliore definizione, mediante colloquio col diretto interessato, del suo interesse nel caso concreto.
Se si condivide tale affermazione risulta arduo, se non in casi eccezionali, predicare la contrarietà dell’ascolto a tale interesse, il quale, come detto, dall’ascolto può solo emergere con maggiore chiarezza.
Il problema della presunta nocività dell’ascolto e il superamento della diffidenza che ancora oggi aleggia nel mondo giuridico su questo tema, sono questioni che vanno allora spostate dal piano dell’ an a quello del quomodo, individuando modalità rispettose della libertà, della serenità e della dignità della persona ascoltata.
Per essere ascoltato nel giudizio civile che lo concerne, il minore non ha bisogno di essere assistito da un rappresentante.
Egli può esprimere direttamente il suo pensiero al giudice, in quanto, pur essendo incapace di agire in giudizio, ciò che rileva ai fini dell’ascolto è soltanto la sua capacità di discernimento.
Nondimeno il magistrato può discrezionalmente disporre che l’ascolto avvenga in forma indiretta, per mezzo di un rappresentante.
In questo caso, se almeno uno dei due genitori (o il tutore) non è in conflitto d’interessi con il figlio, può svolgere la sua funzione di legale rappresentante, raccogliendo l’opinione espressa e riportandola al magistrato. Viceversa, sarà nominato un curatore speciale oppure sarà l’avvocato difensore del minore, qualora nominato, ad assommare le funzioni di rappresentanza e curatela speciale.
Il difensore è figura necessaria nei procedimenti civili in cui il minore assume, oltre alla qualità di parte sostanziale, anche quella di parte processuale; tuttavia né questa qualità né la presenza dell’avvocato difensore sono condizioni necessarie per l’ascolto, ai cui fini rileva soltanto che il procedimento civile lo coinvolga.
L’ascolto indiretto, oltre che per il tramite di un rappresentante o dell’avvocato/curatore del minore, può avvenire anche per mezzo di esperti, ausiliari del giudice, consulenti tecnici, servizi sociali. In ogni caso, chi raccoglie l’opinione del minore la riporta fedelmente al magistrato. Se il minore non vuole essere ascoltato, non esprime il suo punto di vista o assume delle posizioni palesemente contrarie ai propri bisogni reali, chi l’ha ascoltato riporta al magistrato procedente il punto di vista proprio.
Ad ogni modo, l’ascolto diretto risulta preferibile a quello indiretto in quanto elimina un filtro spesso inutile tra il magistrato che deve decidere nel migliore interesse del minore e il minore stesso. Tuttavia, trattandosi di un momento fortemente impegnativo che richiede la conoscenza dell’alfabeto emotivo e relazionale dei minori nonché la capacità di decodificarne i complessi messaggi verbali e non verbali, se il giudice non è specializzato in tal senso è opportuno che si faccia quantomeno coadiuvare da un esperto.
L’ascolto è un diritto, non un obbligo del fanciullo. Egli sceglie se essere o meno ascoltato. Se presta il suo consenso, deve essere preliminarmente informato sulla situazione familiare, sul procedimento giudiziario in corso, sulla natura e sul significato dell’ascolto giudiziale nonché sulle modalità con cui verrà attuato. Deve essere consapevole che le opinioni espresse vengono seriamente prese in considerazione dal magistrato per le decisioni del caso, ma che non costituiscono l’unico elemento del suo convincimento e, pertanto, possono essere anche del tutto disattese. Quest’informazione scarica il minore dal conflitto di lealtà con uno o entrambi i genitori e ridimensiona in rischio, da più parti avvertito, di una sua eccessiva responsabilizzazione.
Le modalità dell’ascolto devono essere tali da consentire al minore di esprimersi liberamente, senza condizionamenti di nessun tipo, nel rispetto totale della sua personalità e della sua dignità. Nessun elemento deve essere lasciato al caso, ma tutto, anche l’abbigliamento e l’atteggiamento di chi ascolta, deve concorrere ad ingenerare in lui un senso di tranquillità.
L’ascolto prende la forma di una chiacchierata confidenziale, non di un esame. Deve svolgersi in uno spazio temporale contenuto e devono evitarsi ascolti superflui successivi al primo. Il minore non va incalzato con domande dirette sulla situazione familiare, ma lasciato libero di parlare e persino di tacere. Chi ascolta non deve mostrare fretta, ma zelo e comprensione.
Il minore non deve essere interrotto dall’interlocutore né pressato in alcun modo. Da quanto spontaneamente riferisce, anche rispondendo a domande molto generiche, il magistrato (o chi per lui) tenta di ricostruire la rete e la qualità dei rapporti familiari, nell’intento di individuare il best interest of the child.
