Ad alta voce: Indagine Censis su pazienti oncologici

"Il welfare per i malati oncologici è oggi familiare oppure non è"; le difficoltà di reinserimento nel lavoro, la paura di "tagli"

18/11/2011

Rispetto a dieci anni fa, i malati di tumore rientrano prima nella vita quotidiana dopo chirurgia o chemioterapia. Contano sul supporto della famiglia, ma ritengono insufficienti i servizi sociali e territoriali, le tutele economiche e sul lavoro.
Se oggi la sanità è giudicata buona (con differenze tra i territori), per il futuro temono che la stretta sui conti pubblici impedirà la disponibilità delle cure più innovative, quelle che guariscono riducendo gli effetti collaterali.

Il reinserimento sociale dei pazienti è più rapido, ma sono ancora molti gli ostacoli che incontrano nel mondo del lavoro e negli altri ambiti della vita quotidiana.
Oggi sono più di 274mila le persone che, a causa di un tumore, nel corso della loro vita sono state licenziate, costrette alle dimissioni o a cessare la propria attività autonoma. Di queste, sono quasi 85mila quelle a cui è accaduto negli ultimi cinque anni. Circa l’80% dei malati di tumore ha subito cambiamenti in questo ambito, dalla perdita dell’impiego alla riduzione del reddito. È quanto emerge dalla grande indagine nazionale sui pazienti oncologici realizzata dal Censis con il sostegno di Roche, alla quale hanno partecipato più di 1.000 pazienti e oltre 700 caregiver, con un ruolo decisivo di Favo e di altre associazioni del volontariato oncologico,

Terapie più efficaci, spirito di adattamento dei pazienti, il decisivo supporto familiare: sono questi i pilastri su cui si basa il sistema italiano di lotta al tumore.

Il tempo che intercorre tra l’intervento chirurgico o i trattamenti medici e il rientro nella normale vita quotidiana è sceso dai 17 mesi in media di dieci anni fa ai 4 mesi di oggi. La riduzione di 13 mesi in dieci anni (fatte salve le ricadute per un eventuale peggioramento della patologia, che riguardano il 25% dei pazienti) riflette il balzo in avanti delle terapie antitumore, oggi molto più efficaci che nel passato.

Sensazione di fragilità e tendenza alla facile commozione (lamentate dal 57,9% del campione), apatia, debolezza, perdita di forze (54,7%), dolori, disturbi fisici (52,9%), perdita del desiderio sessuale (47,6%), ansia (46,7%), problemi relativi all’aspetto fisico (42,2%): sono questi i principali disturbi psico-fisici con cui i pazienti si adattano a convivere, ai quali però non consentono di impedire il rientro nella vita sociale.

Il welfare per i malati oncologici è oggi familiare oppure non è.

L’82,5% dei pazienti può contare su una persona di riferimento. E nella gran parte dei casi sono le famiglie (in particolare le mogli o conviventi: 62,3%) a offrire le cure necessarie con un impegno quotidiano, anche notturno. Il 68,3% dei caregiver convive con il paziente e il 6,7% dei pazienti è completamente non autosufficiente. È alta anche la quota di anziani che assistono altri anziani: quasi un terzo dei caregiver ha più di 65 anni.

Se oggi la sanità funziona piuttosto bene, pur con significative differenze territoriali, per il futuro si teme che i tagli dei budget pubblici renderanno non disponibili tempestivamente le terapie più innovative che, oltre a guarire di più e meglio, dovrebbero soprattutto ridurre gli effetti collaterali, rendendo più facile il rientro nella vita di tutti i giorni.

Sono buoni e migliorati negli ultimi due anni i servizi sanitari con cui i pazienti entrano in contatto, secondo il 77% del campione. Ma è negativo il giudizio sui servizi sociali (il 45% li ritiene buoni o ottimi, il resto li valuta insufficienti o addirittura non riesce nemmeno a entrarci in contatto), sui servizi territoriali (l’assistenza domiciliare è giudicata insufficiente dal 42% degli intervistati) e sulle varie forme di tutela, inclusi i supporti economici (quasi il 50% le definisce insufficienti).

Sanità buona, ma con molte differenze territoriali. Quasi il 66% degli intervistati è convinto che vi siano disparità nelle opportunità di cura per i pazienti oncologici.

Poco meno del 13% del campione giudica insufficiente la disponibilità attuale delle terapie innovative (il dato sale al 16% nel Mezzogiorno). E sul futuro aleggia la paura che i tagli ai bilanci pubblici renderanno ancora più difficile l’accesso alle cure più efficaci e con meno effetti collaterali: per il 40% a causa della lunghezza delle liste di attesa per controlli ed esami, per il 33,5% a causa delle attese quando ci si reca in terapia, per il 29,5% a causa delle difficoltà di bilancio della sanità, che limiteranno la disponibilità di terapie oncologiche più mirate e con minori effetti collaterali. Il 25,7% teme che ci saranno ulteriori differenze nelle cure tra i diversi territori del Paese, in particolare in quelle più innovative (ad esempio, i farmaci biologici).

Tra le priorità che i pazienti indicano per il futuro, prima di tutto c’è la necessità di avere terapie innovative sempre più personalizzate e con minori effetti collaterali: è l’opinione del 74% dei pazienti. Poi una maggiore attenzione agli impatti psicologici della patologia (32%).
La priorità nella lotta al tumore consiste dunque nel passare dal prolungamento quantitativo della vita successiva alla diagnosi e ai trattamenti medici, al miglioramento qualitativo della vita quotidiana. La lotta al tumore deve essere sempre più una lotta della comunità, che deve supportare lo sforzo di pazienti e famiglie ben oltre la fase dell’emergenza sanitaria (dai servizi sociali e sul territorio alle tutele sul lavoro) e non spezzare la lunga corsa verso terapie più efficaci e con minori effetti collaterali (non basta guarire a ogni costo, bisogna ridurre l’impatto delle cure attraverso l’innovazione medica e tecnologica).


(Risultati emersi da una ricerca realizzata dal Censis, con il supporto di Roche, in collaborazione con Favo: Federazione Italiana delle Associazioni di Volontoritato in Oncologia) 

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