Il lavoro domestico in Italia: una risorsa strategica per il futuro del welfare/Appunti sul convegno

01/07/2025

Il convegno “Il lavoro domestico in Italia: una risorsa strategica per il futuro del welfare”, che si è tenuto a Roma presso la sede Inps il 18 giugno scorso, ha permesso di conoscere e approfondire i trend emergenti dai dati dell’Osservatorio Lavoratori Domestici Inps.

L’incontro, organizzato da Nuova Collaborazione, ha posto al centro dell’attenzione pubblica un tema di cruciale importanza e, al tempo stesso, troppo spesso relegato ai margini del dibattito istituzionale: il lavoro domestico e il suo ruolo strutturale nella tenuta del sistema familiare e sociale italiano. A fronte di una popolazione che invecchia, di una crescente fragilità del sistema sanitario territoriale e della difficoltà per molte famiglie a conciliare lavoro e cura, il lavoro domestico – che comprende colf, badanti, baby-sitter, assistenti familiari – si configura oggi come una componente essenziale del nostro welfare reale.

Il lavoro domestico è realizzato, in larghissima parte, da donne, spesso migranti, che ogni giorno assicurano assistenza, cura e continuità domestica a centinaia di migliaia di famiglie italiane.

 

Secondo i dati presentati dall’Osservatorio, sono oltre 800.000 i lavoratori e le lavoratrici impiegati in questo settore in modo regolare, ma la cifra reale potrebbe superare abbondantemente il milione, considerando l’ampia quota di lavoro sommerso. Uno dei dati più sorprendenti rilevati riguarda la flessione, negli ultimi anni, del numero di lavoratori domestici regolarmente registrati. Al di là degli anni segnati dalla pandemia – durante i quali si sono verificati due episodi significativi di emersione – la tendenza generale mostra una progressiva riduzione della componente ufficiale e un aumento del lavoro sommerso e deregolamentato. In altri termini, l’assistenza domestica tende sempre più a scomparire dai radar istituzionali, pur continuando a crescere nei fatti.

Dove lavorano

Confrontando le statistiche dal 2018 ad oggi, emerge una chiara concentrazione geografica del lavoro domestico regolare: le regioni più rappresentate sono Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte, che da sole ospitano circa il 70% della forza lavoro domestica ufficialmente registrata. Un dato particolarmente significativo riguarda la Sardegna, che detiene il primato nazionale per il numero di badanti in rapporto alle famiglie residenti: 6,6 ogni 100 famiglie. 

Chi sono

La forza lavoro del settore è composta in larga maggioranza da donne adulte, spesso oltre i 50 anni. Tuttavia, analizzando le variazioni avvenute in occasione dei due momenti di emersione registrati nel 2020 e nel 2021 si osserva un incremento marcato soprattutto tra uomini e migranti. Questo dato rivela come proprio queste categorie risultino maggiormente coinvolte in situazioni di irregolarità o precarietà nel mercato del lavoro domestico. La componente straniera, che è predominante, vede in particolare una forte presenza di cittadini provenienti dalla Romania e dall’Ucraina, confermando una tendenza ormai strutturale.

Il "sorpasso" delle badanti sulle colf

Nell’ultimo anno, si è inoltre verificato un sorpasso quantitativo delle badanti rispetto alle colf, segnalando una crescente domanda di assistenza continua e non solo di supporto nelle faccende domestiche. Anche le ore lavorative settimanali rispecchiano questa differenza: mentre le colf lavorano in media tra le 25 e le 29 ore a settimana, le badanti superano regolarmente le 50 ore. Un altro elemento da tener presente riguarda il profilo dei datori di lavoro: si tratta prevalentemente di persone molto anziane, in larga parte donne italiane. Quasi la totalità dei rapporti di lavoro (circa il 98%) è instaurata con soggetti privati, mentre solo una minima parte (2%) fa capo a enti giuridici come associazioni religiose o fondazioni.

Secondo i dati presentati durante il convegno, la maggior parte dei beneficiari della NASpI (il principale sussidio di disoccupazione in Italia) nel settore del lavoro domestico è costituita da badanti, che rappresentano circa il 72% del totale, a fronte di un 28% di colf. Si conferma anche un’evidente prevalenza femminile tra i percettori del sussidio: le donne accedono alla disoccupazione più frequentemente degli uomini, riflettendo una maggiore instabilità contrattuale o una più alta incidenza di interruzioni lavorative.

