12/05/2025
Il giorno 8 aprile si è tenuta la seconda audizione della Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica con i rappresentanti del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis). Questa audizione ha contribuito a fornire ulteriori analisi che hanno corroborato e arricchito i dati proposti dall’Istat, offrendo elementi qualitativi e quantitativi estremamente interessanti per comprendere da diverse prospettive il carattere assunto in Italia da questa transizione demografica.
Il discorso del responsabile dell’Area Economia, Lavoro e Territorio del Censis, Andrea Toma, è stato sviluppato in quattro punti:
-il primo riguarda
le conseguenze che si stanno manifestando in riferimento alle trasformazioni della composizione delle famiglie, soprattutto per ciò che concerne l’assistenza familiare;
-il secondo riguarda
l’evoluzione delle classi più giovani della nostra popolazione in relazione alla ricchezza netta e al patrimonio delle famiglie;
-il terzo punto riguarda
gli effetti della transizione demografica dal punto di vista della direzione delle imprese e della presenza di imprenditori in Italia;
-il quarto concerne le analisi e gli approfondimenti sul tema delle aree interne del Paese, con particolare attenzione allo spopolamento dei territori più fragili.
Il primo dei temi trattati mette a fuoco uno degli ambiti di più evidente cambiamento nello scenario demografico italiano. L’invecchiamento della popolazione ha creato una vasta area di bisogno alla quale le famiglie stanno rispondendo cercando soluzioni dignitose per la cura dei propri familiari e tali da non mettere a repentaglio le proprie disponibilità economiche. In questa direzione si muove l’impiego di lavoratori domestici, in particolare badanti e colf, per compensare la scarsità di offerta che proviene dal sistema pubblico di assistenza. Tuttavia, se ci si sofferma sul rapporto tra domanda ed offerta la situazione è estremamente preoccupante. Il numero di persone sole in Italia è pari a 8 milioni 847 mila, di cui il 55,2% ha sessant’anni o più; questo dato se collegato alla dinamica di invecchiamento della popolazione fa suppore che il bisogno di assistenza domestica sia sempre maggiore. Dall’altra parte, in generale il numero di figure dedite all’assistenza domestica è diminuito (i lavoratori domestici si sono ridotti del 9,5 % dal 2014 al 2023 e le altre figure come colf, babysitter ecc. si sono ridotte del 23,1%), ad eccezione delle badanti che sono aumentate del 10 %. Ciò nonostante, il rapporto tra l’offerta di badanti e il numero di persone sole con sessant’anni o più rappresenta un “fattore di criticità” in prospettiva: si contano infatti solo 8,5 badanti ogni cento persone anziane sole, un dato che lascia presagire uno squilibrio crescente tra domanda e offerta di assistenza.
Il secondo punto analizzato mette in relazione la distribuzione della ricchezza con le tendenze demografiche in atto. La gran parte della ricchezza privata è riconducibile alla popolazione più matura o prossima alla pensione. Infatti, i rappresentanti della generazione silenziosa (i nati fra il 1928 e il 1945) e i baby boomer (i nati tra il 1946 e il 1964) detengono il 58 % della ricchezza netta, costituita da abitazioni, beni mobili e titoli finanziari. Questa distribuzione si accentuerà per effetto della denatalità che determinerà, da una parte, l’assottigliamento delle classi d’età più giovani e, dall’altra, un processo che il Censis ha definito “imbuto dei patrimoni”. Questo fenomeno potrebbe portare a una minore frammentazione del patrimonio, ma allo stesso tempo accentuare le disuguaglianze tra chi eredita e chi non rientra nella trasmissione, nonché causare il cosiddetto fenomeno di “rentier”, ossia ricchezze che non vengono messe a valore o produzione, condizionando potenzialmente il futuro produttivo del Paese.
Il terzo aspetto rilevato riguarda gli effetti della transizione demografica sulla dotazione di capitale imprenditoriale e sulla guida delle imprese. Negli ultimi 5 anni si è registrata una riduzione nel numero degli imprenditori italiani pari a 186 mila unità, soprattutto nella fascia tra i 30-49 anni. Alla riduzione dei giovani alla conduzione delle imprese è collegato un aumento del peso degli imprenditori più anziani. Questa forma di stagnazione generazionale nella guida delle imprese è complementare ad un altro fenomeno che riguarda il difficile trasferimento generazionale delle responsabilità all’interno delle aziende familiari. Questo “blocco del cambio della conduzione” rappresenta un forte fattore di condizionamento nell’adozione di scelte di innovazione e, quindi, di potenziale crescita delle imprese.
L’ultimo punto sollevato sposta l’attenzione dalle persone ai territori e condensa in modo estremamente puntuale la crisi delle aree interne come conseguenza della combinazione di processi economico-sociali e demografici. La “rarefazione” del capitale umano innovativo per le imprese, i processi di emigrazione interni e la riconfigurazione del sistema economico orientato alla concentrazione delle attività produttive sta intensificando processi di desertificazione dei servizi che alimentano dinamiche di spopolamento di molte aree del paese. In particolare, queste tendenze riguardano le aree interne, ossia quei territori significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali, ma ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura e per effetto di secolari processi di antropizzazione.
È evidente che queste problematiche fanno riferimento a quella che da diversi anni viene chiamata “attrattività del territorio”, ossia la capacità di un’area geografica di attirare e trattenere risorse, persone, investimenti, competenze e attività economiche e culturali. I processi cui stiamo assistendo generano una vera e propria ridistribuzione del capitale umano, che diventerà una risorsa sempre più cruciale per l’economia del Paese e, soprattutto, per quelle aree incapaci di rappresentare una attrattiva sufficiente e che di conseguenza rischiano di entrare in una spirale regressiva: la perdita di giovani talenti e competenze riduce la base produttiva e la domanda locale, compromettendo ulteriormente la capacità di sviluppo e aggravando il divario con i territori più ricchi di servizi e opportunità.
I quattro punti analizzati dimostrano che la transizione demografica comporta conseguenze molto più ampie di quelle immediatamente evidenti. La riduzione della popolazione e la trasformazione qualitativa della stessa non sono dati indipendenti dall’andamento economico del Paese. Al contrario, esiste un nesso molto stretto tra demografia, società ed economia. L’audizione con il Censis ha messo in evidenza proprio questo legame articolando su più livelli – territoriale, individuale e imprenditoriale – la necessità di prendere sul serio la transizione demografica, non solo con l’intento di ribaltare dei dati statistici, ma avendo a cuore le sorti del Paese nel complesso.
Sembra particolarmente efficacie includere la transizione demografica tra quei fenomeni che Timothy Morton ha chiamato “iperoggetti”. Questi ultimi sono processi vastamente distribuiti nel tempo e nello spazio, intimamente interconnessi con la vita quotidiana, difficili da afferrare nel loro complesso, non locali (cioè, con effetti che si manifestano in modo diffuso e non immediatamente riconducibili a una sola causa o luogo) e, infine, viscosi, nel senso che ci siamo “dentro” e non possiamo prenderne le distanze. Interpretare la transizione demografica come “iperoggetto” ci invita a superare un approccio riduzionista e a adottare un’ottica più sistemica e complessa; evidenzia la difficoltà di intervento e la necessità di politiche lungimiranti e su più scale (locale-globale) e impone una riflessione sui doveri verso le generazioni future e la coesistenza tra gruppi diversi in un contesto di rapido mutamento.
Approfondimento a cura di:
Carmine Marcacci, laureato in Filosofia e Forme del Sapere, dottorando in Economia Civile con la Borsa di studio "Economia Civile, Famiglia e Natalità" Lumsa-Cisf