11/05/2010
L'identikit delle donne "inattive" italiane, tracciato dall'Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori (Isfol):
Oltre la metà delle donne inattive sarebbe disposta a lavorare part-time e fra queste circa il 38% accetterebbe un lavoro per un reddito netto fra i 500 e i mille euro al mese.
Hanno rinunciato a cercare un lavoro e spesso dopo la nascita di un figlio si dedicano tatalmente alla famiglia.
Sanno che servirebbero tempi di lavoro più flessibili, maggior condivisione nel lavoro familiare, più servizi per l'infanzia e per gli anziani e maggiori indennità economiche destinate ai nuclei familiari.
I dati mostrano una minore presenza di donne che non lavorano fra le donne maggiormente istruite e ci sono ovviamente differenze territoriali.
Ruolo fondamentale è anche quello culturale:
una madre che lavora(ava) aumenta la probabilità che anche la figlia lavori.
"I dati confermano l’ipotesi che prevede il riproporsi, in età adulta, di scelte simili a quelle compiute dalle donne presenti nel panorama familiare d’origine, che inevitabilmente hanno trasmesso modelli comportamentali sia attraverso le proprie scelte che nei discorsi propri della quotidianità".
Molte donne smettono di lavorare con la nascita dei figli. E un motivo principale, ma anche la perdita del lavoro a seguito di chiusura aziendale, licenziamento o scadenza di un contratto sono fattori importanti.
Fondamentale risulta lo sviluppo di politiche in grado di ridurre il peso dei carichi di lavoro domestici e di cura, rendendo più accessibili servizi pubblici per bambini e anziani.
Importante anche un adeguamento dei tempi lavorativi: orari "family friendly", orario ridotto o flessibile con un caratttere di reversibilità che possa essere adattata al ciclo di vita familiare.
Misure che ovviamente non devono risultare penalizzanti rispetto alle prospettive di carriera.
Leggi documento e tabelle in allegato.