Per quanto riguarda le misure di sostegno familiare destinate ai lavoratori domestici regolari, esistono strumenti che però rimangono spesso poco conosciuti o poco accessibili: si tratta dell’Assegno per il Nucleo Familiare, del congedo di maternità obbligatorio e del congedo di paternità obbligatorio. Il problema, quindi, non riguarda l’assenza di misure di sostegno, quanto la scarsa consapevolezza e difficoltà di fruizione, specie tra lavoratrici straniere o in condizioni contrattuali precarie.

La proposta: creare un ecosistema digitale integrato contrattuale/fiscale 

Molto significativo è stato l’intervento dell’onorevole Elena Bonetti, che ha offerto una visione articolata in due direttrici principali. In primo luogo, Bonetti ha ribadito l’urgenza di riqualificare il lavoro domestico, riconoscendolo non come un’attività privata confinata all’ambito familiare, ma come un vero e proprio pilastro del welfare nazionale. In secondo luogo, Bonetti ha rilanciato la proposta – già avanzata da altre voci autorevoli – di una piattaforma di erogazione integrata con il sistema fiscale. L’idea è quella di costruire un ecosistema digitale unificato in cui l’accesso a bonus, sussidi, deduzioni e contributi sia automatizzato e condizionato alla regolarità contrattuale.

Pertanto, nonostante l’indiscutibile rilevanza sociale ed economica di questo settore, le condizioni lavorative restano in gran parte fragili e inadeguate. I contratti sono spesso parziali o fittiziamente ridotti; le retribuzioni scendono al di sotto dei minimi previsti; la contribuzione previdenziale risulta carente, con effetti negativi sulla possibilità di accesso a pensione, maternità, malattia e altri diritti fondamentali. In molti casi, il lavoro domestico si regge su un’economia informale, fatta di accordi verbali, scarsa trasparenza e incertezza reciproca. La famiglia, che assume il ruolo di datore di lavoro, si trova spesso sola e priva di strumenti adeguati, mentre la lavoratrice non ha accesso a tutele reali e stabili.

Questa zona grigia del nostro sistema sociale produce una doppia penalizzazione: da un lato, mina la dignità e la sicurezza di chi lavora; dall’altro, appesantisce il carico delle famiglie, lasciate a gestire in autonomia funzioni che dovrebbero essere riconosciute come parte integrante della rete di welfare. Non è un caso che, durante il convegno, numerosi interventi abbiano evidenziato la necessità di un “patto di corresponsabilità” tra Stato, lavoratori e famiglie, capace di trasformare la cultura della necessità in una cultura della cura condivisa.

Una doppia dimensione sociale: quella delle famiglie e quella delle lavoratrici 

La questione del lavoro domestico, quindi, può essere ricondotta a due dimensioni complementari. La prima ha una natura culturale e valoriale, e riguarda principalmente i datori di lavoro. Quando si tratta di cura di un proprio familiare – un anziano genitore, un figlio, una persona fragile – le scelte delle famiglie restano profondamente legate a criteri di flessibilità, fiducia personale, preferenze individuali e sostenibilità economica. La seconda dimensione, invece, concerne le condizioni dei lavoratori domestici, i loro diritti contrattuali, e il livello effettivo di tutela economica e sociale.

Nel corso della tavola rotonda, è emersa una chiara convergenza tra i relatori: incentivare l’emersione del lavoro sommerso non può ridursi a campagne episodiche o sanatorie occasionali, ma deve tradursi in un cambiamento strutturale. Ciò significa riconoscere il lavoro domestico non soltanto come una misura sussidiaria di welfare, ma come un fattore strategico per la sostenibilità del sistema di cura, e al tempo stesso come una leva di tutela bilaterale, a vantaggio sia dei lavoratori che delle famiglie datori.

In quest’ottica, l’unica via efficace è quella che consenta allo Stato di assumersi una responsabilità attiva: investire in strumenti normativi e fiscali stabili, incentivare la regolarizzazione attraverso la semplificazione e il riconoscimento, e rimodulare il rapporto tra lavoratrici e famiglie su basi più eque, trasparenti e sostenibili nel tempo.

Approfondimento a cura di:

Carmine Marcacci, laureato in Filosofia e Forme del Sapere, dottorando in Economia Civile con la Borsa di studio "Economia Civile, Famiglia e Natalità" Lumsa-Cisf

 

 

 

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