Il contesto dell’ascolto deve essere neutro, incoraggiante e accogliente e l’ascolto deve avvenire in via possibilmente riservata. Sono da evitare luoghi affollati e poco discreti come le aule giudiziarie, specie nelle ore mattutine.
Sarebbe auspicabile che in ogni Tribunale minorile fosse predisposta un’apposita stanza per l’ascolto, attrezzata con specchio unidirezionale e sistema di registrazione audio-video. Questo garantirebbe la possibilità, per le parti e i loro difensori, di “assistere” all’ascolto senza condizionare il minore, salvaguardando le garanzie del contraddittorio ma anche la riservatezza del colloquio.
Il contenuto dell’ascolto va verbalizzato. Il verbale deve riportare fedelmente e in forma integrale le dichiarazioni rese dal minore. Sarebbe opportuno dare atto, oltre a quanto egli ha detto, anche del suo modo di presentarsi all’incontro, dell’abbigliamento, della cura della persona, di atteggiamenti significativi tenuti durante il colloquio. Il minore ha diritto di prendere visione del verbale, rettificare le proprie dichiarazioni, apporvi la propria firma in calce.
Il magistrato tiene conto dell’opinione del minore in base alla sua età e al grado di maturità raggiunto. Esso non è vincolante per la decisione ma, se da un lato è obbligatorio acquisirla agli atti (almeno laddove ce ne siano i presupposti giuridici), dall’altro obbliga il magistrato ad esplicitare, una volta formalizzato il provvedimento decisorio (es. disposizione dell’affidamento, declaratoria di adottabilità, limitazione della potestà genitoriale etc.), le ragioni per le quali ha ritenuto di abbracciare tale opinione o discostarsene.
Mediante il c.d. feedback, va “restituito” al bambino o all’adolescente il contenuto del provvedimento adottato nei suoi confronti. Deve essergli chiarito direttamente dal giudice (o, più spesso, dall’avvocato/curatore oppure ancora dal tutore, l’assistente sociale o il genitore non in conflitto), con linguaggio semplice e calibrato in base alla sua età, in che modo è stato preso in considerazione il punto di vista che ha espresso e perché è stato deciso di accogliere o disattendere le sue eventuali richieste.
L’ascolto, dunque, è un diritto complesso che si sostanzia e vive in diversi diritti tra loro complementari, a ciascuno dei quali corrisponde un preciso incombente processuale.
Non è sufficiente, per garantire il diritto all’ascolto, che il minore sia semplicemente ascoltato. Occorre infatti che sia preliminarmente preparato, adeguatamente informato, poi accolto in un contesto accogliente da un interlocutore specializzato e attento, capace di ascoltarlo con zelo e comprensione. Occorre, altresì, che la sua opinione sia tenuta in debita considerazione per i provvedimenti del caso e che egli sia messo a parte dell’iter decisionale seguito dal giudice.
L’ingiustificata omissione dell’ascolto, così come la violazione di uno dei diritti ad esso complementari, espone il provvedimento giudiziale alla sanzione della nullità.
Il minore, inoltre, può rivolgersi, anche direttamente, al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza per lamentare la lesione subita. Dovrebbero infine essere attivate, per migliorare l’effettività del diritto, procedure di appello, ricorso e risarcimento dei danni.
L’ascolto del minore in relazione ai procedimenti civili e, prima ancora, alle vicende esistenziali che lo coinvolgono, può essere proficuamente effettuato (ed è auspicabile che ciò avvenga sempre di più) anche al di fuori del contesto giudiziale.
La partecipazione del minore d’età ai percorsi di mediazione familiare, per esempio, è una valida occasione per dar voce al bambino o all’adolescente in un contesto extragiuridico nel quale, similmente a quanto accade in giudizio, ma con un grado decisamente più basso di conflittualità e con l’ausilio di un professionista imparziale, si tenta di arrivare a soluzioni rispettose (anche) del suo interesse.
Un’altra innovativa alternativa all’ascolto giudiziale è l’ascolto nei Gruppi di Parola, spazi recentemente pensati per sostenere e far confrontare tra loro bambini tra i sei e gli undici/dodici anni i cui genitori si sono lasciati, sotto la guida di un esperto professionista che prende il nome di “conduttore di parola”.
I bambini vengono iscritti al Gruppo di Parola dai loro genitori e, in questo contesto extragiudiziale, nello spazio temporale di quattro incontri da due ore ciascuno, hanno la possibilità di esprimere se stessi, essere informati, confrontarsi con altri bambini che vivono la loro medesima situazione ed elaborare sentimenti, inquietudini, paure comuni.
Possono inoltre proporre essi stessi percorsi di riorganizzazione della vita familiare a seguito dello sfaldamento della coppia genitoriale.
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